«Ho portato a Siena il dialetto barlettano e ne sono orgogliosa»
Il lavoro di laurea di Aurora Diella sulle origini del nostro dialetto
giovedì 15 luglio 2021
15.20
Il dialetto dei giovani: un ponte tra passato e presente è il titolo della tesi di laurea triennale di Aurora Diella, laureata presso l'Università per stranieri di Siena. Quando le abbiamo chiesto il perché di questa scelta e perché proprio la città di Siena, Aurora spiega che è sempre stata affascinata dalle foto e dai racconti della città che sentiva da amici e sconosciuti.
«Volevo fare mediazione linguistica fuori della mia città, allontanarmi da casa per fare nuove esperienze. L'Università che ho poi scelto mi sembrava il luogo perfetto nel momento perfetto perché, nonostante tutti pensino che sia per stranieri, in realtà si chiama così perché ha moltissime convenzioni con l'estero e internazionali. Siena è di per sé una città aperta, l'Università per stranieri sembra il centro in cui convergono mondi diversi, culture lontane. Io ho avuto modo di conoscere un'australiana venuta in vacanza a Siena. Ed è così che mi sento quando sono lì: sempre in vacanza. Ho sempre avuto mille esperienze da fare ed è bellissimo perché non rimani mai ancorata alle tue abitudini, ma cresci continuamente».
Questa matrice cosmopolita in cui ha vissuto per quattro anni l'ha portata poi, ad approfondire le sue radici linguistiche in occasione della sua tesi di laurea. Aurora decide di partire dal dialetto perché, ci spiega, è un'espressione culturale attraverso cui ci esprimiamo di più con gli amici, lo usiamo per identificarci e sentirci parte di qualcosa. Il suo progetto di tesi parte da un questionario posto ai ragazzi tra i 15 e i 25 anni per un'esplorazione sociolinguistica.
Emerge per esempio, che i giovani sono molto propensi ad insegnare il dialetto barlettano ai loro futuri figli perché lo vedono come un modo per mantenerlo in vita. Sono favorevoli ad iniziative per metterlo in risalto, come la commedia teatrale barlettana Mègghie Poverièdde.
Apprezzano moltissimo Checco Zalone per aver portato il dialetto sul grande schermo attraverso frasi idiomatiche e quindi, esportando la pugliesità anche a chi non la conosce. In questa direzione, quando Aurora ha posto domande sul futuro del dialetto, è emerso che la risposta più frequente secondo i partecipanti, è quella secondo cui il dialetto è a tutti gli effetti una lingua ed in quanto tale, cambierà con il tempo perché in continua evoluzione come le altre lingue. Dialetto e lingua difatti si influenzano vicendevolmente, venendosi in contro per la ricerca di espressioni il più precise possibile.
La parola priscio, per esempio, è un'espressione dialettale che non ha alcuna traduzione in italiano e che i giovani e non solo, usano per chiarire meglio il significato di un sentimento che non c'è in italiano.
Nella sua ricerca, Aurora si è occupata si di indagare anche i fenomeni linguistici maggiormente ricorrenti nel nostro dialetto:
campagna → cambagna → cambegn
Questo è un fenomeno tipico dei dialetti meridionali, quello dell'assimilazione totale progressiva.
O ancora, la b che diventa v: bocca → [Va:k]
L'espressione chess che deriva invece dal latino. Altre evoluzioni interessanti sono: gettare → scttè / comprare → accattè (anche questa dal latino ad capio).
Quando dicono che i classici non tramontano mai, il nostro dialetto, più volte deriso, schernito come una lingua da classe popolare medio-bassa, è la prova di quanto la storia proveniente da tempi lontanissimi, vive in quello che diciamo, in come parliamo.
Sull'origina storica della nostra città, le ricerche di Aurora ci dicono che Barletta è apparsa per la prima volta sulla Tabula peutingeriana in cui si legge Bardulos e cioè le popolazioni che arrivano sulle coste della città, i Bardei. Loro erano popoli illirici, proveniente dalla Dalmazia. Con il tempo, il nome ha subito diverse evoluzioni: Barduli, Barulea, Baroletum e poi Barolettam perché si pensava che la città avesse la forma di un barile.
Un viaggio alla scoperta delle nostre origini linguistiche e storiche perché come ha più volte sottolineato il saggista, linguista, lessicografo e accademico Tullio De Mauro: «Conoscere il proprio dialetto significa possedere uno strumento per capire il mondo da cui siamo venuti e in cui siamo ancora immersi, non per eliminare il nostro orizzonte, ma al contrario, per collocare i fatti della nostra storia particolare nel quadro più ampio della storia e della cultura nazionale ed europea».
Anche Aurora che ha lasciato il suo cuore a Siena, quella città italiana che sembra non avere confini, così ben proiettata nell'orizzonte internazionale, dice: «In fondo ho capito che anche se parliamo lingue diverse gli uni dagli altri, il nostro cuore batte all'unisono». Un progetto di inclusione il suo lavoro di tesi, un piccolo regalo da restituire a Siena che l'ha sempre fatta sentire cittadina del mondo.
«Volevo fare mediazione linguistica fuori della mia città, allontanarmi da casa per fare nuove esperienze. L'Università che ho poi scelto mi sembrava il luogo perfetto nel momento perfetto perché, nonostante tutti pensino che sia per stranieri, in realtà si chiama così perché ha moltissime convenzioni con l'estero e internazionali. Siena è di per sé una città aperta, l'Università per stranieri sembra il centro in cui convergono mondi diversi, culture lontane. Io ho avuto modo di conoscere un'australiana venuta in vacanza a Siena. Ed è così che mi sento quando sono lì: sempre in vacanza. Ho sempre avuto mille esperienze da fare ed è bellissimo perché non rimani mai ancorata alle tue abitudini, ma cresci continuamente».
Questa matrice cosmopolita in cui ha vissuto per quattro anni l'ha portata poi, ad approfondire le sue radici linguistiche in occasione della sua tesi di laurea. Aurora decide di partire dal dialetto perché, ci spiega, è un'espressione culturale attraverso cui ci esprimiamo di più con gli amici, lo usiamo per identificarci e sentirci parte di qualcosa. Il suo progetto di tesi parte da un questionario posto ai ragazzi tra i 15 e i 25 anni per un'esplorazione sociolinguistica.
Emerge per esempio, che i giovani sono molto propensi ad insegnare il dialetto barlettano ai loro futuri figli perché lo vedono come un modo per mantenerlo in vita. Sono favorevoli ad iniziative per metterlo in risalto, come la commedia teatrale barlettana Mègghie Poverièdde.
Apprezzano moltissimo Checco Zalone per aver portato il dialetto sul grande schermo attraverso frasi idiomatiche e quindi, esportando la pugliesità anche a chi non la conosce. In questa direzione, quando Aurora ha posto domande sul futuro del dialetto, è emerso che la risposta più frequente secondo i partecipanti, è quella secondo cui il dialetto è a tutti gli effetti una lingua ed in quanto tale, cambierà con il tempo perché in continua evoluzione come le altre lingue. Dialetto e lingua difatti si influenzano vicendevolmente, venendosi in contro per la ricerca di espressioni il più precise possibile.
La parola priscio, per esempio, è un'espressione dialettale che non ha alcuna traduzione in italiano e che i giovani e non solo, usano per chiarire meglio il significato di un sentimento che non c'è in italiano.
Nella sua ricerca, Aurora si è occupata si di indagare anche i fenomeni linguistici maggiormente ricorrenti nel nostro dialetto:
campagna → cambagna → cambegn
Questo è un fenomeno tipico dei dialetti meridionali, quello dell'assimilazione totale progressiva.
O ancora, la b che diventa v: bocca → [Va:k]
L'espressione chess che deriva invece dal latino. Altre evoluzioni interessanti sono: gettare → scttè / comprare → accattè (anche questa dal latino ad capio).
Quando dicono che i classici non tramontano mai, il nostro dialetto, più volte deriso, schernito come una lingua da classe popolare medio-bassa, è la prova di quanto la storia proveniente da tempi lontanissimi, vive in quello che diciamo, in come parliamo.
Sull'origina storica della nostra città, le ricerche di Aurora ci dicono che Barletta è apparsa per la prima volta sulla Tabula peutingeriana in cui si legge Bardulos e cioè le popolazioni che arrivano sulle coste della città, i Bardei. Loro erano popoli illirici, proveniente dalla Dalmazia. Con il tempo, il nome ha subito diverse evoluzioni: Barduli, Barulea, Baroletum e poi Barolettam perché si pensava che la città avesse la forma di un barile.
Un viaggio alla scoperta delle nostre origini linguistiche e storiche perché come ha più volte sottolineato il saggista, linguista, lessicografo e accademico Tullio De Mauro: «Conoscere il proprio dialetto significa possedere uno strumento per capire il mondo da cui siamo venuti e in cui siamo ancora immersi, non per eliminare il nostro orizzonte, ma al contrario, per collocare i fatti della nostra storia particolare nel quadro più ampio della storia e della cultura nazionale ed europea».
Anche Aurora che ha lasciato il suo cuore a Siena, quella città italiana che sembra non avere confini, così ben proiettata nell'orizzonte internazionale, dice: «In fondo ho capito che anche se parliamo lingue diverse gli uni dagli altri, il nostro cuore batte all'unisono». Un progetto di inclusione il suo lavoro di tesi, un piccolo regalo da restituire a Siena che l'ha sempre fatta sentire cittadina del mondo.