Pastore, «a pagare non sia sempre Pantalone»

Intervento su patto di stabilità e piano di rientro sanitario. La sanità pugliese deve rientrare di 377.000

mercoledì 7 luglio 2010
La sanità pugliese deve rientrare di 377.000 euro per essere a posto con il patto di stabilità e ha poco più di un anno per farlo, entro il 2012. Cialtronerie ne sono state dette e ascoltate su enti virtuosi e no, su buoni e cattivi, capaci e meno. Tanto per cominciare una cosa sola è certa: tutti gli amministratori, di centro destra e centro sinistra, dal nord al sud, contestano il Patto e la ricetta Tremonti. Un motivo ci sarà pure, qualche dubbio sulla percorribilità normativa del patto può anche venire? Siamo noi a metterci la faccia, a stare di fronte ai cittadini quando bisogna stringere la cinghia, noi dobbiamo "tagliare" per rientrare. Su questo, domani, la maggioranza di governo si riunirà con il presidente Vendola (alle 13 a villa Romanazzi Carducci). Prima che tra di noi, però, è necessario parlare alle persone, ai pugliesi.

E' necessario, per onestà intellettuale, spiegare cosa sta accadendo e, per farlo, segnare la differenza tra un ente che predispone un piano sanitario, concertandolo, discutendolo, confrontandosi con le parti interessate, e un ente che deve rientrare. Quel piano, il primo, sarà concertato e, si spera, condiviso. Con il governo Fitto in Puglia neppure questo accadde. Un piano di rientro, invece, è un'altra cosa. Si hanno le mani legate e un solo obiettivo, obbligatorio e imprescindibile: fare quadrare i conti. Il minsitro Tremonti dovrebbe riflettere su questo ed essere spinto a un allentamento dei parametri per stabilire quando si sfora. Sarebbe opportuno, per esempio, che i Fas e i cofinanziamenti dei fondi UE fossero esclusi dai calcoli e dai parametri del patto di stabilità. Il governo ci chiede di trattare le nostre comunità come soggetti a cui comunicare quello che nel palazzo si decide. Non lo si può fare, come lo si spiega ad una comunità regionale che ha fatto dell'ospedalizzazione e del sistema sanitario pubblico un luogo in cui risolvere molti problemi della propria salute, senza dover ricorrere agli specialisti a pagamento?

I tagli vanno fatti, sono obbligatori, i posti letto dovranno diminuire ma non con la mannaia. Il processo è più lungo ed è anche culturale. Va concordato con le popolazioni, spiegato, non imposto. Servirebbe almeno il tempo per adeguare le linee operative di questo rientro, necessario e obbligatorio, agli standard raggiunti. Al fatto, per esempio, che oggi il "paziente" è quello terminale, il vecchio paziente si è trasformato in "esigente". E' il cittadino che ha imparato, finalmente, a provare a prendersi cura di sé prima di ammalarsi, ha imparato a fare prevenzione, a badare alla qualità della sua vita. Perché tornare indietro? È per questo che l'allentamento dei vincoli del patto di stabilità può servire a rilanciare la sanità in Italia, una delle prime nel mondo, sostenendo le regioni in una nuova politica. Se tagli devono esserci che non sia sempre Pantalone, il cittadino comune, a pagare. Ci deve invece essere una redistribuzione equa su tutti gli attori presenti in un sistema, contenendo eventuali sprechi nella spesa corrente, rivedendo i contratti di manager, consulenti e razionalizzando le uscite. Utili e opportuni sarebbero sistemi di controllo, bene si fa a prevederli, una sorta di cabina di regia per beni e servizi che vada ben oltre quella già esistente. Senza affibbiare responsabilità al personale sanitario che, ultimamente, o è visto come fannullone o è precario, con tutti i problemi che ciò comporta. Saremo oculati e sarebbe opportuno rivedere, con il governo, il sistema delle tassazioni.