Francesco Lattanzio, un dottore giramondo con Barletta nel cuore
Parola al chirurgo protagonista di due importanti congressi negli USA
domenica 30 marzo 2014
Negli Stati Uniti ed in giro per il mondo con Barletta nel cuore. Si può riassumere così l'esperienza di Francesco Lattanzio, medico chirurgo barlettano, unico italiano a partecipare a ben due edizioni dell'Euroamerican multisummit di laparoscopia (La laparoscopia è una tecnica chirurgica mini-invasiva che permette di vedere ed operare l'interno dell'addome del paziente attraverso l'inserimento, tramite l'ombelico, di uno strumento ottico chiamato laparoscopio) la prima due anni fa ad Orlando e la seconda lo scorso anno ad Honolulu dove ha presentato una relazione dal titolo: "Si può prevedere la gravità di un'appendicite acuta?". Il dottor Lattanzio ci racconta la sua esperienza con interessanti riflessioni e paragoni su quella che è la realtà italiana, barlettana in particolare, e quella esistente nel resto del mondo.
Dottor Lattanzio, lei è stato l'unico italiano a partecipare a questi importanti congressi, come è riuscito ad essere invitato?
«Nella mia formazione ho fatto un corso a Strasburgo, centro di riferimento europeo di laparoscopia avanzata e per questo sono finito in un database. Tramite questo database sono stato contattato dagli organizzatori i quali mi hanno chiesto cosa avessi di interessante da portare al loro congresso perchè contrariamente a quanto accade in Italia, lo scambio è un confronto. Le proposte che il primo anno ho portato ad Orlando (una sul trattamento per il la risoluzione delle problematiche intestinali e una sulle perforazioni) mi sono poi valse la richiamata per il congresso di Honolulu, dovuta dunque proprio alla positività della prima esperienza. Quello del confronto e del dialogo è un concetto molto importante, direi fondamentale per la medicina. Mi sono formato per due anni e mezzo in Francia e per sei mesi in Spagna ed ho avuto quindi la fortuna di aprire i miei orizzonti».
Lei parla di differenze di mentalità, ci spieghi meglio a cosa si riferisce?
«Già in Italia esistono due tipi di mentalità, una del nord ed una del sud. Io dopo essermi laureato a Bari ho fatto la specializzazione a Trieste, ma mi sono spostato molto e ho lavorato da strutturato anche in provincia di Pordenone. C'è differenza quindi tra la mentalità del sud e quella del nord. Il problema è anche di formazione, sia universitaria che professionale. Se poi andiamo a paragonare la mentalità italiana a quella estera si comprende meglio a cosa mi riferisco. Come detto, ho avuto anche un periodo in Francia, lì ho fatto molte esperienze sul campo durante gli studi (piccoli interventi), in Italia lo fai a malapena nel percorso di specializzazione. Qui abbiamo molta teoria e poca pratica e purtroppo questo non riguarda solo il mondo della medicina o della chirurgia ma riguarda quasi tutto il mondo professionale».
Lei lavora a Barletta ed è facilmente intuibile che il discorso sulla mentalità si possa tranquillamente associare anche alla città della Disfida. Ed allora le chiedo, cosa si può fare per crescere?
«A Barletta la struttura architettonica ospedaliera non sarebbe nemmeno male, ma il problema è che se noi restiamo ancorati al nostro ambito e non mettiamo mai il naso fuori da casa nostra, continueremo a ritenere normale il nostro quotidiano. Andare fuori serve, cresci come persona e come professionista, ma quando torni qua devi scontrarti con una realtà pesante. Pensate che mi sono offerto per insegnare a delle persone delle tecniche di laparoscopia avanzata, ma non ho trovato un' adeguata apertura mentale. Il problema è sociale. Io a Barletta ci tengo, ci sono tornato dopo aver girato l'Europa e l'ho fatto per motivi affettivi, le radici della terra le sento. Quel poco che so fare voglio metterlo a disposizione dei barlettani».
Si potrebbe pensare di divulgare anche a Barletta quanto esposto da lei negli USA?
«Mi piacerebbe, ma se non mi danno occasione di fare la laparoscopia, ed a Barletta purtroppo è così, cosa dovrei organizzare? Ci vuole del tempo per preparare un evento, hai bisogno di 9-12 mesi per farlo. Burocrazia e mentalità sono due freni. Io l'esperienza vorrei darla ma è davvero dura in questa città».
Dottore, lei ha girato il mondo ed allora le chiedo, cosa ha portato con se di Barletta durante il suo percorso?
«La caparbietà, i barlettani sono gente tosta e testarda. Questo mi ha aiutato molto nell'affrontare tutte le esperienze che mi sono capitate in giro per il mondo».
Fino a questo momento abbiamo parlato solo di deficit tra Barletta, l'Italia ed il resto del mondo, ma se volessimo individuare delle eccellenze in questa città, quali potrebbero essere secondo lei?
«Indubbiamente direi le potenzialità e le risorse umane. A Barletta ci sono tanti ragazzi validi che magari, come me vanno a formarsi fuori. Il problema è che quando rientri, in ogni tipo di professione ti devi scontrare con il solito problema della mentalità laddove molto spesso non vieni considerato come un valore aggiunto. Ed allora continuo a chiedermi, come si fa a rompere gli schemi?»
Dottor Lattanzio, lei è stato l'unico italiano a partecipare a questi importanti congressi, come è riuscito ad essere invitato?
«Nella mia formazione ho fatto un corso a Strasburgo, centro di riferimento europeo di laparoscopia avanzata e per questo sono finito in un database. Tramite questo database sono stato contattato dagli organizzatori i quali mi hanno chiesto cosa avessi di interessante da portare al loro congresso perchè contrariamente a quanto accade in Italia, lo scambio è un confronto. Le proposte che il primo anno ho portato ad Orlando (una sul trattamento per il la risoluzione delle problematiche intestinali e una sulle perforazioni) mi sono poi valse la richiamata per il congresso di Honolulu, dovuta dunque proprio alla positività della prima esperienza. Quello del confronto e del dialogo è un concetto molto importante, direi fondamentale per la medicina. Mi sono formato per due anni e mezzo in Francia e per sei mesi in Spagna ed ho avuto quindi la fortuna di aprire i miei orizzonti».
Lei parla di differenze di mentalità, ci spieghi meglio a cosa si riferisce?
«Già in Italia esistono due tipi di mentalità, una del nord ed una del sud. Io dopo essermi laureato a Bari ho fatto la specializzazione a Trieste, ma mi sono spostato molto e ho lavorato da strutturato anche in provincia di Pordenone. C'è differenza quindi tra la mentalità del sud e quella del nord. Il problema è anche di formazione, sia universitaria che professionale. Se poi andiamo a paragonare la mentalità italiana a quella estera si comprende meglio a cosa mi riferisco. Come detto, ho avuto anche un periodo in Francia, lì ho fatto molte esperienze sul campo durante gli studi (piccoli interventi), in Italia lo fai a malapena nel percorso di specializzazione. Qui abbiamo molta teoria e poca pratica e purtroppo questo non riguarda solo il mondo della medicina o della chirurgia ma riguarda quasi tutto il mondo professionale».
Lei lavora a Barletta ed è facilmente intuibile che il discorso sulla mentalità si possa tranquillamente associare anche alla città della Disfida. Ed allora le chiedo, cosa si può fare per crescere?
«A Barletta la struttura architettonica ospedaliera non sarebbe nemmeno male, ma il problema è che se noi restiamo ancorati al nostro ambito e non mettiamo mai il naso fuori da casa nostra, continueremo a ritenere normale il nostro quotidiano. Andare fuori serve, cresci come persona e come professionista, ma quando torni qua devi scontrarti con una realtà pesante. Pensate che mi sono offerto per insegnare a delle persone delle tecniche di laparoscopia avanzata, ma non ho trovato un' adeguata apertura mentale. Il problema è sociale. Io a Barletta ci tengo, ci sono tornato dopo aver girato l'Europa e l'ho fatto per motivi affettivi, le radici della terra le sento. Quel poco che so fare voglio metterlo a disposizione dei barlettani».
Si potrebbe pensare di divulgare anche a Barletta quanto esposto da lei negli USA?
«Mi piacerebbe, ma se non mi danno occasione di fare la laparoscopia, ed a Barletta purtroppo è così, cosa dovrei organizzare? Ci vuole del tempo per preparare un evento, hai bisogno di 9-12 mesi per farlo. Burocrazia e mentalità sono due freni. Io l'esperienza vorrei darla ma è davvero dura in questa città».
Dottore, lei ha girato il mondo ed allora le chiedo, cosa ha portato con se di Barletta durante il suo percorso?
«La caparbietà, i barlettani sono gente tosta e testarda. Questo mi ha aiutato molto nell'affrontare tutte le esperienze che mi sono capitate in giro per il mondo».
Fino a questo momento abbiamo parlato solo di deficit tra Barletta, l'Italia ed il resto del mondo, ma se volessimo individuare delle eccellenze in questa città, quali potrebbero essere secondo lei?
«Indubbiamente direi le potenzialità e le risorse umane. A Barletta ci sono tanti ragazzi validi che magari, come me vanno a formarsi fuori. Il problema è che quando rientri, in ogni tipo di professione ti devi scontrare con il solito problema della mentalità laddove molto spesso non vieni considerato come un valore aggiunto. Ed allora continuo a chiedermi, come si fa a rompere gli schemi?»
Si ringrazia Luca Guerra per la collaborazione.