Il buon amministratore secondo Rosa Cascella

«Il primo requisito è la conoscenza della propria città». Quali sono la capacità e i doveri di un assessore?

giovedì 28 giugno 2012
«Il recente botta e risposta tra l'ex sindaco Raffaele Fiore e il Sindaco in carica Nicola Maffei ci invita a riflettere su una domanda essenziale: cosa caratterizza un buon amministratore? Se la domanda è valida riguardo il primo cittadino, essa è ancora più calzante per ciascuno dei membri della giunta». E' la riflessione metapolitica di Rosa Cascella, esponente del Partito Democratico di Barletta.

«A mio parere il primo requisito di un buon assessore è la conoscenza della propria città, della città in cui vive ed opera. E' cosa buona e giusta che abbia un'idea precisa e puntuale di città, fondata sulla qualità, sul lavoro, sul sociale e sulla cultura, componenti strategiche del sistema locale. L'assessore dovrebbe puntare a una città moderna, dinamica e competitiva, dotata di un assetto istituzionale adeguato. Una città capace di integrarsi al contesto regionale, nazionale e internazionale.

Un assessore, poi, deve avere coscienza dei limiti intrinsechi del proprio campo d'azione. Un assessore è parte dell'esecutivo della città. Non può inventarsi rappresentate di altri enti sovraordinati, come la Regione. Le azioni della Regione non sono la somma delle singole azioni dei diversi Comuni. Ma forse alcuni dei nostri assessori avrebbero bisogno di chiarimenti al riguardo. O forse la vicinanza, l'eccessiva contiguità a esponenti del Consiglio regionale confonde loro le idee. Un buon assessore, sempre a mio modo di vedere, deve aver dimostrato di aver costruito e definito una professionalità credibile agli occhi della comunità in cui vive, oltre a dimostrare l'effettiva capacità di creare consenso ed azione politica prima di essere nominato dal Sindaco. Sarebbe opportuno che l'assessore sia stato candidato almeno una volta al Consiglio comunale, o che abbia avuto incarichi di partito in grado di provare le sue capacità di dialogo, di mediazione, di efficacia sul piano politico. Deve aver militato in un partito, deve ricordare: l'odore della colla dei manifesti attaccati in campagna elettorale; le battaglie politiche in difesa del bene comune contro le lobbies degli interessi particolari; il confronto dei congressi veri, seri e puliti.

Infine, ma certo non per importanza, è necessario che vi sia una qualche omogeneità tra formazione ed esperienza professionale da un lato e contenuto delle deleghe dall'altro. Non è questione di formalismi. La burocrazia e la legislazione diventano sempre più settoriali, specifiche, meno generaliste. E avere qualche nozione di procedura civile non significa essere in grado di affrontare temi economici. Soprattutto in tempi di crisi.

L'autorevolezza non si acquisisce con un incarico ricevuto da "quattro amici al bar". Il vuoto dietro un titolo rischia di far precipitare la città nell'oblio e nell'improvvisazione. Questo è il momento della serietà e della credibilità sociale, professionale e politica. Se a questo ci aggiungessimo l'umiltà, una delle virtù più difficili da conquistare, avremmo sicuramente ottenuto il massimo a cui una città può aspirare. Purtroppo, si è scelta un'altra via. Nei settori nevralgici dell'Amministrazione, invece di persone competenti, portatrici di consenso e con i titoli giusti, si è preferito in molti casi il "ragazzo di bottega", che scopre il potere dopo essere stato al servizio di un potente».