Il racconto di marito e padre di Emanuela, la donna incinta sopravvissuta nel crollo di via Roma
Barlettalife intervista Emanuele Lanotte e Gennaro Antonucci. Parlano i testimoni di una tragedia da non dimenticare
mercoledì 5 ottobre 2011
21.39
Signor Lanotte, sappiamo che sua moglie Emanuela sta bene. I medici le hanno anticipato una sua dimissione?
«No, non si sono pronunciati. Ma anche se il suo stato di salute è buono, questa notte non è stata molto tranquilla. Lei sentiva il letto remare, mi ha detto di avvertire quasi una "sensazione di terremoto" e mi ha pregato di "non muovere il letto". Più che un dolore fisico è un dolore personale legato a ciò che è successo. Aveva paura persino di addormentarsi, ma c'eravamo noi vicini a rincuorarla».
12:22 è l'ora del crollo della palazzina, lei dove si trovava e come ha saputo del crollo?
«Ero in azienda. Ho ricevuto la telefonata da parte del mio avvocato, Antonio Cassatella, che ci stava tutelando dall'impresa edile che lavora nel cantiere vicino. Mi ha avvisato dicendo "Corri subito", così sono uscito dall'azienda correndo. Ho preso l'auto e sono andato di corsa presso l'abitazione, e lì ho visto l'impossibile. Sapevo che c'era mia moglie. L'avvocato mi ha chiamato subito dopo aver saputo per primo la notizia mentre era ai Carabinieri».
Con la più precisa delle cronologie, ci ricorda gli allarmi rivolti alle istituzioni in che tempi e in che modi si sono succeduti?
«Posso partire da venerdì 30 settembre: a casa c'eravamo io, mia moglie, mio suocero, mia suocera, mia madre, una delle sorelle, e soprattutto la zia di mia moglie (che abitava al primo piano della palazzina) che veniva su sempre più allertata perché le crepe erano diventate enormi. Mio suocero aveva smontato con mezzi di fortuna la porta d'ingresso perché non si apriva, e ha trovato una sistemazione provvisoria per entrare. Abbiamo così chiamato gli addetti del Comune, i vigili del fuoco, i vigili urbani e l'impresa di costruzione: venerdì avevano visto già tutto, avevano visto la porta smontata, il pavimento rialzato, le crepe in camera da letto, l'armadio che scricchiolava e non si apriva, insomma tutte le crepe che c'erano nell'abitazione. Dopo il crollo è rimasta immobile solo l'icona della Madonna dello Sterpeto – racconta il signor Antonucci – quella nelle fotografie era proprio la mia camera da letto. Siamo molto religiosi, io sono confratello».
Avete dei documenti che riguardano questo sopralluogo di venerdì?
«Non sappiamo se hanno stilato un verbale – precisa il signor Lanotte - a noi non hanno consegnato nulla. Hanno fatto soltanto alcune foto e sono andati via dicendo che dovevano aspettare un ordinanza dall'ufficio tecnico per sapere se sgombrare o meno l'edificio. Lunedì mattina l'impresa del cantiere accanto continuava ancora a lavorare con pala meccanica senza che l'ordinanza fosse ancora arrivata, sebbene fosse ormai chiara l'instabilità di tutto l'edificio. L'avvocato mi ha consigliato di scattare delle foto mentre l'impresa lavorava, c'era una ruspa abbastanza grande che ha lavorato sino all'ultimo momento… L'ho fotografata ma le foto siano andate tutte perse nel crollo. Per fortuna – aggiunge – che non è successo domenica sera, quando eravamo in circa 20-25 persone sul terrazzo di mio suocero, a guardare tutti insieme la partita Juve-Milan. Lunedì mattina poi le ruspe stavano ancora lavorando. Abbiamo chiamato l'impresa da noi sollecitati, e sono saliti nel nostro appartamento per mostrar loro le crepe. L'impresa continuava a dirci "State tranquilli, non è successo nulla". Il crollo è avvenuto solo qualche minuto dopo, quando i responsabili dell'impresa edile avevano appena varcato il portone d'uscita del palazzo».
Conoscevate le ragazze che sono venute a mancare nel crollo? Sapevate qualcosa della loro vita, erano vostre amiche?
«No, le conoscevamo solo di vista. Sapevamo che lavoravano lì ma ci salutavamo soltanto. Però posso dire che venerdì – nel giorno dei sopralluoghi - i controlli non sono stati effettuati nel sottano, nonostante avessimo chiesto di verificare se anche da loro c'erano gli stessi problemi». «Avevano chiesto a me personalmente – racconta il padre – di valutare la situazione del loro locale, essendo ingegnere e costruttore, ma volevo che fossero gli impiegati e gli esperti ad osservare. Al danno infatti si è aggiunta la beffa – spiega il signor Antonucci – dopo i mille sacrifici che ho speso per quella costruzione. Io sono stato un costruttore, ho lavorato per 6 mesi in Arabia Saudita a Jedda e Tabuk con 50 gradi all'ombra di giorno, anche in pieno deserto con un clima secchissimo: la sera staccavo dal lavoro e svolgendo un secondo incarico da uno sceicco, per il quale ho realizzato pavimenti e diverse palazzine. Ho girato anche tantissimo in Italia. Tutte le sere, anche il sabato, la domenica, il Natale, tutte le feste, sono stati enormi i sacrifici per lavorare di mattina sul cantiere e la sera per aggiustarmi la casa in via Roma, su quel terreno che ho comprato quando era solo una stalla. Ho fatto la vita di un eremita per quel mio appartamento al secondo piano. Poi ho comprato anche l'appartamento per loro, un monolocale di 30 metri in attesa dell'appartamento alla cooperativa. Sono andato loro incontro, e in poco tempo è scomparso nel nulla».
Sua moglie è a conoscenza dell'intero dramma o le è stato nascosto in qualche modo?
«All'inizio ho cercato di bloccare qualsiasi notizia di decessi, per impedire che mia moglie fosse gravata da questo peso e da ulteriore dolore. Ma ha saputo lo stesso notizie tramite qualcuno. Lei piangeva non appena sentiva che era morto qualcuno. Pregavamo insieme che non ci fossero morti, per evitare che il ricordo di quella tragica giornata non diventasse sempre più pesante».
Una notizia così cruda e atroce potrebbe interferire sulla gravidanza?
«Dal punto di vista medico, il bambino è in buone condizioni, è tutto nella norma».
Chi è stato vicino a sua moglie Emanuela nelle ore immediatamente più difficili di questo evento?
«Ci siamo io, mio suocero, mia suocera, mia madre, una delle mie sorelle e mio cognato. Tutti sono stati presenti, amici e famigliari. Abbiamo ricevuto tanto affetto anche da tutto il popolo barlettano che ringrazio di cuore. Chi l'ha salvata era un semplice panificatore, Roberto Sansone. L'ho trovato lì sulle macerie: quando sono arrivato lui mi diceva "Non preoccuparti, tua moglie è viva" e mi sono tranquillizzato. Io personalmente ho dato anche una mano a portala giù, poi abbiamo cercato di far spazio nella folla che si era creata intorno a noi: gli schiamazzi e gli applausi in quel momento non facevano bene, anche perché mia moglie era in forte stato confusionale. Non avevo speranze, pensavo di perdere mio figlio. Al pronto soccorso invece i medici hanno subito controllato lo stato di mia moglie e del feto, abbiamo preso coraggio e siamo tornati a rivivere».
Cosa sperate che succeda nei prossimi giorni?
«Speriamo che la giustizia faccia il suo corso, che questi casi non accadano più: siamo stanchi di denunciare e non essere ascoltati. Non solo qui a Barletta ma, in qualsiasi parte del mondo. Ho avuto ieri mattina un incontro con Nichi Vendola, che ci ha parlato di due diverse Unità di Italia, quella peggiore della criminalità, e quella migliore dell'umanità. Ringrazio moltissimo Nichi Vendola per la solidarietà espressa. Non voglio esagerare, ma forse è stato l'unico che abbiamo sentito davvero vicino. L'amministrazione si sta prodigando, ha promesso tante cose, ma quando si denuncia e non si viene ascoltati si perde la fiducia in queste persone».
Barlettalife sin d'ora vorrebbe fare gli auguri a suo figlio, ma non ne conosciamo il nome.
«Il bimbo si chiamerà Ruggiero, come mio padre. E' successo però qualcosa di particolare: mi hanno detto che il 3 ottobre si festeggia San Gerardo, che è il santo protettore delle madri e dei figli. E, guarda caso, mia moglie usava per dormire – e possiede ancora – la federa di un cuscino con la scritta ricamata "Ospedale San Gerardo – Monza". Forse dovremmo chiamarlo proprio così?».
«No, non si sono pronunciati. Ma anche se il suo stato di salute è buono, questa notte non è stata molto tranquilla. Lei sentiva il letto remare, mi ha detto di avvertire quasi una "sensazione di terremoto" e mi ha pregato di "non muovere il letto". Più che un dolore fisico è un dolore personale legato a ciò che è successo. Aveva paura persino di addormentarsi, ma c'eravamo noi vicini a rincuorarla».
12:22 è l'ora del crollo della palazzina, lei dove si trovava e come ha saputo del crollo?
«Ero in azienda. Ho ricevuto la telefonata da parte del mio avvocato, Antonio Cassatella, che ci stava tutelando dall'impresa edile che lavora nel cantiere vicino. Mi ha avvisato dicendo "Corri subito", così sono uscito dall'azienda correndo. Ho preso l'auto e sono andato di corsa presso l'abitazione, e lì ho visto l'impossibile. Sapevo che c'era mia moglie. L'avvocato mi ha chiamato subito dopo aver saputo per primo la notizia mentre era ai Carabinieri».
Con la più precisa delle cronologie, ci ricorda gli allarmi rivolti alle istituzioni in che tempi e in che modi si sono succeduti?
«Posso partire da venerdì 30 settembre: a casa c'eravamo io, mia moglie, mio suocero, mia suocera, mia madre, una delle sorelle, e soprattutto la zia di mia moglie (che abitava al primo piano della palazzina) che veniva su sempre più allertata perché le crepe erano diventate enormi. Mio suocero aveva smontato con mezzi di fortuna la porta d'ingresso perché non si apriva, e ha trovato una sistemazione provvisoria per entrare. Abbiamo così chiamato gli addetti del Comune, i vigili del fuoco, i vigili urbani e l'impresa di costruzione: venerdì avevano visto già tutto, avevano visto la porta smontata, il pavimento rialzato, le crepe in camera da letto, l'armadio che scricchiolava e non si apriva, insomma tutte le crepe che c'erano nell'abitazione. Dopo il crollo è rimasta immobile solo l'icona della Madonna dello Sterpeto – racconta il signor Antonucci – quella nelle fotografie era proprio la mia camera da letto. Siamo molto religiosi, io sono confratello».
Avete dei documenti che riguardano questo sopralluogo di venerdì?
«Non sappiamo se hanno stilato un verbale – precisa il signor Lanotte - a noi non hanno consegnato nulla. Hanno fatto soltanto alcune foto e sono andati via dicendo che dovevano aspettare un ordinanza dall'ufficio tecnico per sapere se sgombrare o meno l'edificio. Lunedì mattina l'impresa del cantiere accanto continuava ancora a lavorare con pala meccanica senza che l'ordinanza fosse ancora arrivata, sebbene fosse ormai chiara l'instabilità di tutto l'edificio. L'avvocato mi ha consigliato di scattare delle foto mentre l'impresa lavorava, c'era una ruspa abbastanza grande che ha lavorato sino all'ultimo momento… L'ho fotografata ma le foto siano andate tutte perse nel crollo. Per fortuna – aggiunge – che non è successo domenica sera, quando eravamo in circa 20-25 persone sul terrazzo di mio suocero, a guardare tutti insieme la partita Juve-Milan. Lunedì mattina poi le ruspe stavano ancora lavorando. Abbiamo chiamato l'impresa da noi sollecitati, e sono saliti nel nostro appartamento per mostrar loro le crepe. L'impresa continuava a dirci "State tranquilli, non è successo nulla". Il crollo è avvenuto solo qualche minuto dopo, quando i responsabili dell'impresa edile avevano appena varcato il portone d'uscita del palazzo».
Conoscevate le ragazze che sono venute a mancare nel crollo? Sapevate qualcosa della loro vita, erano vostre amiche?
«No, le conoscevamo solo di vista. Sapevamo che lavoravano lì ma ci salutavamo soltanto. Però posso dire che venerdì – nel giorno dei sopralluoghi - i controlli non sono stati effettuati nel sottano, nonostante avessimo chiesto di verificare se anche da loro c'erano gli stessi problemi». «Avevano chiesto a me personalmente – racconta il padre – di valutare la situazione del loro locale, essendo ingegnere e costruttore, ma volevo che fossero gli impiegati e gli esperti ad osservare. Al danno infatti si è aggiunta la beffa – spiega il signor Antonucci – dopo i mille sacrifici che ho speso per quella costruzione. Io sono stato un costruttore, ho lavorato per 6 mesi in Arabia Saudita a Jedda e Tabuk con 50 gradi all'ombra di giorno, anche in pieno deserto con un clima secchissimo: la sera staccavo dal lavoro e svolgendo un secondo incarico da uno sceicco, per il quale ho realizzato pavimenti e diverse palazzine. Ho girato anche tantissimo in Italia. Tutte le sere, anche il sabato, la domenica, il Natale, tutte le feste, sono stati enormi i sacrifici per lavorare di mattina sul cantiere e la sera per aggiustarmi la casa in via Roma, su quel terreno che ho comprato quando era solo una stalla. Ho fatto la vita di un eremita per quel mio appartamento al secondo piano. Poi ho comprato anche l'appartamento per loro, un monolocale di 30 metri in attesa dell'appartamento alla cooperativa. Sono andato loro incontro, e in poco tempo è scomparso nel nulla».
Sua moglie è a conoscenza dell'intero dramma o le è stato nascosto in qualche modo?
«All'inizio ho cercato di bloccare qualsiasi notizia di decessi, per impedire che mia moglie fosse gravata da questo peso e da ulteriore dolore. Ma ha saputo lo stesso notizie tramite qualcuno. Lei piangeva non appena sentiva che era morto qualcuno. Pregavamo insieme che non ci fossero morti, per evitare che il ricordo di quella tragica giornata non diventasse sempre più pesante».
Una notizia così cruda e atroce potrebbe interferire sulla gravidanza?
«Dal punto di vista medico, il bambino è in buone condizioni, è tutto nella norma».
Chi è stato vicino a sua moglie Emanuela nelle ore immediatamente più difficili di questo evento?
«Ci siamo io, mio suocero, mia suocera, mia madre, una delle mie sorelle e mio cognato. Tutti sono stati presenti, amici e famigliari. Abbiamo ricevuto tanto affetto anche da tutto il popolo barlettano che ringrazio di cuore. Chi l'ha salvata era un semplice panificatore, Roberto Sansone. L'ho trovato lì sulle macerie: quando sono arrivato lui mi diceva "Non preoccuparti, tua moglie è viva" e mi sono tranquillizzato. Io personalmente ho dato anche una mano a portala giù, poi abbiamo cercato di far spazio nella folla che si era creata intorno a noi: gli schiamazzi e gli applausi in quel momento non facevano bene, anche perché mia moglie era in forte stato confusionale. Non avevo speranze, pensavo di perdere mio figlio. Al pronto soccorso invece i medici hanno subito controllato lo stato di mia moglie e del feto, abbiamo preso coraggio e siamo tornati a rivivere».
Cosa sperate che succeda nei prossimi giorni?
«Speriamo che la giustizia faccia il suo corso, che questi casi non accadano più: siamo stanchi di denunciare e non essere ascoltati. Non solo qui a Barletta ma, in qualsiasi parte del mondo. Ho avuto ieri mattina un incontro con Nichi Vendola, che ci ha parlato di due diverse Unità di Italia, quella peggiore della criminalità, e quella migliore dell'umanità. Ringrazio moltissimo Nichi Vendola per la solidarietà espressa. Non voglio esagerare, ma forse è stato l'unico che abbiamo sentito davvero vicino. L'amministrazione si sta prodigando, ha promesso tante cose, ma quando si denuncia e non si viene ascoltati si perde la fiducia in queste persone».
Barlettalife sin d'ora vorrebbe fare gli auguri a suo figlio, ma non ne conosciamo il nome.
«Il bimbo si chiamerà Ruggiero, come mio padre. E' successo però qualcosa di particolare: mi hanno detto che il 3 ottobre si festeggia San Gerardo, che è il santo protettore delle madri e dei figli. E, guarda caso, mia moglie usava per dormire – e possiede ancora – la federa di un cuscino con la scritta ricamata "Ospedale San Gerardo – Monza". Forse dovremmo chiamarlo proprio così?».
Emanuele Lanotte e Gennaro Antonucci, intervistati dalla redazione di Barlettalife, sono rispettivamente il marito e il padre di Emanuela Antonucci, la giovane donna di 29 anni, incinta al quinto mese di gravidanza, la prima superstite estratta viva dalle macere del crollo della palazzina di via Roma.