Immobili pugliesi, tra Bari e Bat ci sono 12.556 attività commerciali

L'indagine del Centro Studi di Confartigianato Imprese

lunedì 25 novembre 2013
Sono più di 229mila gli immobili a destinazione commerciale e produttiva in Puglia. Per una rendita catastale complessiva di 560 milioni di euro Il Centro Studi di Confartigianato Imprese Puglia ha elaborato il numero totale di negozi e botteghe (accatastati, dall'Agenzia dell'Entrate, in categoria C1), laboratori per arti e mestieri (C3), opifici e capannoni (D1) e fabbricati adattati per esigenze industriali (D7). In particolare, nella provincia di Bari, è concentrato il 40,3 per cento dei negozi aperti in tutta la regione. Sono ben 58.510 su 145.307. Seguono il Salento con il 20,6 per cento (29.955 rivendite), la Capitanata con il 15 per cento (21.860), la provincia di Taranto con il 13,4 per cento (19.421) e quella di Brindisi con il 10,7 per cento (15.561). Per una rendita catastale complessiva di 227,6 milioni di euro.

Restringendo l'analisi ai soli capoluoghi, Bari e la Bat contano 12.565 negozi, pari al 38,8 per cento del totale. Ci sono, poi, Taranto (6.567), Foggia (5.267 rivendite), Lecce (4.838) e Brindisi (3.160). Riguardo ai laboratori per arti e mestieri, se ne contano 45.024 in Puglia, di cui 14.331 nel barese e 13.289 nel Salento. Queste due province rappresentano, da sole, oltre il 60 per cento degli immobili di categoria C3. Seguono Foggia (6.318), Taranto (6.081) e Brindisi (5.005). Gli opifici sono 30.032, di cui 12.067 hanno sede in provincia di Bari, 6.126 in Capitana, 5.550 nel Salento, 3.156 nel tarantino e 3.133 nel brindisino. I fabbricati adattati per esigenze industriali sono 8.805, di cui 5.132, pari al 58,3 per cento, costruito nel barese, 1.164 in provincia di Foggia, 973 nel Salento, 912 a Brindisi e 624 a Taranto.

«L'indagine effettuata dal nostro Centro Studi regionale – dice il presidente di Confartigianato Imprese Puglia, Francesco Sgherza – evidenzia come, nonostante la durissima crisi economica, i laboratori e le botteghe artigiane siano ancora capillarmente diffusi sul nostro territorio. Purtroppo, però, la sempre maggiore tassazione che grava, paradossalmente, anche sugli immobili strumentali, rischia di spazzare via migliaia di imprese. Come calcolato dalla nostra Confederazione nazionale, infatti, il prossimo anno l'impatto dell'Imu sugli immobili strumentali, unito a quello della Trise sui rifiuti e servizi indivisibili, arriverà a 12,8 miliardi di euro: il 51,4 per cento rispetto al 2011. L'effetto combinato – spiega – di questi nuovi tributi annullerà, di fatto, i benefici di qualsivoglia altro sgravio o riduzione del costo del lavoro. Si tratta – conclude il presidente – di una pressione fiscale intollerabile e soprattutto iniqua: non possono equipararsi gli immobili produttivi alle seconde case. I nostri laboratori sono la nostra prima casa».