La manovra abolirà le province, anzi no
Per sopprimere gli enti locali si lavorerà sulla Carta delle autonomie in commissione alla Camera. Stop alle Province al di sotto dei 220mila abitanti
martedì 1 giugno 2010
L'annunciato taglio degli enti locali non troverà spazio nella manovra. Si sa ogni Finanziaria che si rispetti porta con sé commi che spuntano come funghi e spariscono altrettanto rapidamente, fughe in avanti e retromarce. Ma l'impianto messo su da Giulio Tremonti per stabilizzare i conti pubblici è troppo importante per essere liquidato con un "Canc". «Nel decreto non c'è nessun accenno alle Province», ha detto il presidente Berlusconi a Parigi (in una dichiarazione del 27 maggio c. a.).
L'intenzione di abolire le mini-Province, salutata con favore dall'opinione pubblica, probabilmente seguirà un percorso diverso. Si è avvertita più che altro l'esigenza di riflettere più attentamente su un programma di taglio dei costi, portando ad una modifica dell'iter (valutando cioè una possibile traslazione dalla manovra alla Carta delle autonomie).
M a per capire le motivazione di una scelta del genere bisogna ripartire dal 25 maggio. Quel martedì sera le indiscrezioni, provenienti dal Consiglio dei ministri, annunciavano lo stop alle Province al di sotto dei 220mila abitanti escluse quelle frontaliere e quelle delle Regioni a statuto speciale. Già l'individuazione è complessa perché da una parte i dati del censimento 2001 ne escludono tredici mentre gli ultimi resoconti Istat ne taglierebbero 9-10. Il giorno seguente alla conferenza stampa del premier Berlusconi e del ministro Tremonti non accennarono al provvedimento alimentando qualche sospetto. In tarda serata da via XX Settembre arrivò la conferma anche a mezzo Internet: spariranno Biella, Vercelli (nonostante un chilometro di frontiera), Massa Carrara, Ascoli, Fermo, Rieti, Isernia, Matera, Crotone e Vibo Valentia.
Il 27 maggio, tuttavia, i dubbi non erano del tutto scomparsi. Nonostante la bozza della manovra avesse stabilito che «sono soppresse le province la cui popolazione residente risulti, sulla base delle rilevazioni dell'Istat al primo gennaio 2009, inferiore a 220mila abitanti» e avesse assegnato a Palazzo Chigi quattro mesi per determinare le nuove circoscrizioni provinciali. Giuseppe Castiglione, il presidente dell'Unione delle Province, aveva sottolineato, dopo un colloquio telefonico con Berlusconi e con il sottosegretario Letta, che «il governo ha detto che la manovra non è il contesto nel quale affrontare la questione del riordino delle Province». Circostanza confermata dal coordinatore del Pdl, Ignazio La Russa: «C'è tempo anche per una riflessione». Dal 27 sera quindi è partita una fitta serie di trattative tra i vertici del PdL e il ministro dell'Economia su come evitare intoppi di natura costituzionale. «Non c'è, né mai potrà esserci l'abolizione delle Province. Invece non è più rinviabile, la loro razionalizzazione», ha osservato Osvaldo Napoli, deputato PdL e vicepresidente Anci.
Di qui la proposta di «spostare» l'argomento dalla manovra alla Carta delle Autonomie che si trova in commissione Affari costituzionali alla Camera, seguita dal ministro Calderoli, che potrebbe approdare in Aula insieme alla manovra. Con ampie convergenze tutto potrebbe cambiare: dalla «sopravvivenza» di Asti per 156 persone a quella di Belluno e Sondrio perché frontaliere per arrivare alle «nuove» Lodi, Prato, Monza . Fino a «ripensare» Regioni che rimarrebbero con il solo capoluogo come Molise e Basilicata. La nostra neonata provincia può star tranquilla, Barletta – Andria – Trani conta 391.180 abitanti, quando si dice "l'unione fa la forza".
L'intenzione di abolire le mini-Province, salutata con favore dall'opinione pubblica, probabilmente seguirà un percorso diverso. Si è avvertita più che altro l'esigenza di riflettere più attentamente su un programma di taglio dei costi, portando ad una modifica dell'iter (valutando cioè una possibile traslazione dalla manovra alla Carta delle autonomie).
M a per capire le motivazione di una scelta del genere bisogna ripartire dal 25 maggio. Quel martedì sera le indiscrezioni, provenienti dal Consiglio dei ministri, annunciavano lo stop alle Province al di sotto dei 220mila abitanti escluse quelle frontaliere e quelle delle Regioni a statuto speciale. Già l'individuazione è complessa perché da una parte i dati del censimento 2001 ne escludono tredici mentre gli ultimi resoconti Istat ne taglierebbero 9-10. Il giorno seguente alla conferenza stampa del premier Berlusconi e del ministro Tremonti non accennarono al provvedimento alimentando qualche sospetto. In tarda serata da via XX Settembre arrivò la conferma anche a mezzo Internet: spariranno Biella, Vercelli (nonostante un chilometro di frontiera), Massa Carrara, Ascoli, Fermo, Rieti, Isernia, Matera, Crotone e Vibo Valentia.
Il 27 maggio, tuttavia, i dubbi non erano del tutto scomparsi. Nonostante la bozza della manovra avesse stabilito che «sono soppresse le province la cui popolazione residente risulti, sulla base delle rilevazioni dell'Istat al primo gennaio 2009, inferiore a 220mila abitanti» e avesse assegnato a Palazzo Chigi quattro mesi per determinare le nuove circoscrizioni provinciali. Giuseppe Castiglione, il presidente dell'Unione delle Province, aveva sottolineato, dopo un colloquio telefonico con Berlusconi e con il sottosegretario Letta, che «il governo ha detto che la manovra non è il contesto nel quale affrontare la questione del riordino delle Province». Circostanza confermata dal coordinatore del Pdl, Ignazio La Russa: «C'è tempo anche per una riflessione». Dal 27 sera quindi è partita una fitta serie di trattative tra i vertici del PdL e il ministro dell'Economia su come evitare intoppi di natura costituzionale. «Non c'è, né mai potrà esserci l'abolizione delle Province. Invece non è più rinviabile, la loro razionalizzazione», ha osservato Osvaldo Napoli, deputato PdL e vicepresidente Anci.
Di qui la proposta di «spostare» l'argomento dalla manovra alla Carta delle Autonomie che si trova in commissione Affari costituzionali alla Camera, seguita dal ministro Calderoli, che potrebbe approdare in Aula insieme alla manovra. Con ampie convergenze tutto potrebbe cambiare: dalla «sopravvivenza» di Asti per 156 persone a quella di Belluno e Sondrio perché frontaliere per arrivare alle «nuove» Lodi, Prato, Monza . Fino a «ripensare» Regioni che rimarrebbero con il solo capoluogo come Molise e Basilicata. La nostra neonata provincia può star tranquilla, Barletta – Andria – Trani conta 391.180 abitanti, quando si dice "l'unione fa la forza".