«Qualcosa da cambiare c'è, non nella Costituzione ma nella classe politica»

Giuliana Damato, Stefano Chiariello e Luca Lacerenza commentano il post referendum

lunedì 12 dicembre 2016 12.04
«Ad una settimana dall'esito referendario, crediamo sia giusto confermare le motivazioni che ci hanno spinto ad impegnarci a sostegno della riforma costituzionale». scrivono in una note a triplice firma Giuliana Damato, Stefano Chiariello e Luca Lacerenza del Comitato Basta un Sì per cambiare.

«Le urne hanno offerto una chiara fotografia del disagio sociale nel nostro paese: le città divise tra centro e periferie, il sud diviso dal nord, l'Italia divisa tra chi votava sulla riforma, chi votava per interrompere l'esperienza del governo Renzi e chi per entrambe le motivazioni. In questo determinato scenario storico-sociale, da soggetti portatori di una forte critica della realtà, abbiamo lavorato perché un progetto chiaro, teso ad adeguare la nostra democrazia alla dimensione europea e alle sfide del tempo moderno trovasse forma. Ci definiamo da sempre progressisti e riformisti e cos'è mai il riformismo se non la capacità di costruire visioni e progetti e tentare di concretizzarli? Abbiamo osato, siamo stati coraggiosi, abbiamo perso.

Per noi che abbiamo sostenuto il Sì, il "cambiamento" non è uno slogan ma un'esigenza, una necessità, un bisogno emerso dai problemi che si sono manifestati nel funzionamento delle istituzioni, nel conflitto tra Stato ed autonomie locali e dunque nell'attuazione di diritti che riguardano concretamente la vita delle persone, per citare due macrotemi oggetto della Riforma. Per noi è stata una battaglia per la qualità della nostra democrazia e non già una "questione tecnica", di esclusivo appannaggio di giuristi e costituzionalisti. Al contrario, il nostro impegno - con le nostre energie, il nostro tempo e le nostre poche risorse economiche personali – è stato tutto teso a depurare il confronto sulla riforma costituzionale dagli slogan e a garantire a tutti i cittadini di informarsi e di costruirsi un'opinione.

Ci siamo impegnati in volantinaggi, banchetti in piazza ma, soprattutto, siamo stati promotori di un Comitato "atipico": abbiamo organizzato svariati appuntamenti di confronto tra le ragioni del Sì e quelle del No ospitando personalità autorevoli del territorio ed a livello nazionale grazie alle quali ognuno ha potuto costruire il proprio orientamento: parlamentari di appartenenza politica differente (gli on. Massa e Fucci), personalità della storia politica della città (i due ex sindaci Raffaele Fiore e Franco Borgia), autorevoli giuristi del calibro di Ugo Villani e Luciano Violante. Abbiamo realizzato queste ed altre attività con il supporto di un bellissimo gruppo di persone molto eterogeneo per età e tanto altro, che si è trovato ad unirsi non intorno ad un leader, ma ad un'idea di paese e ad un progetto di progresso. Tutti noi, inoltre, abbiamo sentito il bisogno di offrire alla nostra città la possibilità di confrontarsi su questi temi consapevoli che il sistema mediatico e la guerra tra fazioni – più che nel merito – stava rendendo molto più difficile comprendere l'oggetto dell'appuntamento referendario. Ci siamo impegnati ed esposti perché riteniamo che questo sia un dovere per chi ha passione civile e politica. Stare alla finestra, come hanno fatto alcuni politici del territorio e in particolare della nostra città, non è che una vecchia e prevedibile furbata di chi, avendo intuito l'asprezza del dibattito, ha abdicato al suo ruolo pubblico, per poi il giorno dopo collocarsi a traino del più forte e sciorinare teorie su come si sarebbe dovuto e potuto fare tutto diversamente.

Questo ci fa capire quanto ci sia ancora da cambiare, a questo punto non nella nostra Costituzione ma nella classe politica e dirigente del paese e del nostro territorio soprattutto. All'indomani del voto referendario siamo entrati in una fase d'incertezza politica e istituzionale e noi, nel nostro piccolo, a cominciare dalla nostra città, sentiamo il bisogno di affermare il nostro impegno per favorire un cambiamento, anche generazionale, ma soprattutto nei metodi di selezione e formazione della classe dirigente.

Raccogliamo da questa sconfitta una grande lezione, non abbiamo fatto abbastanza, non abbiamo saputo spiegare le tante buone ragioni di questa riforma. Le sfide che ci attendono sono molte, ma non per questo smetteremo di credere nel nostro Paese, nella sua capacità di saper guardare con coraggio al futuro.La prima sfida che ci attende é rilanciare il nostro partito, la nostra casa, rinnovare la sua classe dirigente cercando di coinvolgere le energie migliori a partire da quelle spontaneamente radunatesi in questa da tutti definita "festa della democrazia". La seconda è sicuramente ripensare la nostra città, che merita sempre più. La terza sfida, quella più grande, è immaginare insieme al nostro popolo un modello di globalizzazione più equo, abbattere le diseguaglianze, costruire una cultura ambientalista e collaborativa e fare dell'Italia il baricentro del socialismo europeo».