Quattro chiacchiere con Eraldo Pecci

L’ex bandiera del Bologna e del Torino ai microfoni di Barlettalife. Intervista a tutto tondo su sport, giovani, doping e crisi morale

domenica 4 settembre 2011
A cura di Pasquale Diroma
Non appena gli chiedi di intervistarlo lui ti domanda per quale squadra tifi. Ti guarda con fiero cipiglio nel sentire che non tieni per nessuna squadra. Un secondo dopo, con una delle sue battute, ti da il benvenuto nel suo mondo. Un mondo molto diverso da quello in cui militava agonisticamente tra i primi anni Settanta e l'alba dei Novanta. Un mondo dove non ci sono più bandiere come lui. Eraldo Pecci, classe 1955, ex calciatore, editorialista e commentatore televisivo. Barlettalife lo ha raggiunto a Cascia, in provincia di Perugia, una delle sedi di ritiro precampionato preferite dalle squadre di calcio, durante una conferenza sul tema del doping rivolta ai giovani di ogni parte d'Italia.

La carica di simpatia, il suo carattere diretto, sfrontato e beffardo da buon romagnolo sono sempre lì, immutati, fin da quando il suo allenatore al Bologna, il "petisso" Bruno Pesaola, lo definì un "estronso" in risposta ad una delle sue battute in allenamento. Ripercorrere la carriera di Eraldo Pecci è come rivivere gli ultimi decenni buoni del calcio italiano, quello non fatto a suon di miliardi ma tutto cuore, fiato e cervello. Lui, "Piedone" come tuttora lo chiamano amici, colleghi e fans, bandiera del Bologna che nel 1973-74 vince la Coppa Italia grazie al suo calcio di rigore; lui, regista del centrocampo del Torino campione d'Italia nel 1975-76 (il settimo e ultimo scudetto dei granata); lui e il suo carisma, che assieme ad Antognoni , Graziani e altri campionissimi, fece sognare il terzo scudetto per la Viola nel 1981-82; lui che preferì non essere convocato in Nazionale da Bearzot per non fare la riserva… Ma la sua proverbiale simpatia ha lasciato il segno anche nella cronaca televisiva. Davvero uno spasso i suoi commenti al fianco di Bruno Pizzul durante gli incontri della Nazionale italiana nel corso degli Europei del 2000. Tanto che sul social network più famoso al mondo gli è stata dedicata una pagina che lo rivuole a commentare le partite della Nazionale.

Eraldo Pecci, un campione dentro e fuori dal campo di gioco, ai microfoni di Barlettalife.

Signor Pecci la incontriamo in questo suggestivo scenario umbro a parlare di doping di fronte a questa platea di giovani. Come è possibile che non si riesca a battere questa piaga dello sport? In alcune discipline come il ciclismo ad esempio, non sappiamo più quali siano i risultati veritieri e quelli falsati dall'uso di sostanze illecite…
È un argomento di cui si discute molto ma io sono totalmente impreparato. Non conosco quasi niente, non so nemmeno l'abc. Però è vero, se ne parla molto, l'impressione che me ne sono fatto è che più va avanti il business e lo spettacolo, più crescono le attese, più chi vince ha gli sponsor e i soldi, per cui si tende sempre ad arrivare primi. Per arrivare primi a volte si pensa che aiutandosi si riesca a trovare questa scorciatoia. Di certo non è un bel esempio per i giovani. Per quanto riguarda il ciclismo, io non credo che ci sia uno sport più o meno bello di un altro, più o meno corrotto di un altro, più o meno giusto di un altro. Non voglio fare questi paragoni però ci sono degli sport tra cui il ciclismo dove lo sforzo fisico è troppo obiettivamente, nel senso che se fai Tour de France, Giro d'Italia, durante i quali tutti i giorni devi fare duecentocinquanta chilometri o più a quarantacinque di media credo sia difficile salvarsi con il solo allenamento.

La lotta contro il doping è passata attraverso gli anni da un'azione di contrasto e una culturale. Ritiene sia la strada giusta da perseguire alla luce dei risultati attuali o crede che bisognerebbe aggiustare un po' il tiro?
Credo che se non vinci la battaglia culturale aggiustando la testa della gente credo che non si riuscirà a migliorare e a vincere questa lotta, che è durissima proprio perché gli esempi di oggi sono questi: quello che arriva primo è il più bravo, quello che arriva ultimo non è nessuno. In realtà la vita non è questa. Chi è più ricco è più intelligente, più bravo, ma la realtà non è così. E per essere il più ricco bisogna arrivare primi ma non è così la realtà, perché se tu non stai bene con te stesso, se non accetti quello che sei non starai mai bene nella tua vita. Sia che arrivi primo sia che arrivi quinto.

Doping, calcio scommesse, Calciopoli. Il calcio italiano non se la passa veramente bene…
Il calcio a mio avviso non se la sta passando bene per un fatto tecnico, perché credo che i nostri campionati siano inferiori a quelli di altri paesi, tipo la Spagna, l'Inghilterra. Non vediamo dei grandi spettacoli o troviamo ogni tanto qualche lampo di una squadra come può essere l'Inter l'anno scorso o come può essere stata la Nazionale nel 2006. Lampi non corredati dalla quotidianità, dal lavoro di tutti gli anni, perciò restiamo un po' indietro. Per quanto riguarda gli scandali direi che quest'ultimo non mi preoccupa molto, credo che sia una cosa destinata a ridursi in questo senso: chi vi ha partecipato sono giocatori di squadre di basso profilo. L'idea che mi sono fatto è che ci sono troppe società nelle categorie inferiori, forse anche in B, i cui giocatori non prendono lo stipendio o lo prendono a babbo morto. E a volte qualcuno che si crede più furbo, per ovviare combina una partita e ci scommette. Però se facesse una cosa del genere un calciatore di serie A che guadagna fior di milioni sarebbe da legare subito perché per venti, trenta mila euro mettere a repentaglio la propria carriera sarebbe troppo stupido.

Allora secondo Lei dobbiamo rassegnarci alla perdita della dimensione umana nello sport?
Ah, questo è un bel tema, nella vita forse ci siamo un po' persi quali sono i valori, gli obiettivi. Credo che lo sport che vediamo è una cosa, quello che pratichiamo tutti i giorni è un'altra. Io tutti i giorni vado a camminare, poi vado in bicicletta, e non cerco di vincere né mi dopo. E questo mi da molta soddisfazione e basta. Credo che molte persone lo facciano come me. Però è vero che nel momento in cui la nostra società ha dei problemi sotto molti punti di vista, d'identità, di entusiasmo, di credibilità, non è un momento brillante. Vedo che dalla politica alla famiglia insomma non è un bel periodo.

Che messaggio desidera trasmettere alle nuove generazioni di sportivi e non?
A questi giovani direi di tenere duro, di volerci bene anche se noi vecchi tra virgolette non gli abbiamo preparato un bel mondo, di non avercela tanto con noi. Tenere duro e di prepararsi la propria vita nei migliori dei modi anche se oggi come oggi io non vedo una via d'uscita brillante e che ci sarà da soffrire per del tempo. Mi auguro che ce lo perdonino perché noi vecchie generazioni abbiamo le nostre responsabilità.