Francesco Del Vecchio rilegge i temi caldi del Risorgimento
«Riaffermare la verità della Storia sull’Unità d’Italia». L’autore de “1860 – La Stangata” ai microfoni di Barlettalife
venerdì 23 settembre 2011
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Il prossimo 30 settembre si inaugurerà a Palazzo Reale di Napoli l'importante mostra "Da Sud. Il Risorgimento visto da Sud. La partecipazione del Mezzogiorno al processo di formazione dello Stato unitario". La rassegna, che sarà inaugurata dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, vedrà esposti alcuni cimeli risorgimentali conservati presso il Museo Civico dei Brettii e degli Enotri di Cosenza. All'importante evento, che tocca da vicino le esperienze e il vissuto di noi meridionali durante i decenni del processo di unificazione nazionale, fa da contraltare un dibattito mai sopito su cosa sia stato e abbia rappresentato realmente per le popolazioni del Mezzogiorno d'Italia il Risorgimento. A tal proposito la Redazione di Barlettalife propone un'intervista allo scrittore Francesco Del Vecchio, autore de "1860 – La Stangata", già da alcune settimane in libreria.
Sig. Del Vecchio, quali sono i motivi che l'hanno spinta a scrivere: "1860 – La Stangata", saggio molto severo sulle vicende risorgimentali?
Innanzitutto l'amore per la verità, quella che da centocinquanta anni viene nascosta dai testi istituzionali e da editoriali, a dir poco, oleografici. Basta leggere un qualunque libro scolastico di storia, per rendersi conto che siamo lontani anni luce dalla conoscenza su ciò che realmente avvenne prima, durante e dopo "l'impresa garibaldina". Mi ero anche reso conto che nel panorama editoriale di quella che viene definita "contro storia risorgimentale" ma che rappresenta invece la storia vera, mancava un testo snello e di facile consultazione, così ho deciso di colmare questa lacuna, dando voce soprattutto ai protagonisti, ai "padri della patria". Segnalo infine un'ampia bibliografia, siti internet, film, perché il mio è soprattutto un invito alla lettura sull'argomento, rivolto in particolar modo agli studenti e alla gente comune, quelli cioè che non hanno poltrone da difendere e che proprio per tale motivo sono più aperti alla verità, sempre che non vogliano dare ancora credito ai luoghi comuni e agli asini che volano.
Gli storici istituzionali dicono che avete scoperto l'acqua calda e che molte cose si conoscevano già.
E cosa hanno fatto in 150 anni per renderle note alla gente? Scrivono sui giornali, insegnano nelle scuole, nelle università eppure gli studenti continuano ad ignorare la verità. Gli storici istituzionali, insieme agli amministratori pubblici, ai sindaci, agli assessori, ai presidenti di fondazioni risorgimentali e di storia patria ed ai tanti babbei provinciali che si sono distinti nelle celebrazioni orgiastiche dei 150 anni in tutta la penisola, sono proprio quelli che hanno le maggiori responsabilità. Nella migliore delle ipotesi, se fossero cioè in buona fede, non potrebbero che ritenersi degli ignoranti, nell'altra ipotesi invece renderebbero palese la volontà di occultare e mistificare ancora la Storia, quella con la S maiuscola, ciò allo scopo di conservare i "cantri mefitici" sui quali si sono assisi e dai quali sparano editoriali e libri sempre più sfiatati. Necrofori, becchini della verità! Il loro dovere invece, così come quello degli insegnanti, è quello di riconoscere e soprattutto divulgare fatti che programmi scolastici vergognosi continuano ad ignorare e che perpetuano in tal modo l'inganno già riservato a noi, anche ai nostri figli e nipoti.
E' opportuno, dopo 150 anni, rimettere in discussione il Risorgimento e l'Unità d'Italia?
In Italia da un secolo e mezzo viviamo un'emergenza continua e non arriva mai il momento di fare luce sui fatti, di riaffermare la verità della Storia. Il Papa chiede scusa agli africani a Lomé, gli indiani ottengono risarcimenti simbolici (quattro miliardi di dollari), si aprono gli archivi del KGB, i francesi non hanno mai pensato di nascondere gli errori e gli orrori della rivoluzione, perfino i Savoia(!) ottengono riconoscimenti, ma al Sud tutto ciò continua ad essere negato! "E' opportuno?" Questa è la domanda più scontata che mi rivolgono e che, sempre, m'indigna specialmente quando mi viene posta a Sud. Scopro un omicidio e non dovrei denunciarlo perché è trascorso del tempo? Nelle vicende risorgimentali scopriamo rapine, stupri, deportazioni, genocidi compiuti ai danni delle popolazioni meridionali e dovremmo tacerli perché non è opportuno renderli noti? In nome di quale giustizia e di quale società che osi definirsi civile? Se l'unità esiste solo nelle interessate strumentalizzazioni di chi ha nascosto e mistificato la Storia e se, dopo 150 anni, è ancora fragile a tal punto da non essere in grado di affrontare la verità, è forse colpa di chi cerca di fare luce sui torbidi retroscena di ciò che avvenne all'epoca?
Non pensa che ormai siamo tutti italiani e che non possiamo "buttare il bambino con l'acqua sporca"?
Siamo italiani, meglio italici, dai tempi di Enea e dell'impero romano, ben prima quindi del 1861 e lo stesso Carlo III di Borbone parlò d'Italia e d'italiani nel 1734 come si legge nell'obelisco della piazza centrale a Bitonto in Puglia. Dal risorgimento in poi però non lo siamo allo stesso modo. In questo stato infatti che ha posto le sue basi su un'invasione coloniale sanguinaria, falsi eroi risorgimentali, plebisciti inventati, mistificazioni di ogni genere ed eterni segreti di stato, ci sono figli e figliastri. Dove sarebbe questo "bambino unitario"? Nel costo del denaro in banca e delle polizze assicurative? Nella sanità? Nella disoccupazione doppia al Sud? Nella spazzatura e nella mafia, nella camorra, che solo dal 1860 ottennero poltrone e prebende? Nell'emigrazione meridionale iniziata dopo l'unità e mai cessata? Nelle infrastrutture (aeroporti, strade, ferrovie), 30% più scarse rispetto al Nord? Nella "grande finanza" che dopo l'unità risiede a settentrione, o in Confindustria che tratta il meridione ancora e solo come terra di conquista? Fino al 1860 il Sud era un grande regno e i suoi primati universalmente riconosciuti: poche e bassissime tasse, privo di debiti e bilancio statale in attivo; istruzione, sanità e assistenza pubblica gratuite; maggiore occupazione nel settore metalmeccanico della penisola; prima ferrovia in Italia; primo stato al mondo ad attivare l'acqua corrente nelle case; più basso tasso di mortalità infantile; prima flotta del Mediterraneo; prime leggi di tutela archeologica e paesaggistica e perfino la raccolta differenziata dei rifiuti! Non c'è proprio confronto, del resto il cammino compiuto in questo secolo e mezzo, è avvenuto per un processo inerziale, nonostante l'unità non grazie ad essa, o ai governi ed ai politici che si sono succeduti da allora.
Sig. Del Vecchio, quali sono i motivi che l'hanno spinta a scrivere: "1860 – La Stangata", saggio molto severo sulle vicende risorgimentali?
Innanzitutto l'amore per la verità, quella che da centocinquanta anni viene nascosta dai testi istituzionali e da editoriali, a dir poco, oleografici. Basta leggere un qualunque libro scolastico di storia, per rendersi conto che siamo lontani anni luce dalla conoscenza su ciò che realmente avvenne prima, durante e dopo "l'impresa garibaldina". Mi ero anche reso conto che nel panorama editoriale di quella che viene definita "contro storia risorgimentale" ma che rappresenta invece la storia vera, mancava un testo snello e di facile consultazione, così ho deciso di colmare questa lacuna, dando voce soprattutto ai protagonisti, ai "padri della patria". Segnalo infine un'ampia bibliografia, siti internet, film, perché il mio è soprattutto un invito alla lettura sull'argomento, rivolto in particolar modo agli studenti e alla gente comune, quelli cioè che non hanno poltrone da difendere e che proprio per tale motivo sono più aperti alla verità, sempre che non vogliano dare ancora credito ai luoghi comuni e agli asini che volano.
Gli storici istituzionali dicono che avete scoperto l'acqua calda e che molte cose si conoscevano già.
E cosa hanno fatto in 150 anni per renderle note alla gente? Scrivono sui giornali, insegnano nelle scuole, nelle università eppure gli studenti continuano ad ignorare la verità. Gli storici istituzionali, insieme agli amministratori pubblici, ai sindaci, agli assessori, ai presidenti di fondazioni risorgimentali e di storia patria ed ai tanti babbei provinciali che si sono distinti nelle celebrazioni orgiastiche dei 150 anni in tutta la penisola, sono proprio quelli che hanno le maggiori responsabilità. Nella migliore delle ipotesi, se fossero cioè in buona fede, non potrebbero che ritenersi degli ignoranti, nell'altra ipotesi invece renderebbero palese la volontà di occultare e mistificare ancora la Storia, quella con la S maiuscola, ciò allo scopo di conservare i "cantri mefitici" sui quali si sono assisi e dai quali sparano editoriali e libri sempre più sfiatati. Necrofori, becchini della verità! Il loro dovere invece, così come quello degli insegnanti, è quello di riconoscere e soprattutto divulgare fatti che programmi scolastici vergognosi continuano ad ignorare e che perpetuano in tal modo l'inganno già riservato a noi, anche ai nostri figli e nipoti.
E' opportuno, dopo 150 anni, rimettere in discussione il Risorgimento e l'Unità d'Italia?
In Italia da un secolo e mezzo viviamo un'emergenza continua e non arriva mai il momento di fare luce sui fatti, di riaffermare la verità della Storia. Il Papa chiede scusa agli africani a Lomé, gli indiani ottengono risarcimenti simbolici (quattro miliardi di dollari), si aprono gli archivi del KGB, i francesi non hanno mai pensato di nascondere gli errori e gli orrori della rivoluzione, perfino i Savoia(!) ottengono riconoscimenti, ma al Sud tutto ciò continua ad essere negato! "E' opportuno?" Questa è la domanda più scontata che mi rivolgono e che, sempre, m'indigna specialmente quando mi viene posta a Sud. Scopro un omicidio e non dovrei denunciarlo perché è trascorso del tempo? Nelle vicende risorgimentali scopriamo rapine, stupri, deportazioni, genocidi compiuti ai danni delle popolazioni meridionali e dovremmo tacerli perché non è opportuno renderli noti? In nome di quale giustizia e di quale società che osi definirsi civile? Se l'unità esiste solo nelle interessate strumentalizzazioni di chi ha nascosto e mistificato la Storia e se, dopo 150 anni, è ancora fragile a tal punto da non essere in grado di affrontare la verità, è forse colpa di chi cerca di fare luce sui torbidi retroscena di ciò che avvenne all'epoca?
Non pensa che ormai siamo tutti italiani e che non possiamo "buttare il bambino con l'acqua sporca"?
Siamo italiani, meglio italici, dai tempi di Enea e dell'impero romano, ben prima quindi del 1861 e lo stesso Carlo III di Borbone parlò d'Italia e d'italiani nel 1734 come si legge nell'obelisco della piazza centrale a Bitonto in Puglia. Dal risorgimento in poi però non lo siamo allo stesso modo. In questo stato infatti che ha posto le sue basi su un'invasione coloniale sanguinaria, falsi eroi risorgimentali, plebisciti inventati, mistificazioni di ogni genere ed eterni segreti di stato, ci sono figli e figliastri. Dove sarebbe questo "bambino unitario"? Nel costo del denaro in banca e delle polizze assicurative? Nella sanità? Nella disoccupazione doppia al Sud? Nella spazzatura e nella mafia, nella camorra, che solo dal 1860 ottennero poltrone e prebende? Nell'emigrazione meridionale iniziata dopo l'unità e mai cessata? Nelle infrastrutture (aeroporti, strade, ferrovie), 30% più scarse rispetto al Nord? Nella "grande finanza" che dopo l'unità risiede a settentrione, o in Confindustria che tratta il meridione ancora e solo come terra di conquista? Fino al 1860 il Sud era un grande regno e i suoi primati universalmente riconosciuti: poche e bassissime tasse, privo di debiti e bilancio statale in attivo; istruzione, sanità e assistenza pubblica gratuite; maggiore occupazione nel settore metalmeccanico della penisola; prima ferrovia in Italia; primo stato al mondo ad attivare l'acqua corrente nelle case; più basso tasso di mortalità infantile; prima flotta del Mediterraneo; prime leggi di tutela archeologica e paesaggistica e perfino la raccolta differenziata dei rifiuti! Non c'è proprio confronto, del resto il cammino compiuto in questo secolo e mezzo, è avvenuto per un processo inerziale, nonostante l'unità non grazie ad essa, o ai governi ed ai politici che si sono succeduti da allora.