Il rebeta Vinicio Capossela si racconta a Barletta
“Avere chi legge e chi ascolta il rebetiko è molto più importante dell’avere chi lo fa”
lunedì 19 novembre 2012
18.57
L'incontro avvincente tra lo scrittore e polistrumentista Vinicio Capossela e lo scrittore siciliano Fernando Buscemi ha luogo nella libreria barlettana "La penna blu", un giorno dopo l'esibizione del musicista sul palco del teatro "Curci" di Barletta. L'attesa iniziale viene colmata dalla coinvolgente melodia ellenica della musica di Capossela, il quale con postura dimessa e voce significativamente raschiante, spiega il titolo dell'incontro "il girone dei rebetici", partendo dal suo approdo alla musica rebetika.
Il musicista conosce il genere grazie a un ragazzo che lo invita in una taverna, nella quale- proprio come in un girone confusionario- si è soliti pasteggiare e fare musica, una sorta di blues greco con il quale si lamenta qualcosa di perduto, una rinuncia coatta, un abbandono melanconico. Qui avviene la preziosa incursione di Buscemi, autore de "La storia della rebetika", che si sofferma sulla storia della città turca di Smirne, dai cui caffè hammam prende le mosse la musica rebetika. In realtà, la genesi della rebetika si attribuisce alla Grecia e questo perché, con il protettorato greco sulla Turchia nel primo dopoguerra, la popolazione di Smirne è costretta a fuggire verso il suolo nemico, potendo portare con sé solo la sua musica. Il lamento della musica rebetika è quindi dovuto all'esodo forzato della popolazione smirnetica, che vide incendiata la sua città, importante crocevia portuale del Mediterraneo.
Alla storia della rebetika, Vinicio Capossela si aggancia con criticità e irriverenza nei confronti dell'UE e della BCE, che stanno schiacciando la popolazione greca perché priva di patrimonio monetario; questo basta, osserva Capossela, per saccheggiare o addirittura seppellire quello artistico. Il musicista, infatti, tiene a definire la rebetika una musica di appartenenza, di identificazione collettiva ma anche musica individualista, marginale, diretta, reale, una musica di assenza. In maniera nietzschiana, egli si sofferma sulla crisi non economica ma culturale che lacera i nostri giorni, quella che dà priorità ai valori della borsa piuttosto che a quelli della vita. La musica rebetika è un mistero giocoso che può essere svelato solo dall'uomo che vive tra altri uomini e non dal consumatore che smaltisce le merci più della vita. Dopotutto, la musica ribelle attinge dal caos delle prigioni, dei bordelli, delle taverne in cui gli uomini entravano in contatto tra loro non mascherando la bestialità umana, non razionalizzando gli istinti, non vergognandosi delle debolezze. Ciò che viene denunciato con fermezza da Capossela è proprio l'attuale ed eccessivo conformismo la cui trasgressione vuole essere una coraggiosa resistenza a qualsiasi imposizione eteronoma, a ogni tentativo di dissimulare i difetti umani per farne emergere uno ben più grave: l'ipocrisia.
Il suggestivo evento, che ha portato tutti i presenti a immaginare la rebetika come "eucarestia di libertà", si conclude con la lettura di Capossela di un estratto del suo libro "Non si muore tutte le mattine". Il passo descrive gli uomini sospesi sulla vita, coloro che ascoltano una melodia dall'aria indefinibile, evanescente e dal ritmo stanco, cadente. Coloro che assaporano la corposità del vino e respirano il profumo dell'assenza tramite una sigaretta. "La rebetika è musica ricamata di uomini sporti a un tavolino bevendo vino e fumando sigarette. Sembrano chiamare qualcuno ma non lo fanno; restano, fumano e mandano in cenere il loro cuore piano piano". La scrittura di Capossela è un'inondazione di immagini apollinee, appartenenti a una scompaginata retorica, mentre la sua musica è dannata. Il demone rebeta rievoca la struggente assenza di cose strappate via con violenza, di luoghi non più raggiungibili; "sono stato fortunato a non essere appartenuto ad alcun posto per molto tempo"conclude il cantautore bohémien, figlio della Germania, convivente dell'Italia, ellenistico amante delle barbarie più autentiche.
Il musicista conosce il genere grazie a un ragazzo che lo invita in una taverna, nella quale- proprio come in un girone confusionario- si è soliti pasteggiare e fare musica, una sorta di blues greco con il quale si lamenta qualcosa di perduto, una rinuncia coatta, un abbandono melanconico. Qui avviene la preziosa incursione di Buscemi, autore de "La storia della rebetika", che si sofferma sulla storia della città turca di Smirne, dai cui caffè hammam prende le mosse la musica rebetika. In realtà, la genesi della rebetika si attribuisce alla Grecia e questo perché, con il protettorato greco sulla Turchia nel primo dopoguerra, la popolazione di Smirne è costretta a fuggire verso il suolo nemico, potendo portare con sé solo la sua musica. Il lamento della musica rebetika è quindi dovuto all'esodo forzato della popolazione smirnetica, che vide incendiata la sua città, importante crocevia portuale del Mediterraneo.
Alla storia della rebetika, Vinicio Capossela si aggancia con criticità e irriverenza nei confronti dell'UE e della BCE, che stanno schiacciando la popolazione greca perché priva di patrimonio monetario; questo basta, osserva Capossela, per saccheggiare o addirittura seppellire quello artistico. Il musicista, infatti, tiene a definire la rebetika una musica di appartenenza, di identificazione collettiva ma anche musica individualista, marginale, diretta, reale, una musica di assenza. In maniera nietzschiana, egli si sofferma sulla crisi non economica ma culturale che lacera i nostri giorni, quella che dà priorità ai valori della borsa piuttosto che a quelli della vita. La musica rebetika è un mistero giocoso che può essere svelato solo dall'uomo che vive tra altri uomini e non dal consumatore che smaltisce le merci più della vita. Dopotutto, la musica ribelle attinge dal caos delle prigioni, dei bordelli, delle taverne in cui gli uomini entravano in contatto tra loro non mascherando la bestialità umana, non razionalizzando gli istinti, non vergognandosi delle debolezze. Ciò che viene denunciato con fermezza da Capossela è proprio l'attuale ed eccessivo conformismo la cui trasgressione vuole essere una coraggiosa resistenza a qualsiasi imposizione eteronoma, a ogni tentativo di dissimulare i difetti umani per farne emergere uno ben più grave: l'ipocrisia.
Il suggestivo evento, che ha portato tutti i presenti a immaginare la rebetika come "eucarestia di libertà", si conclude con la lettura di Capossela di un estratto del suo libro "Non si muore tutte le mattine". Il passo descrive gli uomini sospesi sulla vita, coloro che ascoltano una melodia dall'aria indefinibile, evanescente e dal ritmo stanco, cadente. Coloro che assaporano la corposità del vino e respirano il profumo dell'assenza tramite una sigaretta. "La rebetika è musica ricamata di uomini sporti a un tavolino bevendo vino e fumando sigarette. Sembrano chiamare qualcuno ma non lo fanno; restano, fumano e mandano in cenere il loro cuore piano piano". La scrittura di Capossela è un'inondazione di immagini apollinee, appartenenti a una scompaginata retorica, mentre la sua musica è dannata. Il demone rebeta rievoca la struggente assenza di cose strappate via con violenza, di luoghi non più raggiungibili; "sono stato fortunato a non essere appartenuto ad alcun posto per molto tempo"conclude il cantautore bohémien, figlio della Germania, convivente dell'Italia, ellenistico amante delle barbarie più autentiche.