Il cinema partecipato è “Quello che conta”
Presentato a Barletta l'esperimento filmico di Sinapsi
sabato 14 marzo 2015
13.29
Disegnare un sogno o sognare di disegnare non fa differenza: quello che conta è prendere per mano una matita, anche spuntata, afferrarla con decisione e riempire gli spazi bianchi. Non importa che siano mani da metal meccanico, da studente, da poliziotto o da casalinga; quello che conta è stringere in un pugno tutta la potenza e farla diventare atto. Ed è diventato un atto creativo, sociale e reale "Quello che conta", in cui ogni fotogramma è una mente diversa, un gruppo diverso, un'idea diversa.
Una pellicola che avvolge Bari in tutta la sua trasparenza e autenticità, che si adagia morbida e sensuale sui muretti impudici, che si impone con tenacia nelle ventose piazze illuminate. Voce narrante di questo film agito è un creditore di sogni, l'affidatario della miseria, il contabile dell'incommensurabile. Sette sono gli operai che tessono la trama della stoffa onirica, fatta di sgranature e buchi vuoti. Una coppia madre-figlio, una coppia di fidanzati, una coppia di amici e una ragazza sola con il suo palo e le sue salviette struccanti. I rapporti ci sono tutti: che sia amniotica, amorosa, amicale o ancorata a un palo, una relazione non è tale se non ha i suoi punti di criticità. E come i sette protagonisti si ritrovano alla fine del film a formare un cerchio dalle variopinte dinamiche umane, così i 60 co-sceneggiatori si sono ritrovati a condividere le loro soggettività per un obiettivo comune, quello del film.
La messinscena di questo progetto, vincitore del bando "Principi attivi" 2012, è la rappresentazione di come il cinema sia l'ancella della Signora Umanità. Come arte sociale per eccellenza, il cinema è il canale più appropriato per dare all'uomo l'opportunità di pensarsi e di agirsi e "Quello che conta" è riuscito in questa possibilità. Si fa presto a dire film partecipato, ma in questo esperimento la regia ha assunto l'oneroso onore di aggregare le eterogeneità e lasciarle tali, scampando al pericolo della massificazione. Il sottotesto è quello dell'abbandono, dell'ossessività materna, della ricerca mai trovata, della determinazione a riempire il vuoto dell'occupazione meridionale, dell'integrazione incolore che si fa sempre più nitida in una Bari extra accogliente. Insomma, clichè che diventano astutamente e ironicamente archetipi di questa terra meravigliosa.
E infine il Pub tanto agognato da Gianni diventa lo spazio per incontrarsi, riunirsi, restare: Francesco raggiunto da sua madre, Mary raggiunta dal suo Domy, mentre Sereno sorride sornione e il palo viene abbandonato. Qual è la capacità aritmetica del contenitore metropolitano di nome Bari? Possono i binari di una ferrovia, le onde del mare, l'orologio di un porto conservare i sogni? Tutto viene attraversato dalla forza generosa del tempo e "Quello che conta" è non guardare mai le lancette.
Una pellicola che avvolge Bari in tutta la sua trasparenza e autenticità, che si adagia morbida e sensuale sui muretti impudici, che si impone con tenacia nelle ventose piazze illuminate. Voce narrante di questo film agito è un creditore di sogni, l'affidatario della miseria, il contabile dell'incommensurabile. Sette sono gli operai che tessono la trama della stoffa onirica, fatta di sgranature e buchi vuoti. Una coppia madre-figlio, una coppia di fidanzati, una coppia di amici e una ragazza sola con il suo palo e le sue salviette struccanti. I rapporti ci sono tutti: che sia amniotica, amorosa, amicale o ancorata a un palo, una relazione non è tale se non ha i suoi punti di criticità. E come i sette protagonisti si ritrovano alla fine del film a formare un cerchio dalle variopinte dinamiche umane, così i 60 co-sceneggiatori si sono ritrovati a condividere le loro soggettività per un obiettivo comune, quello del film.
La messinscena di questo progetto, vincitore del bando "Principi attivi" 2012, è la rappresentazione di come il cinema sia l'ancella della Signora Umanità. Come arte sociale per eccellenza, il cinema è il canale più appropriato per dare all'uomo l'opportunità di pensarsi e di agirsi e "Quello che conta" è riuscito in questa possibilità. Si fa presto a dire film partecipato, ma in questo esperimento la regia ha assunto l'oneroso onore di aggregare le eterogeneità e lasciarle tali, scampando al pericolo della massificazione. Il sottotesto è quello dell'abbandono, dell'ossessività materna, della ricerca mai trovata, della determinazione a riempire il vuoto dell'occupazione meridionale, dell'integrazione incolore che si fa sempre più nitida in una Bari extra accogliente. Insomma, clichè che diventano astutamente e ironicamente archetipi di questa terra meravigliosa.
E infine il Pub tanto agognato da Gianni diventa lo spazio per incontrarsi, riunirsi, restare: Francesco raggiunto da sua madre, Mary raggiunta dal suo Domy, mentre Sereno sorride sornione e il palo viene abbandonato. Qual è la capacità aritmetica del contenitore metropolitano di nome Bari? Possono i binari di una ferrovia, le onde del mare, l'orologio di un porto conservare i sogni? Tutto viene attraversato dalla forza generosa del tempo e "Quello che conta" è non guardare mai le lancette.