L’analfabetismo emotivo spiegato dal Dott. Ezio Aceti

«L’educazione è la luce non invadente che ego punta su alter»

sabato 1 febbraio 2014 11.30
A cura di Floriana Doronzo
Cosa ci manca? Il senso di mancanza. Abbiamo tutto: i mezzi per soddisfare i bisogni, le situazioni favorevoli per muoverci come più ci piace, le opzioni di scelta e le opportunità di prendere una decisione. L'unica cosa che non ci scegliamo è la nostra nascita, la nostra famiglia e i nostri maestri; loro ci capitano e a genitori e maestri spetta la nostra educazione. Perché allora è così difficile educare e lasciarsi educare? Se lo chiede Ezio Aceti, psicoterapeuta ed esperto in psicologia dell'età evolutiva, ospitato dall'oratorio "S.Giovanni Bosco" della chiesa del Cuore Immacolato di Barletta.

Siamo reduci di un individualismo cieco e narcisistico, ognuno di noi si trova a piegare la testa verso il proprio ombelico; quello che è necessario rifondare è una cultura della reciprocità, basata sulla comunicazione empatica, sulla razionalità argomentativa e sull'interazione tra le strutture individuali. Il tempo assorbe le nostre azioni, il luogo del ritrovo non è più la piazza ma il centro commerciale, l'immediatezza delle emozioni diventa dimostrazione di affettività e la politica incoerente è sempre più affetta da doppio legame. Una generazione a testa bassa che vive nell'epoca più buia della storia dell'umanità (Maria Zambrano), fatta da una poltiglia di carne, smidollata e sprovvista di dure corazze (Bauman). Una società in caduta libera perché a tenerne le redini sono gli adulti, incapaci di gestire la cultura bassa e cangiante dell'era tecnologica (Galimberti). Aceti incontra gli insegnanti, i quali gli confessano l'incapacità di stare al passo con i cambiamenti d'umore dei ragazzi, la loro opposizione al rispetto per l'ambiente e per l'altro; è definibile come la fatica del following, di star dietro a qualcuno perché quel qualcuno è follower della rete, e la velocità di questa è irraggiungibile.

«La società è un corpo plurisoggettivo che poggia su due gambe: una è il mondo degli anziani, l'altra quello dei bambini. Se si prova ad accavallare le gambe, il sapere avrà difficoltà a circolare, ci sarà confusione tra l'adulto che si vuole infantilizzare e il bambino che cerca l'ebrezza dell'adultizzazione». Questo il brillante parallelismo che usa Aceti per far capire quanto importante sia la coscienza storica e l'attenzione al futuro. «Non ci sono caratteri brutti o cattivi, non esiste uno standard di carattere umano, non ci sono bambini capricciosi, non esistono il torto e la ragione in un dialogo perché si ha sempre ragione, a seconda dei punti d'osservazione. L'emotivo è in crisi perché nessuno più si sforza di comprendere le ragioni dell'altro. Se abbiamo avuto una bella giornata, prima di entrare in casa e riferire al primo che ci capita davanti che siamo felici, guardiamo come sta lui o lei. Se la persona capitataci non è di buon umore, le diremo che siamo felici in un altro momento, perché se insistessimo su noi stessi, non produrremmo alcun risultato nella nostra comunicazione». Ermeneutica e intelligenza emotiva riecheggiano nelle parole del Prof. Aceti, che continuano a permeare la dimensione educativa e familiare: «In presenza di violenza su una donna, si deve tener presente che il soggetto abusante è quasi sempre un bebè travestito da uomo. Questo perché molti uomini crescono sotto la gonna materna dove vizi, bisogni superflui e capricci vengono immediatamente soddisfatti. La moglie non è la mamma e questa impossibilità di sovrapporre le figure mette in crisi l'uomo. E' per questo che dopo i 7 anni, una madre deve sparire dalla vita del figlio». Prima dei 7 anni i figli sono spugne e, se viene usato il detersivo, difficilmente riusciranno ad espellerlo. L'educazione genitoriale deve tutto al figlio entro i 7 anni. Dopo tale periodo, si deve far conoscere loro il principio di realtà e non più quello di libido; il principio di responsabilità e non più quello d'innocenza; l'importanza dell'ascolto e non più la priorità dell'essere ascoltati.

Si chiama educazione ma si può intendere rispetto, sostegno, sacrificio, apertura all'altro, civiltà, purezza: come si esce dal menefreghismo dilagante? Con la volontà di indossare le scarpe dell'altro e cominciare a camminare lungo i suoi percorsi. Il caso è il destino dell'uomo, ma è la promessa fatta a noi stessi che ci tiene in vita.