"La Trilogia della Villeggiatura", Servillo dirige l’Italia di oggi
La rinuncia all’amore e le convenzioni sociali dal ‘700 goldoniano alla più viva attualità: la recensione dello spettacolo al Teatro Comunale Curci
sabato 20 febbraio 2010
14.00
Basato sul testo di Strehler del 1954, l'attore di cinema e teatro Toni Servillo porta sulla scena l'immortale opera di Carlo Goldoni, affresco di un'Italia settecentesca non troppo diversa dalla nostra. Sono le stesse manie, le stesse stravaganze e le stesse noie ad animare le famiglie di una triste aristocrazia di metà '700, che progetta le tanto ambite vacanze estive, la partenza per le campagne…
La villeggiatura, il vero incubo, desiderio anelato e moda di passaggio, è per i protagonisti uno status symbol irrinunciabile, a costo di rasentare la rovina economica. La villeggiatura è la moderna agorà, dove si scambiano opinioni, si fa mostra di sé, ci si diverte divertendo, si incontra gente mai vista, insomma si vive. La città è la noia, la quotidianità, sola scenografica ai preparativi per la partenza, sottofondo immateriale delle concitate vite degli aristocratici protagonisti nella prima parte dell'opera, Le smanie per la villeggiatura. In campagna tutto cambierà, a partire dalla scenografia che in Le avventure della villeggiatura si riempie dell'afoso sole estivo, fino a coprire il palcoscenico di un idilliaco manto erboso che nasconderà amori e delusioni.
Dialettica tra giovani e adulti, l'opera è un crescendo passionale in cui si incontrano – e si scontrano – le vicende sentimentali di due coppie, irretiti da passioni celate e sentimenti non corrisposti, da parole fraintese e contratti di matrimonio fin troppo celeri. Su tutti la delicata Giacinta (Anna Della Rosa) costretta da una promessa ad un uomo che stima (ma non ama), ma fremente di amore per Guglielmo, un giovane viveur, affascinante e misterioso, che la ammalia tra le noie della villeggiatura.
Amara è la riflessione sulla società: gli affetti sono costretti a morire, rimangono intrappolati tra le verdi fronde della campagna, e quando si torna in città non c'è più spazio per i sogni. I giovani si incamminano verso il futuro, futuro di stabilità, di sicurezze economiche, non certo di irrazionali passioni nate in villeggiatura. Amaro è il personaggio di Servillo, scroccone che vive delle certezze altrui, che sorride beato alla vita senza preoccuparsi troppo della crudele realtà fatta di assurde convenzioni. Personaggio reale, metafora di un cinico moderno incurante che prende la vita per gioco. Il pubblico ride con lui, ma al termine dell'opera, con l'epilogo Il ritorno dalla villeggiatura, sentirà l'amaro in bocca.
Da regista Servillo porta in scena l'Italia di oggi, racchiusa nei dialoghi serrati e nelle manie di un paese che mai come ora è ripiegato su sé stesso in antichi stereotipi.
La villeggiatura, il vero incubo, desiderio anelato e moda di passaggio, è per i protagonisti uno status symbol irrinunciabile, a costo di rasentare la rovina economica. La villeggiatura è la moderna agorà, dove si scambiano opinioni, si fa mostra di sé, ci si diverte divertendo, si incontra gente mai vista, insomma si vive. La città è la noia, la quotidianità, sola scenografica ai preparativi per la partenza, sottofondo immateriale delle concitate vite degli aristocratici protagonisti nella prima parte dell'opera, Le smanie per la villeggiatura. In campagna tutto cambierà, a partire dalla scenografia che in Le avventure della villeggiatura si riempie dell'afoso sole estivo, fino a coprire il palcoscenico di un idilliaco manto erboso che nasconderà amori e delusioni.
Dialettica tra giovani e adulti, l'opera è un crescendo passionale in cui si incontrano – e si scontrano – le vicende sentimentali di due coppie, irretiti da passioni celate e sentimenti non corrisposti, da parole fraintese e contratti di matrimonio fin troppo celeri. Su tutti la delicata Giacinta (Anna Della Rosa) costretta da una promessa ad un uomo che stima (ma non ama), ma fremente di amore per Guglielmo, un giovane viveur, affascinante e misterioso, che la ammalia tra le noie della villeggiatura.
Amara è la riflessione sulla società: gli affetti sono costretti a morire, rimangono intrappolati tra le verdi fronde della campagna, e quando si torna in città non c'è più spazio per i sogni. I giovani si incamminano verso il futuro, futuro di stabilità, di sicurezze economiche, non certo di irrazionali passioni nate in villeggiatura. Amaro è il personaggio di Servillo, scroccone che vive delle certezze altrui, che sorride beato alla vita senza preoccuparsi troppo della crudele realtà fatta di assurde convenzioni. Personaggio reale, metafora di un cinico moderno incurante che prende la vita per gioco. Il pubblico ride con lui, ma al termine dell'opera, con l'epilogo Il ritorno dalla villeggiatura, sentirà l'amaro in bocca.
Da regista Servillo porta in scena l'Italia di oggi, racchiusa nei dialoghi serrati e nelle manie di un paese che mai come ora è ripiegato su sé stesso in antichi stereotipi.
Toni Servillo nel ruolo dello "scrocco" Ferdinando