Il diritto alla felicità, solo in termini di violazione
Da un rapporto SDSN l’Italia al 45° posto con Slovenia, Guatemala, Sud Corea. Non solo cause reali ma anche mentali
mercoledì 18 settembre 2013
La più grande ambizione dell'uomo è ormai oggetto di rapporti statistici su scala mondiale; sì, perché una volta appresa l'evanescenza di soldi, lavoro e famiglia, ci si chiede quale sia lo stato di felicità degli abitanti di una nazione. Il problema però è a monte: la felicità non è uno stato, bensì movimento di sensazioni interiori che non possono certo essere spinti dal Governo o da un'amministrazione comunale. Quello che dovrebbe attuare uno Stato è la messa a disposizione dei cittadini di opportunità, da cui ricavare soddisfazione e appagamento. Basterebbe allontanare i rischi di depressione, nevrosi e stress estremo per aprire un varco al benessere psico-fisico.
Gli italiani invidiano (inspiegabilmente) agli americani un inganno: il diritto alla ricerca della felicità espresso nella Dichiarazione d'indipendenza del 1776 è la pezza a colori che lo Stato si assicura per guidare le masse verso le ideologie di sistema. La felicità diventa un diritto rigido, da tutelare e da pretendere; all'uomo spetta la felicità, come spetta un posto di lavoro. Tuttavia, la forma paternalistica è ben lungi dall'impostazione governativa italiana tanto che qui, per opposto, non ci si preoccupa neanche dello stato di malessere dei cittadini, al punto che ci siamo meritati il 45°posto nel mondo. L'Onu ha individuato 6 fondamenti che attestano la felicità, e in base ai quali i primi 6 posti di questo rapporto li hanno guadagnati Danimarca, Norvegia, Svizzera, Paesi Bassi, Svezia e Canada. I paesi in cui si pagano più tasse, in cui c'è una copertura totale di servizi pubblici, in cui c'è il più alto tasso di suicidi.
«Lisa sei troppo intelligente per essere felice» dice Marge alla figlia, «Ignorance is blissness» si consolano gli inglesi; ed effettivamente studi psicologici attestano come la felicità sia inversamente proporzionale al grado di cultura-sapienza-intelligenza-istruzione che uno ha. Se così fosse, noi italiani dovremmo essere una moltitudine di cervelloni talmente profondi da andare sotto pressione. Ma ahinoi siamo carenti anche nell'introspezione personale. Non siamo né economicamente potenti al punto da rasentare l'avidità, né mentalmente forti da poter affidarci alle nostre energie positive. Forse è questo vedere tutto nero che non aiuta la visione ottimista.
La felicità è talmente personale che nessuno dovrebbe mai permettere di affidare la propria nelle mani di un governante; il governante a chi la affiderebbe altrimenti?. Si sta parlando di qualcosa che scaturisce da una fusione di sensi e guardiamoci intorno: se già le strade percorse durante una passeggiata defaticante sono piene di immondizia, se le decisioni amministrative acuiscono l'instabilità che la cittadinanza avverte, se gli occhi non vengono mai sottoposti a rinnovamenti piacevoli, la felicità rimarrà utopica, senza luogo. Altro che effetto placebo e sindrome di Stendhal, serenità e benessere continuano ad essere come il sonno, di cui si sente il piacere soltanto durante la veglia. Continuiamo a dormire allora.
Gli italiani invidiano (inspiegabilmente) agli americani un inganno: il diritto alla ricerca della felicità espresso nella Dichiarazione d'indipendenza del 1776 è la pezza a colori che lo Stato si assicura per guidare le masse verso le ideologie di sistema. La felicità diventa un diritto rigido, da tutelare e da pretendere; all'uomo spetta la felicità, come spetta un posto di lavoro. Tuttavia, la forma paternalistica è ben lungi dall'impostazione governativa italiana tanto che qui, per opposto, non ci si preoccupa neanche dello stato di malessere dei cittadini, al punto che ci siamo meritati il 45°posto nel mondo. L'Onu ha individuato 6 fondamenti che attestano la felicità, e in base ai quali i primi 6 posti di questo rapporto li hanno guadagnati Danimarca, Norvegia, Svizzera, Paesi Bassi, Svezia e Canada. I paesi in cui si pagano più tasse, in cui c'è una copertura totale di servizi pubblici, in cui c'è il più alto tasso di suicidi.
«Lisa sei troppo intelligente per essere felice» dice Marge alla figlia, «Ignorance is blissness» si consolano gli inglesi; ed effettivamente studi psicologici attestano come la felicità sia inversamente proporzionale al grado di cultura-sapienza-intelligenza-istruzione che uno ha. Se così fosse, noi italiani dovremmo essere una moltitudine di cervelloni talmente profondi da andare sotto pressione. Ma ahinoi siamo carenti anche nell'introspezione personale. Non siamo né economicamente potenti al punto da rasentare l'avidità, né mentalmente forti da poter affidarci alle nostre energie positive. Forse è questo vedere tutto nero che non aiuta la visione ottimista.
La felicità è talmente personale che nessuno dovrebbe mai permettere di affidare la propria nelle mani di un governante; il governante a chi la affiderebbe altrimenti?. Si sta parlando di qualcosa che scaturisce da una fusione di sensi e guardiamoci intorno: se già le strade percorse durante una passeggiata defaticante sono piene di immondizia, se le decisioni amministrative acuiscono l'instabilità che la cittadinanza avverte, se gli occhi non vengono mai sottoposti a rinnovamenti piacevoli, la felicità rimarrà utopica, senza luogo. Altro che effetto placebo e sindrome di Stendhal, serenità e benessere continuano ad essere come il sonno, di cui si sente il piacere soltanto durante la veglia. Continuiamo a dormire allora.