La crisi è ovunque, anche a teatro
Intervista ad Alessandro Piazzolla, l’attore del teatro vivo. “La mia vita nell’arte – storia di un uomo qualunque” è stato recitato presso l'Arci Cafiero
giovedì 26 aprile 2012
Alessandro Piazzolla è l'attore barlettano che sabato e domenica scorsi si è esibito presso il circolo Arci Carlo Cafiero di Barletta. "La mia vita nell'arte – storia di un uomo qualunque" è il nome della sua creazione, un monologo incalzante che porta sul palco il tema più gettonato, in Italia e in Europa, degli ultimi anni: la crisi. Ma di quale crisi di parla? Alessandro Piazzolla ha raccontato a Barlettalife qual è la sua idea di crisi, fornendoci un'interpretazione diversa dalle altre, finalmente positiva.
Qual è il rapporto tra arte e notorietà?
Bella domanda! Direi molto molto labile! L'artista è qualcuno che produce qualcosa di vero. Il personaggio noto è colui che produce se stesso, ovvero colui che vende un'immagine, la propria.
Essere artista significa essere un uomo qualunque?
Questa è la domanda che pongo durante tutto lo spettacolo. Comunque secondo me no, anche se credo che di base siamo tutti degli artisti, bisogna capire solo qual è la propria arte. In questo senso, quindi, siamo tutti artisti e siamo tutti degli uomini qualunque… lo è anche mio padre che è un contadino e fa delle patate che sono una meraviglia!
Che cos'è per te la giustizia sociale?
La risposta a questa domanda si coglie guardando lo spettacolo, perché il mio spettacolo verte tutto su questo concetto. In ogni caso, posso anticiparti che la giustizia sociale è un presupposto.
Chi sono gli eroi dei nostri giorni?
Non ci sono veri eroi al giorno d'oggi o, se ci sono, sono quelle persone che vivono nascoste, ovvero che non sono né conosciute e né riconosciute come eroi, non sono famose! Michele Misseri è un uomo famoso, il volontario che va in missione in Africa, invece, non lo conosce nessuno.
Credi che l'arte sia uno strumento di comunicazione efficace, nel senso che potrebbe concorrere al cambiamento delle cose?
Come dice Dostoevskij: "solo la bellezza salverà il mondo, l'arte della bellezza". La risposta, quindi, è sì! Le persone devono fare arte, e l'arte è bella! Dunque il teatro, che è arte, può creare qualcosa di diverso.
Durante il tuo monologo hai parlato molto del tema della crisi e il riferimento ai giorni nostri era palese. Hai aggiunto, però, una cosa: hai detto che per l'artista la crisi è il momento più alto. Cosa significa?
L'attore quando non è in crisi non crea. E questo non l'ho inventato io, perché questa è l'arte! Quando, invece, è in crisi riesce a dare il massimo! Perché è talmente in crisi che cerca, cerca, cerca, finché non arriva a trovare qualcosa.
Questo significa che, spostando il punto di vista, la crisi è un momento positivo?
Sì! Infatti noi dovremmo alzarci ed urlare in questo momento di crisi di cui si parla tanto! Noi viviamo, invece, come parassiti, ci mangiamo a vicenda ma nessuno mangia davvero qualcosa! Detto in altri termini, cerchiamo soltanto di fregarci a vicenda.
Lottare è la tua proposta anti–crisi?
Chiariamo, innanzitutto, che io non sono un attore che milita in politica. Detto ciò, ti dico che credo che lottare sia la soluzione, ma la lotta di cui parlo non è quella armata o la rivoluzione. La lotta che ho in mente io è ricerca, come dicevo prima.
Hai anche detto che la distruzione dovrebbe essere il nuovo punto di vista da cui guardare la realtà. Disfattismo o decostruzionismo?
È provocazione totale. Col teatro io voglio provocare perché la provocazione smuove. Sicuramente la distruzione è riferita al passato, il quale non va distrutto letteralmente ma va rinnovato costruendoci sopra qualcosa di nuovo. Barletta è stata costruita a strati, la nostra cattedrale è divisa in tre strati! Perché nel tempo, pian piano, ci hanno sempre costruito su dell'altro. Questo è quello che intendo.
Credi che questa crisi sia una bugia?
La crisi è una parola inventata. Ciò non vuol dire che non c'è, perché c'è, ma non è questa. Più ci dicono che siamo in crisi e più ci sentiamo in crisi. Invece la crisi dovrebbe portare a creare, e noi non stiamo ancora creando.
Che tipo di tecnica teatrale è la tua?
Si chiama teatro vivo. In questo tipo di rappresentazione è il pubblico la parte fondamentale dell'opera, perché se non ci fosse l'attore rimarrebbe a casa. Perciò, quando recito, io devo dare alle persone e loro devono dare a me, ci deve essere lo scambio di emozioni che rende possibile lo spettacolo, uno spettacolo che non deve e non può essere uguale tutte le sere. Se il mio spettacolo fosse sempre identico allora sarebbe cinema. Nel teatro classico ogni volta che lo stesso spettacolo viene riprodotto l'attrice piange ogni volta sempre nello stesso momento: questa è tecnica! Io, invece, voglio che il teatro sia vivo, emozionando ed emozionandomi. Il pubblico mi crea tensione, la tensione mi fa andare in crisi, la crisi mi fa creare. Nella vita c'è questa tensione?
Qual è il rapporto tra arte e notorietà?
Bella domanda! Direi molto molto labile! L'artista è qualcuno che produce qualcosa di vero. Il personaggio noto è colui che produce se stesso, ovvero colui che vende un'immagine, la propria.
Essere artista significa essere un uomo qualunque?
Questa è la domanda che pongo durante tutto lo spettacolo. Comunque secondo me no, anche se credo che di base siamo tutti degli artisti, bisogna capire solo qual è la propria arte. In questo senso, quindi, siamo tutti artisti e siamo tutti degli uomini qualunque… lo è anche mio padre che è un contadino e fa delle patate che sono una meraviglia!
Che cos'è per te la giustizia sociale?
La risposta a questa domanda si coglie guardando lo spettacolo, perché il mio spettacolo verte tutto su questo concetto. In ogni caso, posso anticiparti che la giustizia sociale è un presupposto.
Chi sono gli eroi dei nostri giorni?
Non ci sono veri eroi al giorno d'oggi o, se ci sono, sono quelle persone che vivono nascoste, ovvero che non sono né conosciute e né riconosciute come eroi, non sono famose! Michele Misseri è un uomo famoso, il volontario che va in missione in Africa, invece, non lo conosce nessuno.
Credi che l'arte sia uno strumento di comunicazione efficace, nel senso che potrebbe concorrere al cambiamento delle cose?
Come dice Dostoevskij: "solo la bellezza salverà il mondo, l'arte della bellezza". La risposta, quindi, è sì! Le persone devono fare arte, e l'arte è bella! Dunque il teatro, che è arte, può creare qualcosa di diverso.
Durante il tuo monologo hai parlato molto del tema della crisi e il riferimento ai giorni nostri era palese. Hai aggiunto, però, una cosa: hai detto che per l'artista la crisi è il momento più alto. Cosa significa?
L'attore quando non è in crisi non crea. E questo non l'ho inventato io, perché questa è l'arte! Quando, invece, è in crisi riesce a dare il massimo! Perché è talmente in crisi che cerca, cerca, cerca, finché non arriva a trovare qualcosa.
Questo significa che, spostando il punto di vista, la crisi è un momento positivo?
Sì! Infatti noi dovremmo alzarci ed urlare in questo momento di crisi di cui si parla tanto! Noi viviamo, invece, come parassiti, ci mangiamo a vicenda ma nessuno mangia davvero qualcosa! Detto in altri termini, cerchiamo soltanto di fregarci a vicenda.
Lottare è la tua proposta anti–crisi?
Chiariamo, innanzitutto, che io non sono un attore che milita in politica. Detto ciò, ti dico che credo che lottare sia la soluzione, ma la lotta di cui parlo non è quella armata o la rivoluzione. La lotta che ho in mente io è ricerca, come dicevo prima.
Hai anche detto che la distruzione dovrebbe essere il nuovo punto di vista da cui guardare la realtà. Disfattismo o decostruzionismo?
È provocazione totale. Col teatro io voglio provocare perché la provocazione smuove. Sicuramente la distruzione è riferita al passato, il quale non va distrutto letteralmente ma va rinnovato costruendoci sopra qualcosa di nuovo. Barletta è stata costruita a strati, la nostra cattedrale è divisa in tre strati! Perché nel tempo, pian piano, ci hanno sempre costruito su dell'altro. Questo è quello che intendo.
Credi che questa crisi sia una bugia?
La crisi è una parola inventata. Ciò non vuol dire che non c'è, perché c'è, ma non è questa. Più ci dicono che siamo in crisi e più ci sentiamo in crisi. Invece la crisi dovrebbe portare a creare, e noi non stiamo ancora creando.
Che tipo di tecnica teatrale è la tua?
Si chiama teatro vivo. In questo tipo di rappresentazione è il pubblico la parte fondamentale dell'opera, perché se non ci fosse l'attore rimarrebbe a casa. Perciò, quando recito, io devo dare alle persone e loro devono dare a me, ci deve essere lo scambio di emozioni che rende possibile lo spettacolo, uno spettacolo che non deve e non può essere uguale tutte le sere. Se il mio spettacolo fosse sempre identico allora sarebbe cinema. Nel teatro classico ogni volta che lo stesso spettacolo viene riprodotto l'attrice piange ogni volta sempre nello stesso momento: questa è tecnica! Io, invece, voglio che il teatro sia vivo, emozionando ed emozionandomi. Il pubblico mi crea tensione, la tensione mi fa andare in crisi, la crisi mi fa creare. Nella vita c'è questa tensione?