Stefania: ho capito di essere omosessuale, ma Barletta non è ancora pronta
La storia di una giovane ragazza che a quattordici anni si è innamorata della sua migliore amica
Racconteremo la storia di Stefania (nome di fantasia) che ha volutamente scelto di rimanere anonima. Decisione che in partenza può dirci molto sulla pressione e vergogna che ancora si prova nel dichiarare la propria sessualità. Timorata dalle voci di corridoio della nostra piccola cittadina barlettana, Stefania ci racconta come non sia stato facile il suo percorso di auto accettazione, non è stato facile neanche trovare le parole giuste quando le questioni di genere, orientamento sessuale e identità sessuale non possedevano le parole correte in cui potersi identificare.
«Vorrei iniziare apertamente questo argomento col dire che tutto quello che mi è successo è stato completamente inaspettato, come d'altronde tutte le emozioni che viviamo durante il corso della vita» dice.
Stefania aveva solo 14 anni quando, dopo un tenero bacio sulle labbra con la sua migliore amica, ha iniziato a chiedersi di più. Il bacio aveva davvero scatenato un urgano di pensieri nel mondo di Stefania, che non nasconde quanta paura abbia ancora tuttora nel parlare della sua sessualità.
«Provare dei sentimenti verso una persona del mio stesso sesso mi ha destabilizzata. Ho iniziato a credere che fossi fuori di testa, ma al tempo stesso era difficile ignorare qualcosa che stava cambiando totalmente il mio vissuto, la ma prospettiva di vita. Mi sentivo così piccola e indifesa, era tutto troppo enorme ed ero spaesata. Non ero libera, non parlare con nessuno mi faceva sentire soffocata. In realtà prima di allora ero solo bloccata, nuotando ininterrottamente senza mai arrivare a riva. Ho cercato più volte di accantonare questa situazione».
Le sue parole, quelle di una ragazza che adesso ha ventidue anni, sono ancora tremanti, fievoli quando deve aprirsi su questa questione. Stefania ci racconta che l'incapacità di definire quello che stava iniziando a provare, l'ha portata a non avere il coraggio di parlare. L'unica risposta certa che aveva, quella di provare qualcosa per qualcuno, la assillava continuamente: perché proprio a lei? Perché lei non provava qualcosa per un ragazzo della sua età? Come dirlo ai suoi genitori e ai suoi amici?
Tutte domande che Stefania si è posta per mantenere al sicuro il suo segreto di Pulcinella perché uscire allo scoperto poteva essere davvero tanto doloroso. I suoi timori, la sua incertezza possono farci capire come l'omosessualità sia stata sempre considerata come una piaga, un'anormalità che si doveva nascondere classificandola come eccentrica o fuori dal comune.
«Con il passare del tempo, si era creata anche una certa attrazione, ho capito maggiormente che provavo dei sentimenti profondi e che non erano soltanto derivati da una semplice amicizia. Dopo molte situazioni di totale incertezza e difficoltà, mi ripetevo che l'unica persona che doveva sapere era lei e nessun altro»
Solo dopo mesi è riuscita a dichiarare il suo amore, a lasciare alle spalle la strada battuta dell'eteronormatività, anche se il tanto difeso segreto continua a regalarlo a pochi.
Non è facile aprirsi, mettersi a nudo in un mondo che ancora non ha normalizzato la possibilità che si possa amare qualcuno a prescindere dall'organo sessuale che si possiede e Stefania ne è la prova. È bastata una persona, una soltanto per farla sentire libera da questo segreto e accettata. Immaginate il potere che può avere il dialogo aperto sulla normalizzazione di queste situazioni.«Avevo un enorme magone bloccato quando è successo, perché infondo lei è stata la persona capace di darmi gioia, di capire chi fossi, ma per gli stessi motivi sentivo paura. Lei è stata molto dolce, mi ha accolto in maniera molto tranquilla, assicurandomi che non c'era niente di cui preoccuparsi, avrebbe continuato a starmi accanto, senza trarre conclusioni affrettate»
«Ho intrapreso molte conoscenze subito dopo, inizialmente solo con ragazzi, senza bruciare nessuna tappa possibile. Ma un pensiero ogni volta mi tormentava il cervello, ero sempre più convinta che mi mancasse qualcosa con tutti quei ragazzi che avevo conosciuto. Non mi sentivo mai abbastanza, per tutto quel tempo, ho esaminato me stessa per arrivare ad una giusta conclusione. Ho capito che mi piacevano le donne, e tutt'ora, beh si, mi piacciono ancora. Con molta pazienza ho abbracciato sempre più la consapevolezza della mia omosessualità e soprattutto la capacità di saper affrontare tutto con abbastanza forza e coraggio, cercando di uscire fuori dalla vergogna che prendeva il sopravvento. Ho iniziato a parlarne prima con persone a me care, poi a passi molto lenti ho iniziato a parlarne con gente estranea alla mia cerchia di amici. Non ho avuto problemi nel raccontarmi a loro, non mi hanno mai fatta sentire a disagio o diversa»
Il vero salto nel vuoto è stato parlarne con la famiglia. Così dopo essersi sentita finalmente accettata dai suoi amici, fare coming out l'ha fatta sentire nuovamente in balia delle onde.
Nonostante si abbiano ancora pochi racconti, poche rappresentazioni dell'omosessualità in tutte le sue declinazioni, e Stefania ne è un esempio, raccontare la sua storia è un tassello fondamentale nel percorso di normalizzazione. La narrativa dell'ultimo periodo si sta interessando molto a raccontare storie oltre l'eterosessualità ed è fondamentale affinché un giorno non ci siano più battaglie sulle discriminazioni in base all'orientamento sessuale o al genere. Questione che non siamo ancora pronti del tutto ad affrontare e anche Stefania dice che Barletta non è ancora pronta su questi argomenti.«Ho vissuto tempi molto difficili in casa, nel momento in cui ho iniziato a parlarne, vivevo con restrizioni ingiuste, danneggiando il mio stato non solo psicologico ma anche fisico. Mi tremavano le mani il giorno in cui ho fatto coming out. Tutto mi rendeva nervosa, piangevo spesso, stravolta dal pensiero che in famiglia avevano smesso di amarmi, le stesse persone per cui pensavo sarei stata importante per tutto il resto della vita. Sentivo di aver raggiunto così tanti traguardi, poi distrutti da un solo colpo. Un colpo che mi è durato anni. Nonostante per mesi non mi abbiano rivolto la parola, ho soltanto atteso che mi vedessero felice, che togliessero i veli dagli occhi e iniziassero a vederci chiaro. All'epoca mi sembrava l'unica strada da prendere per il loro percorso di accettazione e soprattutto per me stessa. Ho aspettato che mi vedessero come la stessa bambina di sempre. Dopo due anni, le cose vanno meglio, abbiamo iniziato a parlarne con molta leggerezza. È stata un'attesa infinita per me e capisco anche le prime perplessità dei miei genitori»