Morte sui binari, la maledizione di Barletta
Il parere del sociologo Leonardo Palmisano. «Barletta è un sistema escludente, occorrono momenti di condivisione»
martedì 25 ottobre 2011
L'hanno detto in molti, l'abbiamo pensato tutti: è un ottobre maledetto per la città di Barletta. Sembra che da quel tragico 3 ottobre, da quelle incancellabili immagini del crollo di via Roma, le notizie di morte si susseguano in cronache che non vorremmo più ascoltare, e ci chiediamo: quando arriveranno le belle notizie? In questo grigio ottobre 2011 abbiamo ascoltato di tante morti, incolpevoli o coscienti, sui binari della nostra città, a cui si è affiancata la notizia del tentato suicidio di una giovane ragazza: amare coincidenze o disagio collettivo? Mettendo da parte le tante "speculazioncine" che si sono susseguite, abbiamo voluto ascoltare il parere di un esperto, il sociologo Leonardo Palmisano.
Risale a pochi giorni fa la notizia del tentato suicidio di una giovane ragazza barlettana, che sembra fare eco nel tempo ad un altro ragazzo che, lo scorso anno, si tolse la vita saltando dal balcone di casa. Possiamo ipotizzare una situazione di disagio condivisa e talmente insostenibile da condurre al suicidio? Da parte di due giovani soprattutto.
Mi attengo alla lezione di Durkheim. Se aumentano i suicidi, qualcosa non va sul piano dell'integrazione sociale. Leggo così questi suicidi. Evidentemente questi giovani sono esclusi, generalmente, da momenti di costruzione di società proprio mentre questa crisi economica e sociale richiederebbe più solidarietà orizzontale, tra pari.
Nelle ultime settimane, Barletta sembra essere diventata funereo ricettacolo di vittime da binari: sono cinque le persone che hanno perso la vita, investite da un treno. Si parla di incidente, ma più spesso pensiamo al suicidio. Perché, secondo lei, si sta creando questa spirale di morte legata ai treni? Non trascurando il disagio sociale che ne consegue (pendolari e studenti bloccati per i ritardi e le soppressioni), che forse è un modo per far da eco al disagio personale di chi attraversa fatalmente quei binari.
Il suicidio sotto il treno è un classico della realtà, perché senza rimedio. Molto difficile salvarsi, e anche in quel caso si porterebbero i segni dell'impatto a vita. Penso che se c'è questo aumento dei suicidi, deve interrogarsi l'intera città. Io temo che il sistema Barletta sia diventato piuttosto escludente. Una città dove pezzi di società non comunicano, non si frequentano, spesso confliggono con l'arroganza che contraddistingue questo tempo di crisi. L'amministrazione comunale, per esempio, dovrebbe istituzionalizzare momenti di partecipazione, di condivisione, di inclusione grazie ad esperti che sappiano analizzare le ferite e le depressioni che possono orientare alcuni al suicidio e altri a chiudersi nel dolore domestico.
Lei ha scritto un interessante saggio sulla prostituzione, intitolato "La città del sesso", parlando di mercificazione del corpo. Il suicidio, metaforicamente parlando, può essere considerato una mercificazione del corpo? In ottica cristiana, disporre sino alla morte del proprio corpo è peccato mortale; ma dal punto di vista sociologico, che cosa rappresenta?
Mi sto occupando di suicidio per il mio prossimo romanzo, e quello che mi interessa dire, rispondendo alla domanda, è che la morale cattolica conta poco. I suicidi sono sempre una risposta individuale a un malessere sociale, anche se spesso il suicida non ne percepisce la portata. Io posso suicidarmi perché perdo il lavoro, ma tanti non si suicidano pur avendo perso il lavoro. Ma nel momento in cui mi suicido, o decido di farlo, posso anche non pensare agli altri, ma a me. Questa forma di suicidio egoistico è forse la più diffusa oggigiorno.
Esiste un modo per fare "prevenzione"? Anche banalizzando, può fare la differenza ascoltare, dimostrare empatia verso i problemi di chi, accanto a noi, dimostra tendenze depressive e di forte isolamento?
Non basta più l'ascolto. Servono i luoghi della partecipazione, della condivisione non televisiva e non atomistica della gioia, del dolore, del quotidiano. Tutti devono sentirsi parte di un tutto. Se questo non avviene, qualunque terapia psicologica non può che fallire.
Risale a pochi giorni fa la notizia del tentato suicidio di una giovane ragazza barlettana, che sembra fare eco nel tempo ad un altro ragazzo che, lo scorso anno, si tolse la vita saltando dal balcone di casa. Possiamo ipotizzare una situazione di disagio condivisa e talmente insostenibile da condurre al suicidio? Da parte di due giovani soprattutto.
Mi attengo alla lezione di Durkheim. Se aumentano i suicidi, qualcosa non va sul piano dell'integrazione sociale. Leggo così questi suicidi. Evidentemente questi giovani sono esclusi, generalmente, da momenti di costruzione di società proprio mentre questa crisi economica e sociale richiederebbe più solidarietà orizzontale, tra pari.
Nelle ultime settimane, Barletta sembra essere diventata funereo ricettacolo di vittime da binari: sono cinque le persone che hanno perso la vita, investite da un treno. Si parla di incidente, ma più spesso pensiamo al suicidio. Perché, secondo lei, si sta creando questa spirale di morte legata ai treni? Non trascurando il disagio sociale che ne consegue (pendolari e studenti bloccati per i ritardi e le soppressioni), che forse è un modo per far da eco al disagio personale di chi attraversa fatalmente quei binari.
Il suicidio sotto il treno è un classico della realtà, perché senza rimedio. Molto difficile salvarsi, e anche in quel caso si porterebbero i segni dell'impatto a vita. Penso che se c'è questo aumento dei suicidi, deve interrogarsi l'intera città. Io temo che il sistema Barletta sia diventato piuttosto escludente. Una città dove pezzi di società non comunicano, non si frequentano, spesso confliggono con l'arroganza che contraddistingue questo tempo di crisi. L'amministrazione comunale, per esempio, dovrebbe istituzionalizzare momenti di partecipazione, di condivisione, di inclusione grazie ad esperti che sappiano analizzare le ferite e le depressioni che possono orientare alcuni al suicidio e altri a chiudersi nel dolore domestico.
Lei ha scritto un interessante saggio sulla prostituzione, intitolato "La città del sesso", parlando di mercificazione del corpo. Il suicidio, metaforicamente parlando, può essere considerato una mercificazione del corpo? In ottica cristiana, disporre sino alla morte del proprio corpo è peccato mortale; ma dal punto di vista sociologico, che cosa rappresenta?
Mi sto occupando di suicidio per il mio prossimo romanzo, e quello che mi interessa dire, rispondendo alla domanda, è che la morale cattolica conta poco. I suicidi sono sempre una risposta individuale a un malessere sociale, anche se spesso il suicida non ne percepisce la portata. Io posso suicidarmi perché perdo il lavoro, ma tanti non si suicidano pur avendo perso il lavoro. Ma nel momento in cui mi suicido, o decido di farlo, posso anche non pensare agli altri, ma a me. Questa forma di suicidio egoistico è forse la più diffusa oggigiorno.
Esiste un modo per fare "prevenzione"? Anche banalizzando, può fare la differenza ascoltare, dimostrare empatia verso i problemi di chi, accanto a noi, dimostra tendenze depressive e di forte isolamento?
Non basta più l'ascolto. Servono i luoghi della partecipazione, della condivisione non televisiva e non atomistica della gioia, del dolore, del quotidiano. Tutti devono sentirsi parte di un tutto. Se questo non avviene, qualunque terapia psicologica non può che fallire.