Michele Grimaldi: «La festa Patronale? Va ripensata»

La nota dello storico barlettano

venerdì 12 luglio 2024 13.40
«Il cuore degli inviti rivolti ai cittadini barlettani da figure istituzionali e religiose (Sindaco, Vescovo, ecc.) è "Vivete la Festa Patronale, non andate fuori città!" Questo per contrastare, l'ormai radicata abitudine, di spostarsi dalla città nei giorni della festa patronale scegliendo altri e meno caotici lidi». Così lo storico, Michele Grimaldi.

«Nell'invito a partecipare fattivamente all'organizzazione della festa, si poneva l'accento sulla fondamentale necessità che i barlettani non smarrissero l'idea di come le giornate della festa patronale, al pari delle celebrazioni laiche, rappresentino un forte tratto identitario della coscienza civica, storica, sociale, culturale e religiosa di Barletta, oltre che personale, facendo palesemente riferimento alla più recente usanza per la quale in tanti si organizzano, nei giorni della festa patronale, per dare inizio alle proprie vacanze lontani dalla nostra città.

Bene, appurata l'ormai radicata abitudine, la domanda che dovremmo porci un po' tutti è la seguente: se così in gran numero vanno via da Barletta nei giorni della Festa patronale, quale la causa? A mio avviso sono tantissimi quelli i quali pensano che la ricorrenza in questione sia diventata un lusso atto a portar via tante energie e soldi per qualcosa, a loro parere, ormai del tutto superflua.

Ho cercato di spiegarlo in tempi non sospetti: la funzione sociale della festa patronale è venuta meno negli ultimi anni (parlo delle festa civile, non religiosa). Non si avverte più il bisogno di un momento di festa per la città, perché Barletta è in festa tutto l'anno, specie d'estate, con invasioni pacifiche e redditizie (?) di pubblici diversi, turisti e vacanzieri provenienti da tutto il mondo.
Gli stessi barlettani vivono la città per l'intero arco della bella stagione e quindi si è perduta l'attesa per il gioioso momento del ritorno dalle vacanze per la festa. La festa non serve, è inutile e quindi brutta e lo sarà sempre di più, non certo per colpa di questo o quel Sindaco, colpevole di non renderla uno spettacolo mirabolante, ma perché sono cambiati i tempi, le abitudini di vita e le prospettive.

Anacronistica e priva di fascino, la festa patronale a Barletta è rimasta terreno di contesa per dibattiti e polemiche e per qualche nostalgico (tra i quali il sottoscritto, ahimè!) che ricorda la sua giovinezza o la sua infanzia con il cuore che gli batteva per la banda e il pezzo di focaccia con mortadella e provolone gustato in riva al mare mentre si ammiravano i "fuochi". Come quella signora innamorata della sua bambola di pezza, ormai consunta, in un tempo in cui le bambole parlano, camminano e fanno altro. Ma pensiamo davvero che ci vogliano due luminarie accese per rischiarare il buio della stagione che stiamo vivendo? Il mondo va avanti perché qualcuno inventa e crea cose nuove, la tradizione (o quel pochissimo che ne rimane) fine a se stessa è poca roba, talvolta inutile o addirittura dannosa, perché non agevola il progresso e lo sviluppo.

Il "giorno dei Santi" o "festa Patronale" nella sua origine voleva essere giorno di festa, nella quale si cessava dalle attività lavorative per lasciare spazio a momenti di vita spirituale, familiare e sociale. Al centro delle manifestazioni c'era la santa Messa e la processione in onore dei Santi Patroni con la quasi totale partecipazione della Comunità (ora i barlettani partono in vacanza proprio nella tre giorni cruciale). C'era poi il tempo per riunirsi o incontrare i propri familiari e parenti che spesso abitavano fuori città, invitandoli a stare insieme in quei giorni. Oggi, certo, sembra che abbiano preso il sopravvento altri elementi che rischiano di svuotare il contenuto specificamente cristiano e umano che ne era all'origine, per lasciare il campo a una manifestazione quasi (eliminerei anche il quasi) esclusivamente commerciale.

Il problema pastorale che la Chiesa sta affrontando, è quello di ripensare la festa patronale attualizzandone il significato originario, anche se non è da eliminare tutto ciò che va oltre la dimensione religiosa. Ciò significa che le feste patronali andrebbero inserite in un itinerario di fede parrocchiale o cittadina nel medesimo tempo, con l'auspicio che non si limitassero a rimarcare anno dopo anno le medesime manifestazioni consumistiche. A questo proposito Gustav Mahler in modo molto opportuno affermava che "Tradizione non è adorazione della cenere ma custodia del fuoco". Nella programmazione della festa patronale andrebbero, perciò, proposti incontri specifici per approfondire la testimonianza dei Santi patroni e la loro valenza per la Chiesa di oggi. Si lo so e ne sono ben cosciente, ma come si potrebbe far comprendere tutto quello detto ad una massa incalcolabile di persone che, come unico obiettivo, ha quello di scatenarsi in smodate mangiate e soprattutto bevute (quelli che una volta i nostri vecchi chiamavano stravizi) come se venissero da un prolungatissimo periodo di astinenza? Soluzione? Mantenere solo la parte religiosa ed abolire il caos assoluto, tanto ogni sera, specie l'estate, è una festa patronale no limits!»