La Bat con Foggia: i risultati di una riforma zoppa

Le province, da una netta soppressione ad un tiepido riordino. Ma in Parlamento può succedere di tutto

giovedì 1 novembre 2012 11.05
A cura di Edoardo Centonze
E così il numero delle province si ridurrà da 86 a 51, comprese le Città metropolitane, che diventeranno operative dal 1° Gennaio 2014. Intanto: «Dal 1° Gennaio 2013 verranno meno le giunte provinciali - ha ribadito ieri il ministro della Funzione Pubblica Filippo Patroni Griffi, illustrando in conferenza stampa il "Decreto-Province" presentato dal Governo - Ma sarà data la possibilità al Presidente, per consentire la gestione ordinaria nel periodo di transizione, di delegare l'esercizio di funzioni operative a non più di 3 Consiglieri provinciali. Si anticipa così il modello di governante che andrà a regime dal 2014. Nello stesso tempo, saranno previsti una serie di adempimenti da parte degli attuali organi elettivi, che quindi non verranno commissariati, riguardanti bilanci, ricognizioni delle dotazioni organiche, del patrimonio mobiliare e immobiliare, delle partecipazioni azionarie in società - ha aggiunto Patroni Griffi - Solo dall'eventuale inadempimento di questi obblighi nei termini, sorgerà la possibilità e scatterà un commissariamento ad acta per garantire questi passaggi intermedi funzionali alla transizione - ha poi precisato - L'operatività piena, con i nuovi organi eletti, avverrà dal 1° Gennaio 2014, perché le elezioni per le province avverranno a Novembre 2013». Infatti, come ha ricordato il ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri, diventando le province enti di secondo livello (Presidente e consiglieri saranno eletti dai Sindaci e dai consiglieri comunali del territorio), dovranno prima essere riconfermati i comuni.

Il risiko degli accorpamenti - «Questa zonizzazione risente del fatto che in alcuni casi non abbiamo avuto indicazioni dal territorio o abbiamo avuto indicazioni non ricevibili - che si sia riferito anche alla Puglia? - Vedremo ovviamente in Parlamento se questa zonizzazione subirà delle modifiche - ha ammesso il ministro - Noi, in alcuni casi particolarmente dubbi, abbiamo cercato sostanzialmente di tener conto della realtà territoriale, anteriormente alla creazione di nuove province negli ultimi anni, sul presupposto che evidentemente quelle nuove province avevano convissuto con la provincia da cui erano uscite per un centinaio di anni, e che quindi potesse essere, in assenza di indicazioni contrarie, un criterio logico e rispettoso delle autonomie - invece la Bat, che aveva come province madri Bari e Foggia, come abbiamo visto, si è unita integralmente alla provincia di Foggia, e non è stato quindi ristabilito lo status quo ante - L'unica eccezione nel Decreto è per le province interamente montane di Sondrio e di Belluno». Gli altri punti della riforma: il divieto di cumulo di emolumenti per le cariche presso gli organi comunali e provinciali; gli organi politici devono avere sede esclusivamente nelle città capoluogo. "Il riordino delle Province - ha ricordato il Governo - è il primo tassello di una riforma più ampia che prevede la riorganizzazione degli uffici territoriali di governo (prefetture, questure, motorizzazione civile etc etc) in base al nuovo assetto. Dunque anche gli altri uffici su base provinciale saranno di fatto dimezzati. Al termine di questo processo sarà possibile calcolare gli effettivi risparmi che comporterà l'intera riforma".

Le reazioni fiduciose nella Bat - «In attesa di approfondire nel dettaglio il decreto, non ancora pubblicato, balza subito agli occhi ciò che da tempo sospettavamo: il Governo ha concesso diverse deroghe rispetto al dettato normativo iniziale - ha affermato il primo e ultimo Presidente della Bat Francesco Ventola - Un caso sintomatico, in tal senso, è quello che riguarda l'accorpamento tra le Province di Brindisi e Taranto, sebbene né il Comune di Brindisi né quello tarantino abbiano mai deliberato nulla in tal senso, almeno fino ad oggi - e poi la solita offensiva, che viene ripetuta parole ormai da settimane - Ho già convocato i Sindaci della Provincia per condividere come sempre ogni eventuale percorso a tutela del territorio e dei decenni di lotta che ne hanno portato all'autodeterminazione. Seguiremo con attenzione anche l'iter che prevede l'approvazione del decreto in Parlamento, quando si deciderà davvero in maniera definitiva il futuro di questo territorio». Su questa stessa linea i consiglieri regionali Caracciolo e Mennea. «E' mancata la volontà ed è mancato il ruolo determinante della Regione - ha ripetuto Caracciolo - Dobbiamo fare tutti ammenda. Avremmo dovuto capire che il Governo avrebbe ragionato esclusivamente in termini ragioneristici. Non dobbiamo comunque arrenderci. Il provvedimento dovrà essere convertito in legge in Parlamento e in quella sede sarà possibile fare delle modifiche. Per questo invito i colleghi consiglieri regionali, i sindaci, i consigli comunali, i parlamentari e il presidente della Provincia a fare fronte comune per arrivare ad una proposta accettabile da parte del Parlamento. Dobbiamo metterci subito al lavoro prima che lo scellerato decreto approvato dal Consiglio dei Ministri diventi legge dello Stato». «Ora abbiamo il tempo per formare una nuova provincia che abbia almeno 2.500 km di superficie - ha detto Mennea - Basterebbe comprendere Molfetta, Terlizzi, Corato, Ruvo, Altamura e Bitonto. Io ci credo».

Nacque soppressione, morì riordino - «L'attenzione maggiore è stata quella di assicurare una transizione dal vecchio al nuovo ordinamento - ha ricordato Patroni Griffi - a partire dalla conversione del Decreto in Legge, che fosse realistico nei tempi, perché è un processo molto complesso, e che nello stesso tempo denotasse chiara la volontà, che il Governo si augura venga condivisa dal Parlamento, di ritenere questo processo di riorganizzazione del territorio, un processo oramai irreversibile che guarda ad un futuro in cui l'organizzazione dei servizi sarà più coerente con un livello qualitativo e moderno della loro erogazione». La domanda risuona di nuovo oggi, a decisioni quasi definitive (c'è ancora il più che ostico passaggio parlamentare da affrontare, come ha ricordato lo stesso Patroni Griffi) ed è, ancora una volta, la seguente: condivisibile che sia la ratio perseguita dal provvedimento, perché il Governo non ha poi più portato avanti il progetto originario di soppressione di tutte le province, e ha chinato il capo di fronte agli interessi tanto piccini quanto pesanti sparsi nel mondo politico? Si sarebbero evitati strascichi di contestazioni così lunghi, e si sarebbe dato vita ad un percorso netto e lineare di riforma istituzionale. Sarebbe servita una riforma costituzionale? Certo è che, se al giorno d'oggi, anche su questioni su cui può esserci ampia condivisione, la politica continua ad invocare sempre come scudo il problema del tempo, seppur consapevoli delle procedure che vincolano l'iter di riforma costituzionale, essa continuerà così a celebrare la propria incapacità riformatrice.
Fonte: repubblica.it