La presenza di Gesù dona la vita ieri e oggi

«Accogliamolo anche nei momenti della vita dove regna buio e morte»

domenica 5 giugno 2016
Dal Vangelo secondo Luca: "In quel tempo, Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre. Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante".

Una piccola ma graziosa cittadina nelle vicinanze di Nazaret è, oggi, la testimone di una risurrezione operata da Gesù. Tre ne registrano i vangeli: quella della figlia di Giairo, quella odierna e quella di Lazzaro. In un crescendo Gesù guarda la morte in faccia, prima di annientarla nel suo stesso corpo. La figlia di Giairo sarà risuscitata subito dopo la morte; il figlio della vedova di Nain mentre viene condotto alla sepoltura; Lazzaro quando è già sepolto da ben quattro giorni. Ma cosa ci vuol dire San Luca con questo racconto di resurrezione operata da Gesù che solo lui ci riporta? La scena avviene in un incrocio di due cortei, uno quasi festoso, quello dei discepoli di Gesù e della folla che li seguiva, che andava in direzione della città; l'altro tutto mesto e triste, visto che si stava portando fuori dalla città per la sepoltura la salma di un giovane figlio di una madre vedova. Ma nel Vangelo un incrociarsi casuale diviene una occasione speciale di incontro in cui Dio, in Gesù, manifesta la sua potenza nel presentarsi come Dio amante della vita. Ciò che balza agli occhi e soprattutto al cuore di Gesù, più che la persona morta, è la madre, quella donna che ora non aveva più prospettive di vita. Una delle sofferenze maggiori è, infatti, quella di una madre che vede morire il frutto del proprio grembo. Quella che prova Gesù è compassione, meglio definita con "viscere di misericordia", un'azione che nella Sacra Scrittura è attribuita a Dio, mentre quando questa azione è umana si usa l'espressione "provare misericordia".

Il gesto e la parola di Gesù rivolta direttamente al morto richiamano un gesto sacramentale, in cui la dinamica tra parola proferita e gesto compiuto comunicano la partecipazione dell'uomo alla vita stessa di Dio. Tra l'altro il toccare un morto era cosa assolutamente proibita perché rendeva impura la persona che compiva questo gesto. Ma in questo caso non è l'impurità cultuale a trionfare ma la vita stessa di Dio. E l'ordine impartito da Gesù al ragazzo di risorgere viene immediatamente operato. Ma nel restituire il figlio vivo alla madre Gesù si presenta come colui che dona futuro certo. La reazione della folla, che ora non è più distinta tra quelli che seguivano Gesù e quelli che seguivano il corteo funebre, è all'unisono una lode al Signore per il beneficio compiuto. Il fatto che sia il figlio sia la madre siano senza nome ci riporta al significato della loro rappresentatività: Israele al tempo di Gesù era una sorta di madre vedova infruttuosa, i suoi figli dispersi nell'esecuzione di precetti e norme che rendevano il cuore arido e non vitale. La presenza di Gesù, anticipata nelle parole di Zaccaria "come sole che sorge per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell'ombra della morte", sottolinea che dove c'è lui fiorisce la vita.

Accogliamo il Signore Gesù negli angoli più reconditi e remoti della nostra vita, lì dove vi regna buio e morte, e sperimenteremo anche noi la grandezza e la bellezza della sua presenza, specialmente nel sacramento del perdono e dell'eucarestia. Buona domenica.

[don Vito]