Sulle province: meno celebrazioni, più analisi

Il discorso impreciso di Ventola, nella giornata delle province. Lo studio della Bocconi, mostrato dall’Upi, deve essere analizzato con serietà e serenità

venerdì 3 febbraio 2012 20.16
A cura di Edoardo Centonze
«Occorre fare un punto e scegliere una strada. Forse avremmo fatto bene a sceglierla 42 anni fa quando vennero eletti i Consigli regionali, quello era il momento per rivedere altre questioni istituzionali, ora bisogna mettere bene a fuoco il problema e risolverlo con razionalità». Le parole del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sono l'unica bussola da cui ripartire per affrontare la questione province, tentacolo di una questione ancor più grande e intricata, ma inevitabile da risolvere: la sostenibilità di una macchina amministrativa non più sostenibile.

A dar man forte alla dialettica infinita su questo tema, è stata la mobilitazione dell'Upi (Unione Province Italiane) che ha visto riunirsi il 31 Gennaio i consigli provinciali (compreso quello della Bat) per approvare un ordine del giorno con il quale dire no all'abolizione dei loro enti. Un fronte anti-abolizionista che, a supporto della sua tesi, si serve di uno studio realizzato dall'Università Bocconi di Milano. Anche Francesco Ventola, presidente della provincia Bat, ne ha fatto riferimento nel suo discorso in consiglio provinciale, dicendo che essa « dimostra come il costo delle province sia praticamente irrisorio, mentre esorbitante sarebbe quello di smantellamento delle stesse o di trasferimento delle competenze a comuni o regioni ».

Occorre allora analizzare cosa emerge in sintesi da questo studio della Bocconi (che trovate in allegato alla fine di questo articolo):
Se le spese per la rappresentanza democratica sono oggettivamente basse, Ventola ha parlato anche di «costi esorbitanti» per il trasferimento di funzioni. Ma lo studio della Bocconi non dice affatto questo. L'inefficienza e i costi aumenterebbero nel caso in cui oltre alle funzioni non venissero trasferite le risorse dedite alla loro amministrazione, come sono gli impiegati addetti ad esse, poiché in questo caso gli enti destinatari di queste funzioni dovrebbero dotarsi di risorse aggiuntive, mentre alle province rimarrebbero delle risorse sottoutilizzate. Una lettura errata e riduttiva da parte del presidente Ventola, che non inquadra certo il senso complessivo di questo studio, che è invece orientato verso la necessità di riorganizzare e dare un nuovo assetto al modello amministrativo e non certo verso il mantenimento dello status quo.

D'altra parte, è giusto anche puntare il dito contro « le indennità dei consiglieri di amministrazione di tutti gli organismi intermedi, le società partecipate, molto spesso inutili e costosi», come Ventola stesso ha affermato. Inutili però le argomentazioni storiche, usate da Ventola, a sostegno delle province e contro le regioni: non è possibile che si riduca a queste inezie la questione, come fossimo alla premiazione del primo arrivato in una gara della storia. Le province saranno pure nate prima, ma non è certo questo il criterio con cui stabilire i parametri di sostenibilità della nostra macchina burocratica.

Purtroppo il rischio generale che dietro ogni iniziativa si nasconda il solito campanilismo o l'attaccamento ai privilegi, che tutti invece vogliono negare, è purtroppo presente. I dati di questo studio possono lasciar sospettare ciò, in quanto lo stato delle province, come molti ambiti del nostro paese, comprende virtuosismi ma anche inefficienze. Come è possibile quindi, da parte di questi enti, esprimere un'unica posizione davvero sincera? Sarà un caso che il presidente della provincia di Bari Francesco Schittulli proponga di accorpare le province, ponendo come limite minimo la soglia di 1 milione di abitanti, e la provincia che egli presiede supera questa soglia? Sono domande che non vogliono essere pregiudiziali, ma che sono certamente lecite e utili per capire se le volontà di cambiamento dei più siano reali o meno.

Ultimo dato che si aggiunge ad una questione già complessa: nel Decreto Milleproroghe del Governo Monti (cambia il governo, ma l'Italia delle proroghe va avanti), all'art.15 comma 6, si rinvia al 31 Dicembre 2012 il termine ultimo per i prefetti delle nuove province per completare la realizzazione degli uffici; vengono perciò mantenute la risorse assegnate a contabilità speciali intestate ai prefetti. Il tutto passa sotto il termine formale di "poteri sostitutivi e di impulso al fine di garantire la funzionalità degli enti locali".

Di certo c'è solo che la storia non finisce qui. L'auspicio è che l'esito, seppur travagliato, sia ragionevole.