Francesco Salerno vs. Pietro Mennea: 20 anni dopo
La tribolata campagna elettorale 2002, con due protagonisti tanto osteggiati prima, quanto rimpianti poi
giovedì 5 maggio 2022
A giudicare da quanto sono onorati, celebrati, e a tratti letteralmente idolatrati oggi a Barletta uomini come l'ex sindaco Francesco Salerno e come l'ex campione olimpico Pietro Mennea, se per assurdo un bel giorno a qualche marziano dovesse venire l'uzzolo di sbarcare sulla Terra e di seguire le vicende politiche barlettane, questo ingenuo e scanzonato extraterrestre, ascoltando i barlettani rimembrare i bei tempi dei grandi Ciccio e Pietro, crederebbe quanto meno di sentir parlare delle gesta di due semidei.
Mettiamo poi che questo simpatico virgulto di una qualche razza aliena superiore disponga di una macchina del tempo e di conseguenza abbia la possibilità di spostare vent'anni indietro le lancette dell'orologio della politica barlettana… beh, rimarrebbe senz'altro ancor più affascinato dal fatto che Pietro Mennea e Francesco Salerno sono stati addirittura avversari nella corsa alla carica di sindaco di Barletta nell'anno del Signore 2002 d.C.
Che dire, roba che Achille e Ettore scansatevi, a sentire le tante, ipocrite e talvolta davvero insopportabili litanìe post mortem riservate ai due.
Ora, mettendo da parte extraterrestri e navicelle spaziali, non rientra certo tra i segreti di Fatima il fatto che sia Francesco Salerno che Pietro Mennea, tanto vengono beatificati oggi che sono passati a miglior vita, quanto furono mal sopportati (e non di rado apertamente osteggiati ) in occasione della campagna elettorale per le Comunali del maggio 2002.
Di Pietro Mennea atleta ormai sappiamo tutto: sacrifici, vittorie, record, medaglie, aneddoti, aforismi ecc. Lo sappiamo a tal punto da celebrare (naturalmente post mortem) anniversari assortiti di questa o quella vittoria o di questo o quel primato, il che suona piuttosto beffardo (per non dire altro), soprattutto se si pensa che quando Mennea era vivo e vegeto, nessuno (soprattutto nella sua città) si è mai sognato di celebrare il decennale, il ventennale o il trentennale per esempio di quell'oro olimpico a Mosca, al contrario di oggi, dove più di qualcuno celebrerebbe financo l'anniversario della sua prima comunione, se solo gli fosse concesso.
Di Pietro Mennea si sa anche che conseguì ben cinque lauree, così come si sa del suo impegno politico al Parlamento Europeo (eletto con l'Italia dei Valori di Antonio Di Pietro), che poi è stato il prologo alla sua tormentata candidatura a sindaco di Barletta, in quota centro destra.
Tra i maggiori ostacoli che Pietro Mennea ha dovuto superare sulla strada della candidatura a primo cittadino, vi sono le spaccature a più livelli nel centro destra barlettano e non solo. Da mesi era stata infatti praticamente ufficializzata la candidatura a sindaco di Beppe Cioce, con il beneplacito di tutti i partiti della coalizione. Poi, come da consolidata abitudine del centrodestra di quegli anni, ecco materializzarsi il colpo di scena.
Siamo a febbraio del 2002, alle elezioni mancano poco più di tre mesi, quando dai vertici nazionali di Forza Italia viene calata dall'alto la candidatura a sorpresa di Pietro Mennea. Un'idea partorita forse alla luce di un recente sondaggio che vede Francesco Salerno (la cui ricandidatura è per altro ancora in discussione) come chiaro favorito.
La candidatura di Pietro Mennea, che nelle intenzioni degli alti papaveri di Forza Italia sarebbe dovuta essere la mossa con quale mettere sotto scacco Salerno e/o il centro sinistra, finisce col ridurre il centro destra di Barletta ad una sorta di Bosnia-Erzegovina in scala ridotta, con Alleanza Nazionale che non solo insiste su Beppe Cioce, facendo persino affiggere manifesti elettorali con la scritta "Cioce sindaco"; ma di Mennea candidato proprio non vuole saperne, in primis perché contraria ad un candidato sindaco che solo pochi mesi prima era parlamentare europeo con l'Italia dei Valori, e poi perché "[…] non è stando metà della settimana a 2000 chilometri di distanza che si può avere l'esatta percezione dei problemi della città. Conta la residenza, non il certificato di nascita".
Quello della lontananza di Pietro Mennea da Barletta è più o meno lo stesso sentimento che, sapientemente aizzato e cavalcato anche dagli ambienti del centrosinistra, inizia a diffondersi in città, tanto che sui muri di Barletta compaiono scritte anche piuttosto offensive contro Pietro Mennea.
Tutti episodi che fa davvero strano a ricordarli oggi, in tempi in cui molti di coloro che nel 2002 dissero peste e corna di Mennea, andrebbero quasi in estasi mistica e ansia da presenzialismo al solo sentir pronunciare il suo nome.
Tornando al 2002, e alla candidatura di Pietro Mennea alla guida della città, se AN è ormai sul piede di guerra, anche Forza Italia non è esente da malumori, tanto che il 10 aprile, a meno di cinquanta giorni dal voto, il partito viene commissariato dal coordinatore nazionale di Forza Italia Roberto Antonione (uno di quelli che nel 2011 sarebbe rimasto folgorato sulla via di Monti). Ma il rapido avvicinarsi del giorno delle elezioni, fa sì che sul nome di Mennea oramai convergano sia i vertici regionali di Forza Italia, che quelli di Alleanza Nazionale, nonostante gli esponenti barlettani del partito di Gianfranco Fini siano ancora piuttosto recalcitranti nel rinunciare alla candidatura di Beppe Cioce. Ma il tempo stringe, e il 25 aprile Alleanza Nazionale, seppur quasi a malincuore, converge definitivamente su Mennea, anche in virtù di un vecchio accordo che prevedeva l'alternanza tra AN e Forza Italia nella candidatura a sindaco (Antonio Luzzi, nel 1997, era stato candidato sindaco in quota AN).
Come recita un vecchio adagio, se Atene piange, Sparta di certo non ride. Detto infatti del travagliatissimo iter che ha portato alla candidatura a sindaco di Pietro Mennea per il centro destra, il percorso che ha portato Francesco Salerno a ripresentarsi agli elettori barlettani da sindaco uscente, è, se possibile, ancora più accidentato.
Francesco Salerno diventa sindaco di Barletta, sostenuto dalla coalizione dell'Ulivo (PDS, Partito Popolare, Socialisti Italiani, Rinnovamento Italiano) + Rifondazione Comunista, battendo Antonio Luzzi del Polo delle Libertà, al ballottaggio del 30 novembre 1997 .
Per quasi due anni, il percorso dell'amministrazione Salerno, non si discosta granché da quelle precedenti guidate da Fiore e Dimiccoli, tra assessori che vanno e vengono, mal di pancia ora di questo ora di quel consigliere, e verifiche di maggioranza, unite a rimpasti di giunta, che si susseguono più o meno a cadenza mensile, al massimo bimestrale. Non di rado, inoltre, la prima amministrazione Salerno ha dovuto far ricorso a qualche "stampella" proveniente dalle opposizioni per far passare alcuni importanti provvedimenti amministrativi. Nulla di inedito insomma, rispetto alle consiliature precedenti e a quelle che verranno.
Francesco Salerno però non è né Fiore, né Dimiccoli (né tanto meno Maffei o Cascella). E' un decisionista nel vero senso della parola. Ha un carattere forte e schietto, talvolta brusco (specialmente nei riguardi della stampa). Quando si pone un obiettivo è determinato al punto da rasentare la testardaggine. Ma soprattutto è bravissimo a intercettare le istanze del barlettano medio, a carpirne la fiducia e a conquistarsene la simpatia (e i voti).
Politicamente Salerno si dimostra ben presto piuttosto scaltro, e ne dà prova tangibile quando c'è da mettere in moto quella che forse è la sua più importante creatura: la Bar.S.A. E con un consiglio di amministrazione da nominare, da che mondo è mondo, risulta fortemente controindicato per i partiti (opposizioni comprese) mandare a casa un'amministrazione comunale, di qualunque colore essa sia. Salerno lo sa e rilancia, riportando a Barletta dopo qualche decennio il certame cavalleresco della Disfida, risistemando i giardini del Castello (opera per altro già prevista dalle precedenti amministrazioni), dando impulso all'apertura di strutture turistico ricettive che rivitalizzano un centro storico prima in preda a teppistelli e spacciatori (anche adesso per la verità, solo che almeno ci si può gustare un trancio di pizza), e dando infine nuova vita a quell'"Estate Barlettana" che ormai si era ridotta a refugium peccatorum di neomelodici e vecchi arnesi della TV.
Tutto questo porta Francesco Salerno ad aumentare a dismisura il proprio consenso personale. Una fama da "sindaco della gente" che diventa una vera e propria corazza capace di resistere anche a roventi polemiche come quella sul presunto conflitto di interesse con la carica di primario di radiologia, come quella sull'associazione antiracket con l'allora magistrato della DDA Michele Emiliano, come quella del concerto di Renzo Arbore tenutosi il giorno dopo gli attentati dell'11 settembre 2001.
Il consenso personale di cui Francesco Salerno fa ormai bella mostra, con l'approssimarsi della fine del suo mandato, diventa, soprattutto per i partiti che lo hanno sostenuto (DS in testa), un grosso problema politico, tant'è vero che a febbraio 2002, di aspiranti candidati di centro-sinistra alla poltrona di sindaco, oltre a quello uscente, ve ne sono addirittura tre: due in quota PDS-DS (Franco Dambra e Ruggiero Dibenedetto); e uno per la Margherita (Luigi Terrone). Da Roma, in qualità di pontiere di lusso, giunge a Barletta niente meno che il leader dei Democratici di Sinistra Piero Fassino, e mentre dalla Margherita ufficializzano la candidatura a sindaco di Luigi Terrone, un Francesco Salerno per nulla intimidito dalla presenza del suo capo partito dichiara: "Non sarò unificante, ma sicuramente vincente".
Difficile a questo punto scorgere in Francesco Salerno quel labilissimo e quasi impercettibile confine tra l'incoscienza mista ad arroganza, e la semplice consapevolezza dei propri mezzi mista ad un coraggio politico davvero poco comune. Salerno del resto è l'uomo del rilancio e il 28 marzo del 2008, quasi sfidando il suo partito, annuncia la nascita di una sua lista civica che si chiamerà "Vivi Barletta", mentre il 10 aprile 2002 Massimo Dalema ("capo corrente" di Francesco Salerno) in persona, pone praticamente fine a questa guerra a bassa intensità, tutta interna al centrosinistra barlettano, dichiarando aperto sostegno a Francesco Salerno sindaco in pectore, più che candidato sindaco, visto il desolante teatrino in corso nel centro-destra.
Domenica 26, e lunedì 27 maggio 2002, infatti, la vittoria di Francesco Salerno sarà totale, in quanto non solo batterà al primo turno con quasi venti punti di distacco il candidato del centro-destra Pietro Mennea, ma lo farà senza i voti della Margherita (andati ovviamente a Luigi Terrone), e con la lista "Vivi Barletta" che prenderà più voti (eleggendo un consigliere in più) del PDS-DS.
Quanto a Pietro Mennea, il risultato si presta ad una doppia chiave di lettura, in quanto il 37% ottenuto con il centrodestra unito (a differenza del 32% ottenuto da Luzzi al primo turno nel 1997 senza i centristi della coalizione), seppur ottenuto contro un sindaco uscente piuttosto popolare, rappresenta sicuramente un risultato poco confortante. Ma il 37% ottenuto da un Pietro Mennea quasi inviso ad almeno metà della coalizione, diventa un risultato oltremodo dignitoso, specie se rapportato al miserrimo e fallimentare 20,7 % con il quale il centro destra barlettano verrà letteralmente asfaltato dal centrosinistra del candidato Nicola Maffei nella primavera del 2006.
Già, il 2006, anno di elezioni anticipate, in quanto già da mesi Francesco Salerno aveva annunciato il suo disimpegno prima della scadenza naturale del suo secondo mandato di sindaco, con l'intenzione di candidarsi al Parlamento nelle elezioni politiche che vedranno contrapporsi Romano Prodi e Silvio Berlusconi. Una candidatura che naturalmente il suo partito (i DS), non vede proprio di buon'occhio. E' soprattutto il parlamentare canosino Nicola Rossi ad invitare Francesco Salerno, se non apertamente a desistere, quanto meno ad "agire con cautela", che detto in politichese ha più o meno lo stesso significato. A esorcizzare definitivamente per i DS la sempre più ingombrante ombra di Francesco Salerno (e i fantasmi di un nuovo 2002), ci pensa tuttavia il governo Berlusconi varando il famigerato "Porcellum": una legge elettorale che cancella in pratica collegi e preferenze in favore dei listini bloccati varati dalle direzioni nazionali dei vari partiti, azzerando così alla fonte il pericolo di portare alla Camera o al Senato qualche "Francesco Salerno" di troppo.
Anche Pietro Mennea lascerà il suo scranno da consigliere comunale ben prima della fine della consiliatura. Lo farà dopo il pasticciaccio della sua firma falsificata (denunciata in Procura da Pietro Mennea stesso) necessaria alla nomina del membro di opposizione nel consiglio di amministrazione della Bar.S.A. Lo farà dopo aver esercitato la sua funzione di consigliere comunale con attivismo e partecipazione, al contrario di ciò che pensavano i suoi detrattori: quelli del "mò si ricorda di Barletta". In molti casi quelli che oggi, se potessero, darebbero vita, nel nome di Pietro Mennea, a vere e proprie adorazioni eucaristiche.
Mettiamo poi che questo simpatico virgulto di una qualche razza aliena superiore disponga di una macchina del tempo e di conseguenza abbia la possibilità di spostare vent'anni indietro le lancette dell'orologio della politica barlettana… beh, rimarrebbe senz'altro ancor più affascinato dal fatto che Pietro Mennea e Francesco Salerno sono stati addirittura avversari nella corsa alla carica di sindaco di Barletta nell'anno del Signore 2002 d.C.
Che dire, roba che Achille e Ettore scansatevi, a sentire le tante, ipocrite e talvolta davvero insopportabili litanìe post mortem riservate ai due.
Ora, mettendo da parte extraterrestri e navicelle spaziali, non rientra certo tra i segreti di Fatima il fatto che sia Francesco Salerno che Pietro Mennea, tanto vengono beatificati oggi che sono passati a miglior vita, quanto furono mal sopportati (e non di rado apertamente osteggiati ) in occasione della campagna elettorale per le Comunali del maggio 2002.
Di Pietro Mennea atleta ormai sappiamo tutto: sacrifici, vittorie, record, medaglie, aneddoti, aforismi ecc. Lo sappiamo a tal punto da celebrare (naturalmente post mortem) anniversari assortiti di questa o quella vittoria o di questo o quel primato, il che suona piuttosto beffardo (per non dire altro), soprattutto se si pensa che quando Mennea era vivo e vegeto, nessuno (soprattutto nella sua città) si è mai sognato di celebrare il decennale, il ventennale o il trentennale per esempio di quell'oro olimpico a Mosca, al contrario di oggi, dove più di qualcuno celebrerebbe financo l'anniversario della sua prima comunione, se solo gli fosse concesso.
Di Pietro Mennea si sa anche che conseguì ben cinque lauree, così come si sa del suo impegno politico al Parlamento Europeo (eletto con l'Italia dei Valori di Antonio Di Pietro), che poi è stato il prologo alla sua tormentata candidatura a sindaco di Barletta, in quota centro destra.
Tra i maggiori ostacoli che Pietro Mennea ha dovuto superare sulla strada della candidatura a primo cittadino, vi sono le spaccature a più livelli nel centro destra barlettano e non solo. Da mesi era stata infatti praticamente ufficializzata la candidatura a sindaco di Beppe Cioce, con il beneplacito di tutti i partiti della coalizione. Poi, come da consolidata abitudine del centrodestra di quegli anni, ecco materializzarsi il colpo di scena.
Siamo a febbraio del 2002, alle elezioni mancano poco più di tre mesi, quando dai vertici nazionali di Forza Italia viene calata dall'alto la candidatura a sorpresa di Pietro Mennea. Un'idea partorita forse alla luce di un recente sondaggio che vede Francesco Salerno (la cui ricandidatura è per altro ancora in discussione) come chiaro favorito.
La candidatura di Pietro Mennea, che nelle intenzioni degli alti papaveri di Forza Italia sarebbe dovuta essere la mossa con quale mettere sotto scacco Salerno e/o il centro sinistra, finisce col ridurre il centro destra di Barletta ad una sorta di Bosnia-Erzegovina in scala ridotta, con Alleanza Nazionale che non solo insiste su Beppe Cioce, facendo persino affiggere manifesti elettorali con la scritta "Cioce sindaco"; ma di Mennea candidato proprio non vuole saperne, in primis perché contraria ad un candidato sindaco che solo pochi mesi prima era parlamentare europeo con l'Italia dei Valori, e poi perché "[…] non è stando metà della settimana a 2000 chilometri di distanza che si può avere l'esatta percezione dei problemi della città. Conta la residenza, non il certificato di nascita".
Quello della lontananza di Pietro Mennea da Barletta è più o meno lo stesso sentimento che, sapientemente aizzato e cavalcato anche dagli ambienti del centrosinistra, inizia a diffondersi in città, tanto che sui muri di Barletta compaiono scritte anche piuttosto offensive contro Pietro Mennea.
Tutti episodi che fa davvero strano a ricordarli oggi, in tempi in cui molti di coloro che nel 2002 dissero peste e corna di Mennea, andrebbero quasi in estasi mistica e ansia da presenzialismo al solo sentir pronunciare il suo nome.
Tornando al 2002, e alla candidatura di Pietro Mennea alla guida della città, se AN è ormai sul piede di guerra, anche Forza Italia non è esente da malumori, tanto che il 10 aprile, a meno di cinquanta giorni dal voto, il partito viene commissariato dal coordinatore nazionale di Forza Italia Roberto Antonione (uno di quelli che nel 2011 sarebbe rimasto folgorato sulla via di Monti). Ma il rapido avvicinarsi del giorno delle elezioni, fa sì che sul nome di Mennea oramai convergano sia i vertici regionali di Forza Italia, che quelli di Alleanza Nazionale, nonostante gli esponenti barlettani del partito di Gianfranco Fini siano ancora piuttosto recalcitranti nel rinunciare alla candidatura di Beppe Cioce. Ma il tempo stringe, e il 25 aprile Alleanza Nazionale, seppur quasi a malincuore, converge definitivamente su Mennea, anche in virtù di un vecchio accordo che prevedeva l'alternanza tra AN e Forza Italia nella candidatura a sindaco (Antonio Luzzi, nel 1997, era stato candidato sindaco in quota AN).
Come recita un vecchio adagio, se Atene piange, Sparta di certo non ride. Detto infatti del travagliatissimo iter che ha portato alla candidatura a sindaco di Pietro Mennea per il centro destra, il percorso che ha portato Francesco Salerno a ripresentarsi agli elettori barlettani da sindaco uscente, è, se possibile, ancora più accidentato.
Francesco Salerno diventa sindaco di Barletta, sostenuto dalla coalizione dell'Ulivo (PDS, Partito Popolare, Socialisti Italiani, Rinnovamento Italiano) + Rifondazione Comunista, battendo Antonio Luzzi del Polo delle Libertà, al ballottaggio del 30 novembre 1997 .
Per quasi due anni, il percorso dell'amministrazione Salerno, non si discosta granché da quelle precedenti guidate da Fiore e Dimiccoli, tra assessori che vanno e vengono, mal di pancia ora di questo ora di quel consigliere, e verifiche di maggioranza, unite a rimpasti di giunta, che si susseguono più o meno a cadenza mensile, al massimo bimestrale. Non di rado, inoltre, la prima amministrazione Salerno ha dovuto far ricorso a qualche "stampella" proveniente dalle opposizioni per far passare alcuni importanti provvedimenti amministrativi. Nulla di inedito insomma, rispetto alle consiliature precedenti e a quelle che verranno.
Francesco Salerno però non è né Fiore, né Dimiccoli (né tanto meno Maffei o Cascella). E' un decisionista nel vero senso della parola. Ha un carattere forte e schietto, talvolta brusco (specialmente nei riguardi della stampa). Quando si pone un obiettivo è determinato al punto da rasentare la testardaggine. Ma soprattutto è bravissimo a intercettare le istanze del barlettano medio, a carpirne la fiducia e a conquistarsene la simpatia (e i voti).
Politicamente Salerno si dimostra ben presto piuttosto scaltro, e ne dà prova tangibile quando c'è da mettere in moto quella che forse è la sua più importante creatura: la Bar.S.A. E con un consiglio di amministrazione da nominare, da che mondo è mondo, risulta fortemente controindicato per i partiti (opposizioni comprese) mandare a casa un'amministrazione comunale, di qualunque colore essa sia. Salerno lo sa e rilancia, riportando a Barletta dopo qualche decennio il certame cavalleresco della Disfida, risistemando i giardini del Castello (opera per altro già prevista dalle precedenti amministrazioni), dando impulso all'apertura di strutture turistico ricettive che rivitalizzano un centro storico prima in preda a teppistelli e spacciatori (anche adesso per la verità, solo che almeno ci si può gustare un trancio di pizza), e dando infine nuova vita a quell'"Estate Barlettana" che ormai si era ridotta a refugium peccatorum di neomelodici e vecchi arnesi della TV.
Tutto questo porta Francesco Salerno ad aumentare a dismisura il proprio consenso personale. Una fama da "sindaco della gente" che diventa una vera e propria corazza capace di resistere anche a roventi polemiche come quella sul presunto conflitto di interesse con la carica di primario di radiologia, come quella sull'associazione antiracket con l'allora magistrato della DDA Michele Emiliano, come quella del concerto di Renzo Arbore tenutosi il giorno dopo gli attentati dell'11 settembre 2001.
Il consenso personale di cui Francesco Salerno fa ormai bella mostra, con l'approssimarsi della fine del suo mandato, diventa, soprattutto per i partiti che lo hanno sostenuto (DS in testa), un grosso problema politico, tant'è vero che a febbraio 2002, di aspiranti candidati di centro-sinistra alla poltrona di sindaco, oltre a quello uscente, ve ne sono addirittura tre: due in quota PDS-DS (Franco Dambra e Ruggiero Dibenedetto); e uno per la Margherita (Luigi Terrone). Da Roma, in qualità di pontiere di lusso, giunge a Barletta niente meno che il leader dei Democratici di Sinistra Piero Fassino, e mentre dalla Margherita ufficializzano la candidatura a sindaco di Luigi Terrone, un Francesco Salerno per nulla intimidito dalla presenza del suo capo partito dichiara: "Non sarò unificante, ma sicuramente vincente".
Difficile a questo punto scorgere in Francesco Salerno quel labilissimo e quasi impercettibile confine tra l'incoscienza mista ad arroganza, e la semplice consapevolezza dei propri mezzi mista ad un coraggio politico davvero poco comune. Salerno del resto è l'uomo del rilancio e il 28 marzo del 2008, quasi sfidando il suo partito, annuncia la nascita di una sua lista civica che si chiamerà "Vivi Barletta", mentre il 10 aprile 2002 Massimo Dalema ("capo corrente" di Francesco Salerno) in persona, pone praticamente fine a questa guerra a bassa intensità, tutta interna al centrosinistra barlettano, dichiarando aperto sostegno a Francesco Salerno sindaco in pectore, più che candidato sindaco, visto il desolante teatrino in corso nel centro-destra.
Domenica 26, e lunedì 27 maggio 2002, infatti, la vittoria di Francesco Salerno sarà totale, in quanto non solo batterà al primo turno con quasi venti punti di distacco il candidato del centro-destra Pietro Mennea, ma lo farà senza i voti della Margherita (andati ovviamente a Luigi Terrone), e con la lista "Vivi Barletta" che prenderà più voti (eleggendo un consigliere in più) del PDS-DS.
Quanto a Pietro Mennea, il risultato si presta ad una doppia chiave di lettura, in quanto il 37% ottenuto con il centrodestra unito (a differenza del 32% ottenuto da Luzzi al primo turno nel 1997 senza i centristi della coalizione), seppur ottenuto contro un sindaco uscente piuttosto popolare, rappresenta sicuramente un risultato poco confortante. Ma il 37% ottenuto da un Pietro Mennea quasi inviso ad almeno metà della coalizione, diventa un risultato oltremodo dignitoso, specie se rapportato al miserrimo e fallimentare 20,7 % con il quale il centro destra barlettano verrà letteralmente asfaltato dal centrosinistra del candidato Nicola Maffei nella primavera del 2006.
Già, il 2006, anno di elezioni anticipate, in quanto già da mesi Francesco Salerno aveva annunciato il suo disimpegno prima della scadenza naturale del suo secondo mandato di sindaco, con l'intenzione di candidarsi al Parlamento nelle elezioni politiche che vedranno contrapporsi Romano Prodi e Silvio Berlusconi. Una candidatura che naturalmente il suo partito (i DS), non vede proprio di buon'occhio. E' soprattutto il parlamentare canosino Nicola Rossi ad invitare Francesco Salerno, se non apertamente a desistere, quanto meno ad "agire con cautela", che detto in politichese ha più o meno lo stesso significato. A esorcizzare definitivamente per i DS la sempre più ingombrante ombra di Francesco Salerno (e i fantasmi di un nuovo 2002), ci pensa tuttavia il governo Berlusconi varando il famigerato "Porcellum": una legge elettorale che cancella in pratica collegi e preferenze in favore dei listini bloccati varati dalle direzioni nazionali dei vari partiti, azzerando così alla fonte il pericolo di portare alla Camera o al Senato qualche "Francesco Salerno" di troppo.
Anche Pietro Mennea lascerà il suo scranno da consigliere comunale ben prima della fine della consiliatura. Lo farà dopo il pasticciaccio della sua firma falsificata (denunciata in Procura da Pietro Mennea stesso) necessaria alla nomina del membro di opposizione nel consiglio di amministrazione della Bar.S.A. Lo farà dopo aver esercitato la sua funzione di consigliere comunale con attivismo e partecipazione, al contrario di ciò che pensavano i suoi detrattori: quelli del "mò si ricorda di Barletta". In molti casi quelli che oggi, se potessero, darebbero vita, nel nome di Pietro Mennea, a vere e proprie adorazioni eucaristiche.