Nel mirino di Vanity Fair una pubblicità made in Barletta
Quando le campagne commerciali inneggiano al sessismo
sabato 25 febbraio 2017
Non ci si abitua al razzismo, all'omofobia e pure al sessismo. Lo dimostra una recente pubblicità balzata alle cronache del noto magazine - Vanity Fair - che ha destato non poca attenzione a livello nazionale e, nostro malgrado, riguarda la città della Disfida.
A destare l'attenzione dei media e di un esercito di indignate, la pubblicità di un esercizio commerciale della città che trattando di petti (di pollo) ha ben pensato di sponsorizzare il prodotto in associazione ad un seno femminile: «Petto? Ce n'è per tutti» ha sostenuto. Non sembra sia stata troppo gradita l'associazione, che anche tempo fa non passò in sordina in città. Ci sia concessa dunque una riflessione, scevra dal moralismo dei ben pensanti, che riveli però le vere facce di un mondo in cui, spesso, ci si sente di non appartenere.
Possiamo essere molto più di questo: annoverata tra le più sessiste al mondo, la pubblicità italiana non fa certo sconti al genere femminile, anzi al contrario, relega il ruolo della donna a stereotipi che con subdola ironia inneggiano a modelli non certo edificanti. È associata ad una lavatrice, si eccita all'arrivo di un paio di scarpe o una lavastoviglie, ammicca una sensualità che le è propria ma che ne sminuisce le competenze. Insomma ammettiamolo, non ne usciamo bene in ogni caso. Intrisa di modelli piatti e passivi, la pubblicità rivela lo specchio della società contribuendo a costruire l'immaginario collettivo, ci dice come ci si debba comportare o come ci si comporta in genere, mostra persino una realtà ovattata di famiglia ideale, crea mondi inesistenti.
Non si tratta di essere femministe: non si tratta di mero accanimento nei confronti dell'una o dell'altra pubblicità e nemmeno di essere femministe agguerrite. Se è questo il riflesso del nostro mondo, confidando nell'efficacia del messaggio pubblicitario, sarebbe bene affidarsi ad una più fervida mente creativa che disveli certi modelli creandone di nuovi - ben più ragionati e funzionali - piuttosto che continuare con queste subdole discriminazioni di genere che velatamente incidono, fissandone l'immaginario collettivo.
Raccontare e raccontarsi in modo diverso, dismettere certe ideologie, modi di pensare, diventare più critici e consapevoli è possibile, basta volerlo. La rivoluzione comincia da noi tutti, uomini compresi.
A destare l'attenzione dei media e di un esercito di indignate, la pubblicità di un esercizio commerciale della città che trattando di petti (di pollo) ha ben pensato di sponsorizzare il prodotto in associazione ad un seno femminile: «Petto? Ce n'è per tutti» ha sostenuto. Non sembra sia stata troppo gradita l'associazione, che anche tempo fa non passò in sordina in città. Ci sia concessa dunque una riflessione, scevra dal moralismo dei ben pensanti, che riveli però le vere facce di un mondo in cui, spesso, ci si sente di non appartenere.
Possiamo essere molto più di questo: annoverata tra le più sessiste al mondo, la pubblicità italiana non fa certo sconti al genere femminile, anzi al contrario, relega il ruolo della donna a stereotipi che con subdola ironia inneggiano a modelli non certo edificanti. È associata ad una lavatrice, si eccita all'arrivo di un paio di scarpe o una lavastoviglie, ammicca una sensualità che le è propria ma che ne sminuisce le competenze. Insomma ammettiamolo, non ne usciamo bene in ogni caso. Intrisa di modelli piatti e passivi, la pubblicità rivela lo specchio della società contribuendo a costruire l'immaginario collettivo, ci dice come ci si debba comportare o come ci si comporta in genere, mostra persino una realtà ovattata di famiglia ideale, crea mondi inesistenti.
Non si tratta di essere femministe: non si tratta di mero accanimento nei confronti dell'una o dell'altra pubblicità e nemmeno di essere femministe agguerrite. Se è questo il riflesso del nostro mondo, confidando nell'efficacia del messaggio pubblicitario, sarebbe bene affidarsi ad una più fervida mente creativa che disveli certi modelli creandone di nuovi - ben più ragionati e funzionali - piuttosto che continuare con queste subdole discriminazioni di genere che velatamente incidono, fissandone l'immaginario collettivo.
Raccontare e raccontarsi in modo diverso, dismettere certe ideologie, modi di pensare, diventare più critici e consapevoli è possibile, basta volerlo. La rivoluzione comincia da noi tutti, uomini compresi.