La Terra è mia
In scena lo spettacolo di due giovani attori barlettani. Ci racconta la nostra Italia moderna
lunedì 10 gennaio 2011
E' andato in scena presso il circolo Arci "Carlo Cafiero" di Barletta lo spettacolo "La terra è mia" scritto ed interpretato da quattro giovani attori, Stefano Greco e Laura Pece e dai barlettani Savino Italiano e Olga Mascolo, dotati di una bella inventiva nell'affrontare tematiche certamente non facili. Lo spettacolo ha al proprio centro la terra e la brama di possesso che la terra scatena: recinti, muri, violenze e soprusi, tutto fatto per il possesso di quel fazzoletto di terra che ieri sera era rappresentato dal palcoscenico.
Nello spettacolo i protagonisti, due servi e due padroni, indossano maschere tipiche della tradizione popolare italiana. Gli attori scelgono un problema spinoso da trattare e di non facile interpretazione: la terra, che se da un lato è vita e sostentamento, dall'altro può significare morte e discordia.
Lo spettacolo cerca di "raccontare" anche i sentimenti e le reazioni umane legate alla terra ed al suo possesso: il desiderio sfrenato di possedere genera desolazione in chi desidera e possiede, ed il sopruso che ne consegue genera violenza; ed è proprio di questa che gli attori cercano di parlare, cosa difficile da fare perché la violenza è di per sé muta (muta perché laddove arriva la violenza non è potuta arrivare la parola, laddove vince la violenza nulla ha potuto il dialogo), quindi di difficile comprensione. Anche per questo è interessante l'utilizzo che dei dialetti si fa nello spettacolo: essi sono utilizzati dai servitori, sono il linguaggio del popolo che quasi sempre è al di fuori delle logiche del potere e non può che esprimersi con una lingua genuina, mai studiata ma sempre saputa, il dialetto. Contrapposto al dialetto dei servitori c'è l'italiano dei padroni. Essi, tranne qualche eccesso d'ira nei confronti dei loro servi, parlano italiano tra di loro: sono colti e sanno di esserlo, e sono colti a scapito dei loro servitori.
Lo spettacolo ci racconta, quindi, di territori contesi teatro di violenza nel mondo, dalla Palestina al Kashmir, ma anche, aggiungiamo noi, ci racconta la nostra Italia moderna dove, per questioni riguardanti proprio confini di terra, la settimana scorsa, in Calabria, una famiglia è stata annientata.
Consigliamo senz'altro di continuare a seguire questi giovani attori in futuro.
Nello spettacolo i protagonisti, due servi e due padroni, indossano maschere tipiche della tradizione popolare italiana. Gli attori scelgono un problema spinoso da trattare e di non facile interpretazione: la terra, che se da un lato è vita e sostentamento, dall'altro può significare morte e discordia.
Lo spettacolo cerca di "raccontare" anche i sentimenti e le reazioni umane legate alla terra ed al suo possesso: il desiderio sfrenato di possedere genera desolazione in chi desidera e possiede, ed il sopruso che ne consegue genera violenza; ed è proprio di questa che gli attori cercano di parlare, cosa difficile da fare perché la violenza è di per sé muta (muta perché laddove arriva la violenza non è potuta arrivare la parola, laddove vince la violenza nulla ha potuto il dialogo), quindi di difficile comprensione. Anche per questo è interessante l'utilizzo che dei dialetti si fa nello spettacolo: essi sono utilizzati dai servitori, sono il linguaggio del popolo che quasi sempre è al di fuori delle logiche del potere e non può che esprimersi con una lingua genuina, mai studiata ma sempre saputa, il dialetto. Contrapposto al dialetto dei servitori c'è l'italiano dei padroni. Essi, tranne qualche eccesso d'ira nei confronti dei loro servi, parlano italiano tra di loro: sono colti e sanno di esserlo, e sono colti a scapito dei loro servitori.
Lo spettacolo ci racconta, quindi, di territori contesi teatro di violenza nel mondo, dalla Palestina al Kashmir, ma anche, aggiungiamo noi, ci racconta la nostra Italia moderna dove, per questioni riguardanti proprio confini di terra, la settimana scorsa, in Calabria, una famiglia è stata annientata.
Consigliamo senz'altro di continuare a seguire questi giovani attori in futuro.