Mimì Ottaviano: «Il trabucco è una cosa seria, un simbolo unico per Barletta»

Parla il trabucchista peschiciano che l'ha visto nascere

mercoledì 2 aprile 2014 12.00
A cura di Edoardo Centonze
Continuiamo a parlare del trabucco, di cui in questi giorni si discute molto per la sua condizione ormai prossima alla fine, e lo facciamo attraverso una testimonianza speciale: quella di Mimì Ottaviano.

Domenico Ottaviano, per tutti Mimì, classe 1932, membro di una storica famiglia di trabucchisti di Peschici, ha visto nascere uno dei trabucchi di Barletta agli inizi degli anni '50. Era allora un giovane che aveva imparato il mestiere da suo padre Carlo, il quale a sua volta l'aveva imparato dal padre Giovanni Battista (il nonno di Mimì ndr). Mimì racconta di aver aiutato il padre a costruire il trabucco a Barletta, assieme ad un operaio peschiciano e a quattro operai barlettani. «Mio padre mi portava sempre con lui, sin da quando avevo 15 anni, per farmi imparare il mestiere - racconta il signor Mimì - Ero l'ultimo dei suoi figli. Abbiamo costruito trabucchi non solo a Barletta, ma in varie zone, anche a Genova e a Livorno. Il primo che ho costruito da solo, senza mio padre, è stato a Polignano a Mare nel 1952».

Signor Ottaviano, qual è il suo ricordo del trabucco di Barletta?
«Quando mio padre ha costruito il trabucco a Barletta, avevo intorno ai 17-18 anni: doveva essere il 1950-51. E' passato così tanto tempo. Papà portava con se un operaio, che era capace e ascoltava come doveva legare una corda o un filo di ferro. C'erano anche quattro operai di Barletta. Il trabucco è stato costruito due volte. La prima volta insieme a mio padre (quella a cui ha partecipato Mimì ndr), la seconda volta è stato costruito a pochi metri di distanza, sempre sullo stesso braccio».

Un modo per far rinascere a Barletta il trabucco, può essere, come avete fatto voi a San Nicola, cioè creare attorno anche una area ristoro per attrarre i turisti?
«Penso che ci vuole una mano anche del Comune, in modo che la Capitaneria di Porto non debba avere a che fare soltanto con il privato, perché il privato può avere varie idee».

Lei dice quindi che se deve essere ricostruito, bisogna fare in modo che torni ad essere un simbolo di tutta la città e non solo di privati?
«Precisamente».

«Per il trabucco ci vuole una manutenzione giornaliera - aggiunge Ottaviano - Ha bisogno di almeno una persona che ce l'ha cuore, e non solo per il fatto di averlo. Quando per esempio il mare diventa forza otto, forza nove, forza dieci, appena il mare si calma, la prima cosa da fare è andare a controllare il trabucco, per vedere ancora si è rotto qualcosa. Ci vuole passione. Io il trabucco ce l'ho nel sangue».

Un trabucco che muore che effetto le fa?
«E' impossibile secondo me. Una cosa unica in una città come Barletta, una cosa che non costa un patrimonio ricostruire. Si può fare».

«Io per l'esperienza che ho e per la passione che ho per i trabucchi, per me non può esistere farlo andare a male. Il Comune si dovrebbe impegnare a tenerlo su, per il simbolo almeno. E' un simbolo unico per Barletta. Non è che ce ne hai tre, non è come qui a Peschici che in 10 km ce ne sono cinque. Il trabucco se è composto da 100 fili di ferro, se ce ne sono 99 non si tiene più. Il trabucco è una cosa seria, non è una stupidaggine».