Taranto chiama Barletta: «Dove c’è un diritto violato, scendete in piazza!»
Le testimonianze di alcuni lavoratori Ilva. La battaglia del Comitato “Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti”
domenica 28 ottobre 2012
Aldo, Lillo, Salvatore, e Vincenzo: quattro lavoratori dell'Ilva di Taranto che non si sono arresi. Come loro, e insieme a loro, tanti altri lavoratori e cittadini di Taranto, si sono uniti in maniera spontanea, ed è nato così il Comitato "Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti". Un comitato che ci tiene a definirsi spontaneo e apartitico. E sono stati proprio loro quattro, in rappresentanza del comitato, a portare la loro testimonianza anche a Barletta, giovedì sera, in incontro pubblico che si è svolto presso il Punto Einaudi. Il messaggio rivolto alle coscienze di tutti è chiaro e va comunque sempre ribadito: la vicenda di Taranto è una vicenda che riguarda l'intera Puglia e l'intera Italia.
«Vedendo la mostra del prof. Paolo Vitali, ho pianto - così ha esordito Lillo - Non abbiamo colori. Siamo contro i partiti, perché ci hanno tolto tutto - ha detto senza mezzi termini - Bisogna far uscire l'orgoglio di tutti. E quel 2 Agosto - giorno della grande manifestazione svoltasi a Taranto, con migliaia di persone per le strade della città - abbiamo tirato fuori il nostro orgoglio di lavoratori e di padri, e abbiamo così chiesto il permesso di parlare. La speranza è che tutti i tarantini tirino fuori la loro rabbia. Noi vogliano soltanto una cosa: avere un lavoro pulito». «Il quartiere Tamburi - la zona di Taranto più vicina all'Ilva - è uno dei quartieri più stuprati - ha ricordato con forza Vincenzo - Sono stanco di subire i soprusi di un'azienda che ha azzerato le coscienze, la popolazione e alcuni posti di lavoro. Il comitato mi ha motivato ancora di più in questa lotta - e ha poi aggiunto - Ho cercato di vendere casa per allontanarmi, ma ovviamente non ci sono riuscito. Mio figlio, come tanti bimbi dei Tamburi, ha sofferto di asma. Abbiamo continuato a vivere lì, perché non c'era informazione. Dicevano che il mostro non esisteva, e invece esiste e fa male. Nel mio quartiere le statistiche sul tasso di mortalità sono assolutamente fuori dalla media. Sono preoccupato per la mia salute, per il mio lavoro, per il mio futuro, e per quello di mio figlio. Ma allontanarmi non serve a nulla. Spero di non morire per mano del mostro. Continuiamo a lottare a denti stretti».
«Non ci sentirete parlare in "politichese" - ha affermato Salvatore, il più anziano dei quattro, ma solo anagraficamente - Questo comitato è ciò che sognavo sin da quando ero bambino: un vero protagonismo popolare dal basso. Sentirete da questo comitato la carne e il sangue delle persone. Tutto è inizialmente nato dalla disperazione, ma tutto si sta trasformando in voglia di cambiare le cose». Salvatore ha ricordato i primi passi del comitato. Tutto è cominciato il 26 Luglio, giornata spartiacque nella quale il Gip del Tribunale di Taranto Patrizia Todisco ha emesso l'ordinanza di sequestro senza facoltà d'uso delle aree a caldo dell'Ilva e disposto gli arresti domiciliari per otto massimi dirigenti dell'Ilva, a partire dal patron Emilio Riva. Quel giorno, ha raccontato Salvatore, si diffusero subito voci che davano per certa l'inevitabile chiusura dell'Ilva e la perdita del lavoro per tutti gli operai, finalizzate all'organizzazione di una grande manifestazione pro-azienda. Di questo i lavoratori però cominciarono ad insospettirsi, e così, ha sottolineato Salvatore, iniziarono a discutere e a confrontarsi tra loro su come reagire. E poi è arrivato il 2 Agosto: «Quel giorno si è rotto un muro che è durato 50 anni, grazie ad una politica e ad un sindacato servile - ha ripetuto con forza Salvatore - Fino a quel momento c'era stata una rabbia carsica, nascosta. C'erano stati suicidi. Perché quando entri nell'Ilva, entri in un lager. Ci sono dei veri e propri kapò. La legge sul mobbing è nata da qui, negli anni '90, con la vicenda dei lavoratori della palazzina Laf, che furono costretti a ripartire da zero e tenuti lì a fare nulla, come degli internati. Ci sono poi ovunque persone, sindacalisti, politici, giornalisti, a libro paga di Riva - ha accusato Salvatore - L'episcopato ha preso 350mila euro da Riva».
«L'obiettivo di questo comitato è far risvegliare le coscienze degli operai innanzitutto, e di una città da sempre divisa - ha ribadito Aldo - Se i Riva non mettono mano al portafoglio, se ne devono andare». «Siamo usciti dalle divisioni dicendo: Stato, Riva, fuori i soldi! Perché avete distrutto il territorio! - è l'idea ferma espressa da Salvatore, perché hanno ricordato che - E' possibile produrre acciaio senza inquinare, a impatto zero. Al Nord nelle acciaierie Dalmine lo si fa». Poi c'è il capitolo AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale): «Le istituzioni prendono palesemente i cittadini per il culo! L'AIA è stata fatta sulle potenzialità produttive dell'azienda, ovvero 15 milioni di tonnellate di acciaio, per dire che l'azienda dimezzerà la produzione, arrivando a 8 milioni. Ma invece l'azienda già oggi produce 9 milioni di tonnellate! - denunciano i rappresentanti del comitato - Si dice che l'altoforno 1 deve essere chiuso, ma l'Ilva aveva già in programma di chiuderlo. Poi c'è l'AIA europea, che scatterebbe il 1° Gennaio 2016, e porterebbe alla chiusura immediata dell'Ilva - ricordano i lavoratori - Riva sta ottenendo quello che voleva. Se si volevano mettere a posto gli impianti, si sarebbe dovuto già iniziare. Perciò crediamo che l'intenzione di Riva sia "spremere il limone" fino al 31 Dicembre 2015, e poi chiudere».
«Nell'ultima assemblea è nata una proposta: uno sciopero generalizzato di tutta la città, per una Taranto libera - ha ricordato Salvatore, in conclusione, a nome del comitato - I nostri obiettivi sono: la salute, un ambiente sano, lavoro e reddito per tutte e tutti. Stiamo scrivendo una carta dei principi, per la costruzione di una democrazia partecipata e diretta – e poi un invito per Barletta e non solo – Costruite strutture come questa nel vostro territorio. Dove c'è un diritto violato, la gente si riprenda le piazze!».
«Vedendo la mostra del prof. Paolo Vitali, ho pianto - così ha esordito Lillo - Non abbiamo colori. Siamo contro i partiti, perché ci hanno tolto tutto - ha detto senza mezzi termini - Bisogna far uscire l'orgoglio di tutti. E quel 2 Agosto - giorno della grande manifestazione svoltasi a Taranto, con migliaia di persone per le strade della città - abbiamo tirato fuori il nostro orgoglio di lavoratori e di padri, e abbiamo così chiesto il permesso di parlare. La speranza è che tutti i tarantini tirino fuori la loro rabbia. Noi vogliano soltanto una cosa: avere un lavoro pulito». «Il quartiere Tamburi - la zona di Taranto più vicina all'Ilva - è uno dei quartieri più stuprati - ha ricordato con forza Vincenzo - Sono stanco di subire i soprusi di un'azienda che ha azzerato le coscienze, la popolazione e alcuni posti di lavoro. Il comitato mi ha motivato ancora di più in questa lotta - e ha poi aggiunto - Ho cercato di vendere casa per allontanarmi, ma ovviamente non ci sono riuscito. Mio figlio, come tanti bimbi dei Tamburi, ha sofferto di asma. Abbiamo continuato a vivere lì, perché non c'era informazione. Dicevano che il mostro non esisteva, e invece esiste e fa male. Nel mio quartiere le statistiche sul tasso di mortalità sono assolutamente fuori dalla media. Sono preoccupato per la mia salute, per il mio lavoro, per il mio futuro, e per quello di mio figlio. Ma allontanarmi non serve a nulla. Spero di non morire per mano del mostro. Continuiamo a lottare a denti stretti».
«Non ci sentirete parlare in "politichese" - ha affermato Salvatore, il più anziano dei quattro, ma solo anagraficamente - Questo comitato è ciò che sognavo sin da quando ero bambino: un vero protagonismo popolare dal basso. Sentirete da questo comitato la carne e il sangue delle persone. Tutto è inizialmente nato dalla disperazione, ma tutto si sta trasformando in voglia di cambiare le cose». Salvatore ha ricordato i primi passi del comitato. Tutto è cominciato il 26 Luglio, giornata spartiacque nella quale il Gip del Tribunale di Taranto Patrizia Todisco ha emesso l'ordinanza di sequestro senza facoltà d'uso delle aree a caldo dell'Ilva e disposto gli arresti domiciliari per otto massimi dirigenti dell'Ilva, a partire dal patron Emilio Riva. Quel giorno, ha raccontato Salvatore, si diffusero subito voci che davano per certa l'inevitabile chiusura dell'Ilva e la perdita del lavoro per tutti gli operai, finalizzate all'organizzazione di una grande manifestazione pro-azienda. Di questo i lavoratori però cominciarono ad insospettirsi, e così, ha sottolineato Salvatore, iniziarono a discutere e a confrontarsi tra loro su come reagire. E poi è arrivato il 2 Agosto: «Quel giorno si è rotto un muro che è durato 50 anni, grazie ad una politica e ad un sindacato servile - ha ripetuto con forza Salvatore - Fino a quel momento c'era stata una rabbia carsica, nascosta. C'erano stati suicidi. Perché quando entri nell'Ilva, entri in un lager. Ci sono dei veri e propri kapò. La legge sul mobbing è nata da qui, negli anni '90, con la vicenda dei lavoratori della palazzina Laf, che furono costretti a ripartire da zero e tenuti lì a fare nulla, come degli internati. Ci sono poi ovunque persone, sindacalisti, politici, giornalisti, a libro paga di Riva - ha accusato Salvatore - L'episcopato ha preso 350mila euro da Riva».
«L'obiettivo di questo comitato è far risvegliare le coscienze degli operai innanzitutto, e di una città da sempre divisa - ha ribadito Aldo - Se i Riva non mettono mano al portafoglio, se ne devono andare». «Siamo usciti dalle divisioni dicendo: Stato, Riva, fuori i soldi! Perché avete distrutto il territorio! - è l'idea ferma espressa da Salvatore, perché hanno ricordato che - E' possibile produrre acciaio senza inquinare, a impatto zero. Al Nord nelle acciaierie Dalmine lo si fa». Poi c'è il capitolo AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale): «Le istituzioni prendono palesemente i cittadini per il culo! L'AIA è stata fatta sulle potenzialità produttive dell'azienda, ovvero 15 milioni di tonnellate di acciaio, per dire che l'azienda dimezzerà la produzione, arrivando a 8 milioni. Ma invece l'azienda già oggi produce 9 milioni di tonnellate! - denunciano i rappresentanti del comitato - Si dice che l'altoforno 1 deve essere chiuso, ma l'Ilva aveva già in programma di chiuderlo. Poi c'è l'AIA europea, che scatterebbe il 1° Gennaio 2016, e porterebbe alla chiusura immediata dell'Ilva - ricordano i lavoratori - Riva sta ottenendo quello che voleva. Se si volevano mettere a posto gli impianti, si sarebbe dovuto già iniziare. Perciò crediamo che l'intenzione di Riva sia "spremere il limone" fino al 31 Dicembre 2015, e poi chiudere».
«Nell'ultima assemblea è nata una proposta: uno sciopero generalizzato di tutta la città, per una Taranto libera - ha ricordato Salvatore, in conclusione, a nome del comitato - I nostri obiettivi sono: la salute, un ambiente sano, lavoro e reddito per tutte e tutti. Stiamo scrivendo una carta dei principi, per la costruzione di una democrazia partecipata e diretta – e poi un invito per Barletta e non solo – Costruite strutture come questa nel vostro territorio. Dove c'è un diritto violato, la gente si riprenda le piazze!».