Perchè anche a Barletta ci sono sempre meno giovani disposti a fare i camerieri?

La storia di Alessandro e i ristoratori che lamentano la scarsità di proposte di lavoro da parte dei giovani

venerdì 18 giugno 2021
A cura di Gaia Paolillo
Il problema della mancanza di camerieri e lavoratori stagionali si è propagato a macchia d'olio in tutta Italia, colpendo anche la città di Barletta. Sono moltissimi gli imprenditori, tra cui parecchi ristoratori, che lamentano la mancanza di personale per la stagione estiva 2021. Altri, pur realizzando contratti equi e retribuendo con paghe dignitose, non si spiegano il perché di questo silenzioso vuoto che si è creato nel mondo della ristorazione. Il problema non è la pandemia. Quest'ultima ha solo accentuato problemi esistenti da decenni, un meccanismo su cui l'Italia in generale ha mantenuto la sua ricchezza: il problema dei contratti a chiamata, il lavoro nero, le ore eccessive e la paga ristretta. Il problema non è neppure la gavetta a cui molti fanno appello sostenendo che i giovani non abbiano più voglia di lavorare, non è neppure il reddito di cittadinanza. Il problema è culturale.

Alessandro, proprietario di un Wine Bar a Barletta, uno dei locali del nostro centro storico, è la testimonianza diretta di come sia stata complicata la vita di un ragazzo partito come cameriere e diventato un imprenditore e quindi, sa cosa significa ritrovarsi da entrambe le posizioni. Ha conseguito a soli diciassette anni il premio come miglior sommelier junior d'Italia. Nel suo curriculum vanta anche la frequentazione di un master sulla comunicazione del vino, che gli ha poi permesso di lavorare nei ristoranti stellati d'Italia. Alba, il Lago di Garda, Venezia, apre addirittura la sua prima bottiglia da record: 7000 euro e rientra tra il personale organizzativo del matrimonio di Alvaro Morata e Alice Campello. I successi di Alessandro sono arrivati con tanti sacrifici che spesso gli imprenditori non possono sapere perché la loro conoscenza rimanere limitata alle mura lavorative.

«Mi svegliavo tutti i giorni alle 5 per andare a scuola e il fine settimana lavoravo, studiavo sommellerie e sognavo. Facevo così tanti sforzi fisici, tanti kilometri che a fine servizio mi ritrovavo tutti irritato per l'attrito tra gli slip e il pantalone. Non è stato facile, perché è andata avanti per anni. A quindici anni sognavo di lavorare in un ristorante stellato almeno entro i quarant'anni. Ci sono riuscito a diciannove. Non sognavo di aprire un locale tutto mio, mi sono sempre posto degli obbiettivi l'uno un gradino più alto dell'altro. Bisogna impegnarsi nella vita, perché il lavoro nasce dall'acquisizione di competenze che ti portano a essere degno di quello che fai. I sussidi non permettono di far apprendere nulla ai ragazzi»

Alessandro racconta che a sedici anni, quando è entrato nel mondo del lavoro con uno stage scolastico in uno dei ristoranti barlettani, il vicedirettore di sala gli tirasse calci sugli stinchi per incitarlo ad essere più veloce, arrivando a schernirlo per la sua lentezza. Non mette in dubbio ad oggi, che si trattasse di una spinta bonaria e confidenziale, ma può essere demotivante. «Le ragazze e i ragazzi hanno bisogno di sentirsi parte del ristorante. C'è bisogno di farli sentire apprezzati e stimati per quello che fanno, che il loro contributo è fondamentale. Questo significa la necessità di fare lavoro di gruppo, sapersi sacrificare» dice.

Il problema è quindi culturale, perché non abbiamo mai investito cospicuamente sulla formazione alimentare, sulla specializzazione di camerieri e baristi, relegandoli solo allo stereotipo di "lavoretto estivo per mettere qualcosa da parte". Un lavoro quasi di serie b, in cui il fatto di essere sottopagato viene giustificato dall'idea che sia un lavoro d'accompagnamento agli studi, quindi non equiparabile. Questa rappresentazione ha contribuito allo sfruttamento delle figure operative e all'idea che i giovani debbano sempre migrare per inseguire i propri sogni o sopportare una gavetta che si avvicina alle condizioni di asservimento, con orari che variano dalle 8 alle 14 ore lavorative ed una paga che si aggira intorno ai 25-30 euro. Certo queste non sono condizioni normalmente diffuse, ma persistono.

Il problema è frutto di un meccanismo reiterativo che ha portato i giovani a preferire il reddito di cittadinanza piuttosto che l'occasione di imparare un lavoro, una mansione. E la colpa non è loro quando li additiamo di non volersi impegnare, di non volersi sacrificare. Abbiamo ripetuto in tutte le mansioni, soprattutto quelle inerenti al mondo della ristorazione e dei bar, lo stesso processo che ha portato alla demoralizzazione dei giovani e la pandemia ne ha solo accentuato e velocizzato le conseguenze.
Non va dimenticato che Alessandro, che adesso è un imprenditore e fa parte delle "nuova guardia" dei ristoratori di Barletta insieme a moltissimi altri come Nicola Dagnello, barman e gestore di attività, sono pronti ad accogliere e riconoscere lo sforzo laborioso e stancante di tutte le ragazze e i ragazzi che ogni giorno sono tra i tavoli e che meritano contratti e paghe proporzionate. La nuova scuola dei ristoratori e barman è composta da lavoratori giovani, che dopo anni con un vassoio tra le mani hanno deciso di inaugurare una propria attività. Loro sono l'esempio di chi ha vissuto le condizioni di semi-sfruttamento che si consumano nei locali e adesso vogliono riadattare le logiche lavorative a principi più equi.

Secondo dati riportati da Filcams Cgil del 2019, il 95% dei lavoratori stagionali, non svolge un lavoro in regola. Anche l'Inps attraverso il proprio rapporto annuale sul mondo del lavoro, sottolinea che quella delle paghe basse è uno dei problemi che attanaglia il Paese. L'Istat, poi, spiega che la situazione è davvero preoccupante nel mondo della ristorazione, arrivando a toccare cifre enormi di lavoro nero.