La storia della Processione del Venerdì Santo raccontata da Michele Grimaldi
La parola allo storico ed archivista di Stato
venerdì 29 marzo 2024
Riceviamo e pubblichiamo il racconto della storia della Processione del Venerdì Santo realizzato dall'archivista di Stato, Michele Grimaldi.
Quando il poeta dialettale "Giggi" Zanazzo diceva che a Roma "ar tempo der papa c'ereno più precissione che preti", non diceva cose lontane dal vero. Basta verificarlo, anche per la nostra Città, nelle cronache dell'epoca: non c'era chiesa o confraternita che nell'arco dell'anno non facesse una processione, così come si sta tornando a fare oggi. Oltre a quelle maggiori che coinvolgevano tutta la città, erano importanti quelle per le solennità mariane, particolarmente sentite dalla gente del popolo che aveva venerazione per le diverse immagini della Madonna conservate nelle chiese e nelle edicole sacre, come pure numerose erano le processioni organizzate dalle varie confraternite in occasione della Settimana Santa.
Per tutte queste occasioni era previsto un rigido cerimoniale che elencava in modo preciso sia l'abbigliamento sia le regole su chi dovesse avere la precedenza nella sfilata. Era una delle rare occasioni in cui le differenti classi sociali si trovavano fianco a fianco, anche se la popolazione perdeva spesso di vista le finalità religiose.
In questo contesto storico religioso va inserita la Processione del Venerdì Santo a Barletta. Innanzitutto bisogna inquadrarla dal punto di vista religioso. Il tradizionale evento, una delle più antiche espressioni di fede e spiritualità della Comunità barlettana, è un momento particolarissimo per i credenti e questo significato centrale non va mai dimenticato, un momento di intensa emozione collettiva. In questa speciale occasione, in una giornata di profonda spiritualità, i barlettani riscoprono le loro radici cattoliche e la comunità si ritrova per celebrare forse la più grande testimonianza di fede che si vive nella nostra Città.
Infatti sono tantissimi gli elementi unici che contraddistinguono l'evento: una delle ricorrenze più importanti nella vita dei fedeli e non, attraverso la quale la Città si ritrova, in tutte le sue componenti, a metter insieme spiritualità e partecipazione popolare, fede e devozione, mondo religioso e mondo laico, arte e cultura completando il mosaico di una Barletta dalla storia antica ma rivolta al futuro senza rinunciare alle proprie radici. Chiunque abbia avuto modo di assistere, negli anni, alla Processione, conserva dentro di sé la memoria di un'emozione fortissima, scandita dai ritmi dei portatori della splendida Urna.
A questo punto è d'obbligo fare un passo indietro e spiegare la nemesi dell'evento. Il tutto risale al voto che la Città di Barletta pronunziò in occasione della cessazione della peste del 1656 (copia di quel voto è stata donata a S.S. Papa Francesco il 4 maggio 2022 durante l'udienza generale del mercoledì) allorquando i nostri progenitori, vista l'incredibile virulenza del contagio, ricorsero all'unico "Benefattore" ed alla sua divina misericordia, per far si che la peste fosse debellata.
Sfogliando le pagine ingiallite della Storia, si può avere riscontro come la Processione esisteva già dal 1504 ed anche in quella occasione si era ricorso alla fede per bloccare un'altra epidemia di peste. I tempi e i modi dello svolgimento della prima processione sono soltanto immaginabili in quanto non è possibile accedere a fonti certe per il semplice motivo che non sono reperibili, ma si può immaginare che il tutto sia avvenuto nella notte tra il Giovedì e il Venerdì Santo nel momento in cui l'epidemia aveva raggiunto il punto più virulento e mortale. In diversi documenti reperiti dal 1592 e sino al "famoso" 1656, si cita senza ombra di dubbio la Processione del Giovedì o del Venerdì Santo.
Un cambiamento "epocale" si ebbe con una disposizione di Ferdinando IV del 24 marzo 1769, con la quale si ordinava, per motivi di sicurezza, che le processioni non fossero più effettuate durante la notte e di conseguenza quella della Settimana Santa venne spostata al pomeriggio del Venerdì. Tra le processioni che si sono succedute attraverso i secoli, la lente di ingrandimento va indubbiamente posta su quella del 1656 e questo anche perché l'evento è stato immortalato e "certificato" da un rogito notarile che viene conservato dalla Sezione di Archivio di Stato di Trani.
Le cronache dell'epoca riportano l'inspiegabile e repentina cessazione della peste che non mieté più vittime (la peste che investì Barletta uccise tra le 8000 e le 13.000 persone) proprio nella notte tra il Giovedì Santo e il Venerdì allorquando sulla Città si abbatté una nevicata di incredibile intensità mentre il corteo transitava dalle parti dell'attuale via Romania. In seguito alla fondamentale intercessione ricevuta, non soltanto il clero ma l'intera Città di Barletta "formalizzò" il Voto di ringraziamento.
Nel rogito notarile del notaio Leonardo Cellammare datato 29 luglio 1656 si legge "…Potendo dire con verità che nelle universali miserie che affliggono in questi tempi questo regno: manus Domini tetigit nos (la mano del Signore ci ha toccato)… che col flagello del contagio ha dato principio d'alcuni giorni in qua punire i nostri peccati e scelleraggini …Onde noi Sindaco (Marco Antonio Bonelli), Eletti e Deputati in nome di tutto il Pubblico … facciamo voto e giuriamo, intendendo di obbligare a tal voto e giuramento le nostre vite e di tutti i nostri cittadini presenti e futuri (attenzione!) , di far fabbricare un trofeo delle divine misericordie, acciò sia questa città libera dal contagio: una Cassa o una urna d'argento di valore di scudi duecento, nel quale si debba portare in processione per la città il Santissimo Sacramento il Venerdì Santo a sera ".
Si potrebbe considerare questo un semplice atto di magnanimità da parte dell'amministrazione dell'epoca se la frase fosse letta estrapolandola dal contesto del "Voto" fatto dalla "Fedelissima Città di Barletta in occasione del contagio". Avete inteso bene perché quello di cui stiamo parlando, ma che qualcuno vorrebbe stravolgere nel suo effettivo significato, è proprio un "Voto". In ambito religioso si definisce voto una promessa fatta a Dio. La promessa è obbligante e quindi differisce dalla semplice risoluzione che è un proposito presente di fare o di non fare, delle determinate cose in futuro. E la scelta della forma "promessa obbligante" non fu proferita da un cittadino qualsiasi ma, come si legge nell'atto notarile, dal Sindaco con Eletti e Deputati (gli attuali Consiglieri comunali).
La promessa quindi è stata ed è ancor oggi vincolante, prova ne sia che la processione eucaristico - penitenziale del Venerdì Santo vive, anche nei nostri giorni, un momento di comunanza tra la profonda spiritualità e l'importante partecipazione laica. Una considerazione per il Sindaco che di solito porta la sua fascia d'ordinanza con in mano un cero acceso. Sicuramente il Primo Cittadino o suo rappresentante, dovrebbe essere a conoscenza che accendere una candela e offrirla è un modo per affermare la propria volontà di seguire l'esempio di Gesù, di essere "luce del mondo". Esprime anche la volontà di affidare le proprie parole e i propri pensieri al Signore, alla Madonna e ai santi. È una richiesta d'aiuto, di una luce che illumini dall'alto la nostra vita, magari in un momento in cui ci dibattiamo nelle tenebre e che tenebre!
A proposito della "Cassa o una urna d'argento di valore di scudi duecento" secondo la ricostruzione fatta dallo storico barlettano Salvatore Santeramo, la prima urna di cui si ha notizia fu donata dalla nobile Antonia Marulli prima del 1719. Nel Bonorum di quell'anno, a firma del nobile Affajtati, dell'Arciconfraternita del Santissimo Sacramento di Santa Maria Maggiore in San Pietro, per la prima volta viene nominata e descritta l'urna in questione, "di velluto nero guarnita di argento massiccio".
Sempre negli atti della stessa Arciconfraternita del Santissimo viene nominata una seconda urna donata dal confratello Don Ignazio de Queralt, tutta in argento massiccio. Se ne parla in una nota del Bonorum del 1755 e poi, per esteso, in quello del 1795. Nei fatti avvenuti in seguito al passaggio delle truppe francesi fra marzo e aprile del 1799, fu richiesta alla municipalità barlettana, da parte del generale Sarascin, la somma di ventimila ducati, secondo quanto riferisce Monsignor Salvatore Santeramo. Il verbale della riunione dell'Arciconfraternita del Santissimo del 15 settembre 1799, riporta che il priore, Antonio De Leone, faceva sapere che l'urna del de Queralt era stata consegnata ai francesi il 20 aprile dello stesso anno a "riparazione della somma richiesta". Nella stessa riunione veniva deliberato di provvedere all'esecuzione di una nuova urna.
Dopo aver raggiunto la somma necessaria, attraverso una "colletta" tra le famiglie più in vista della Città, si provvide a dare mandato al console ed argentiere Antonio Guariniello; membro di una delle più prestigiose famiglie di argentieri attiva a Napoli dalla seconda metà del 1600 alla fine del 1700 per rifare l'urna e Camillo Elefante, ne da notizia nella sua "Cronaca" datandone la consegna il giorno 11 aprile del 1800, Venerdì Santo di quell'anno.
Infine, un passaggio veramente toccante delle celebrazioni è l'esecuzione del "Christus", opera di intensa e sacra bellezza del maestro barlettano Giuseppe Curci, che quest'anno torna ad essere eseguita in piazza Plebiscito, sul sagrato della chiesa di San Gaetano, in conclusione del corteo sacro.
Insomma questa manifestazione di fede profonda, non può e non deve essere considerata una semplice tradizione popolare. Il perché vive nel suo vero significato, riconducibile al mistero stesso della Pasqua e della Resurrezione di nostro Signore Gesù Cristo in quanto il dono dell'Eucaristia che viene portata in processione, caso unico al mondo grazie alla Bolla di Leone X del 1517, si compirà proprio nella Passione, Morte e Resurrezione celebrata ogni anno con il Triduo Pasquale.
Quando il poeta dialettale "Giggi" Zanazzo diceva che a Roma "ar tempo der papa c'ereno più precissione che preti", non diceva cose lontane dal vero. Basta verificarlo, anche per la nostra Città, nelle cronache dell'epoca: non c'era chiesa o confraternita che nell'arco dell'anno non facesse una processione, così come si sta tornando a fare oggi. Oltre a quelle maggiori che coinvolgevano tutta la città, erano importanti quelle per le solennità mariane, particolarmente sentite dalla gente del popolo che aveva venerazione per le diverse immagini della Madonna conservate nelle chiese e nelle edicole sacre, come pure numerose erano le processioni organizzate dalle varie confraternite in occasione della Settimana Santa.
Per tutte queste occasioni era previsto un rigido cerimoniale che elencava in modo preciso sia l'abbigliamento sia le regole su chi dovesse avere la precedenza nella sfilata. Era una delle rare occasioni in cui le differenti classi sociali si trovavano fianco a fianco, anche se la popolazione perdeva spesso di vista le finalità religiose.
In questo contesto storico religioso va inserita la Processione del Venerdì Santo a Barletta. Innanzitutto bisogna inquadrarla dal punto di vista religioso. Il tradizionale evento, una delle più antiche espressioni di fede e spiritualità della Comunità barlettana, è un momento particolarissimo per i credenti e questo significato centrale non va mai dimenticato, un momento di intensa emozione collettiva. In questa speciale occasione, in una giornata di profonda spiritualità, i barlettani riscoprono le loro radici cattoliche e la comunità si ritrova per celebrare forse la più grande testimonianza di fede che si vive nella nostra Città.
Infatti sono tantissimi gli elementi unici che contraddistinguono l'evento: una delle ricorrenze più importanti nella vita dei fedeli e non, attraverso la quale la Città si ritrova, in tutte le sue componenti, a metter insieme spiritualità e partecipazione popolare, fede e devozione, mondo religioso e mondo laico, arte e cultura completando il mosaico di una Barletta dalla storia antica ma rivolta al futuro senza rinunciare alle proprie radici. Chiunque abbia avuto modo di assistere, negli anni, alla Processione, conserva dentro di sé la memoria di un'emozione fortissima, scandita dai ritmi dei portatori della splendida Urna.
A questo punto è d'obbligo fare un passo indietro e spiegare la nemesi dell'evento. Il tutto risale al voto che la Città di Barletta pronunziò in occasione della cessazione della peste del 1656 (copia di quel voto è stata donata a S.S. Papa Francesco il 4 maggio 2022 durante l'udienza generale del mercoledì) allorquando i nostri progenitori, vista l'incredibile virulenza del contagio, ricorsero all'unico "Benefattore" ed alla sua divina misericordia, per far si che la peste fosse debellata.
Sfogliando le pagine ingiallite della Storia, si può avere riscontro come la Processione esisteva già dal 1504 ed anche in quella occasione si era ricorso alla fede per bloccare un'altra epidemia di peste. I tempi e i modi dello svolgimento della prima processione sono soltanto immaginabili in quanto non è possibile accedere a fonti certe per il semplice motivo che non sono reperibili, ma si può immaginare che il tutto sia avvenuto nella notte tra il Giovedì e il Venerdì Santo nel momento in cui l'epidemia aveva raggiunto il punto più virulento e mortale. In diversi documenti reperiti dal 1592 e sino al "famoso" 1656, si cita senza ombra di dubbio la Processione del Giovedì o del Venerdì Santo.
Un cambiamento "epocale" si ebbe con una disposizione di Ferdinando IV del 24 marzo 1769, con la quale si ordinava, per motivi di sicurezza, che le processioni non fossero più effettuate durante la notte e di conseguenza quella della Settimana Santa venne spostata al pomeriggio del Venerdì. Tra le processioni che si sono succedute attraverso i secoli, la lente di ingrandimento va indubbiamente posta su quella del 1656 e questo anche perché l'evento è stato immortalato e "certificato" da un rogito notarile che viene conservato dalla Sezione di Archivio di Stato di Trani.
Le cronache dell'epoca riportano l'inspiegabile e repentina cessazione della peste che non mieté più vittime (la peste che investì Barletta uccise tra le 8000 e le 13.000 persone) proprio nella notte tra il Giovedì Santo e il Venerdì allorquando sulla Città si abbatté una nevicata di incredibile intensità mentre il corteo transitava dalle parti dell'attuale via Romania. In seguito alla fondamentale intercessione ricevuta, non soltanto il clero ma l'intera Città di Barletta "formalizzò" il Voto di ringraziamento.
Nel rogito notarile del notaio Leonardo Cellammare datato 29 luglio 1656 si legge "…Potendo dire con verità che nelle universali miserie che affliggono in questi tempi questo regno: manus Domini tetigit nos (la mano del Signore ci ha toccato)… che col flagello del contagio ha dato principio d'alcuni giorni in qua punire i nostri peccati e scelleraggini …Onde noi Sindaco (Marco Antonio Bonelli), Eletti e Deputati in nome di tutto il Pubblico … facciamo voto e giuriamo, intendendo di obbligare a tal voto e giuramento le nostre vite e di tutti i nostri cittadini presenti e futuri (attenzione!) , di far fabbricare un trofeo delle divine misericordie, acciò sia questa città libera dal contagio: una Cassa o una urna d'argento di valore di scudi duecento, nel quale si debba portare in processione per la città il Santissimo Sacramento il Venerdì Santo a sera ".
Si potrebbe considerare questo un semplice atto di magnanimità da parte dell'amministrazione dell'epoca se la frase fosse letta estrapolandola dal contesto del "Voto" fatto dalla "Fedelissima Città di Barletta in occasione del contagio". Avete inteso bene perché quello di cui stiamo parlando, ma che qualcuno vorrebbe stravolgere nel suo effettivo significato, è proprio un "Voto". In ambito religioso si definisce voto una promessa fatta a Dio. La promessa è obbligante e quindi differisce dalla semplice risoluzione che è un proposito presente di fare o di non fare, delle determinate cose in futuro. E la scelta della forma "promessa obbligante" non fu proferita da un cittadino qualsiasi ma, come si legge nell'atto notarile, dal Sindaco con Eletti e Deputati (gli attuali Consiglieri comunali).
La promessa quindi è stata ed è ancor oggi vincolante, prova ne sia che la processione eucaristico - penitenziale del Venerdì Santo vive, anche nei nostri giorni, un momento di comunanza tra la profonda spiritualità e l'importante partecipazione laica. Una considerazione per il Sindaco che di solito porta la sua fascia d'ordinanza con in mano un cero acceso. Sicuramente il Primo Cittadino o suo rappresentante, dovrebbe essere a conoscenza che accendere una candela e offrirla è un modo per affermare la propria volontà di seguire l'esempio di Gesù, di essere "luce del mondo". Esprime anche la volontà di affidare le proprie parole e i propri pensieri al Signore, alla Madonna e ai santi. È una richiesta d'aiuto, di una luce che illumini dall'alto la nostra vita, magari in un momento in cui ci dibattiamo nelle tenebre e che tenebre!
A proposito della "Cassa o una urna d'argento di valore di scudi duecento" secondo la ricostruzione fatta dallo storico barlettano Salvatore Santeramo, la prima urna di cui si ha notizia fu donata dalla nobile Antonia Marulli prima del 1719. Nel Bonorum di quell'anno, a firma del nobile Affajtati, dell'Arciconfraternita del Santissimo Sacramento di Santa Maria Maggiore in San Pietro, per la prima volta viene nominata e descritta l'urna in questione, "di velluto nero guarnita di argento massiccio".
Sempre negli atti della stessa Arciconfraternita del Santissimo viene nominata una seconda urna donata dal confratello Don Ignazio de Queralt, tutta in argento massiccio. Se ne parla in una nota del Bonorum del 1755 e poi, per esteso, in quello del 1795. Nei fatti avvenuti in seguito al passaggio delle truppe francesi fra marzo e aprile del 1799, fu richiesta alla municipalità barlettana, da parte del generale Sarascin, la somma di ventimila ducati, secondo quanto riferisce Monsignor Salvatore Santeramo. Il verbale della riunione dell'Arciconfraternita del Santissimo del 15 settembre 1799, riporta che il priore, Antonio De Leone, faceva sapere che l'urna del de Queralt era stata consegnata ai francesi il 20 aprile dello stesso anno a "riparazione della somma richiesta". Nella stessa riunione veniva deliberato di provvedere all'esecuzione di una nuova urna.
Dopo aver raggiunto la somma necessaria, attraverso una "colletta" tra le famiglie più in vista della Città, si provvide a dare mandato al console ed argentiere Antonio Guariniello; membro di una delle più prestigiose famiglie di argentieri attiva a Napoli dalla seconda metà del 1600 alla fine del 1700 per rifare l'urna e Camillo Elefante, ne da notizia nella sua "Cronaca" datandone la consegna il giorno 11 aprile del 1800, Venerdì Santo di quell'anno.
Infine, un passaggio veramente toccante delle celebrazioni è l'esecuzione del "Christus", opera di intensa e sacra bellezza del maestro barlettano Giuseppe Curci, che quest'anno torna ad essere eseguita in piazza Plebiscito, sul sagrato della chiesa di San Gaetano, in conclusione del corteo sacro.
Insomma questa manifestazione di fede profonda, non può e non deve essere considerata una semplice tradizione popolare. Il perché vive nel suo vero significato, riconducibile al mistero stesso della Pasqua e della Resurrezione di nostro Signore Gesù Cristo in quanto il dono dell'Eucaristia che viene portata in processione, caso unico al mondo grazie alla Bolla di Leone X del 1517, si compirà proprio nella Passione, Morte e Resurrezione celebrata ogni anno con il Triduo Pasquale.