“Evitate i bar di Barletta”, fa discutere il titolo di Dagospia sui fatti di sangue avvenuti a Barletta
Tra emergenza sociale, violenza in prima pagina e pregiudizio si perde di vista la realtà
sabato 16 aprile 2022
"Una cosa è certa: bisogna evitare i bar di Barletta! - Nella città pugliese, in meno di sei mesi, tre liti da bar sono sfociate in un omicidio". Questo è il titolo con cui Dagospia introduce l'articolo ripreso dal giornalista Antonio Calitri del Messaggero in cui si parla dell'agghiacciante omicidio di Giuseppe Tupputi.
Non di rado tra gli organi di informazione vi è l'usanza di ricorrere a titoli forti, spesso anche provocatori, pur di catturare l'attenzione del lettore. Fa parte del gioco, insomma ci sta. Quel che non è affatto piacevole, soprattutto in occasione gravi fatti di cronaca come la sparatoria di Via Rionero dove ha perso la vita Giuseppe Tupputi, è quando questa tecnica giornalistica porta a facili generalizzazioni, quando non a vero e proprio pregiudizio verso una comunità.
Pregiudizio, perché questa storia delle "liti tra bar", come se i bar barlettani fossero covi di chissà quali 'ndrine o clan camorristici, oltre a non essere veritiera, ci ricorda un po' quei tristissimi dibattiti successivi al crollo di Via Roma, quando di tutto si discusse tranne che della vera causa di quella immane tragedia. Come dimenticare a tal proposito, quel famoso talk show nel quale l'allora sindaco Nicola Maffei tentava disperatamente di smontare quella verità preimpostata ripetendo continuamente al conduttore che il lavoro nero c'entrava zero con il crollo di Via Roma?
Tutti sanno che Claudio Lasala fu si ucciso dinanzi ad un american bar, ma per motivi risalenti a una lite di qualche tempo prima. Tutti sanno che la probabile morte di Michele Cilli, a tutto è dovuta fuorché al fatto che si trovasse in un bar a festeggiare il compleanno di un suo amico. E poi, fino a prova contraria, il movente dell'omicidio di Giuseppe Tupputi (come del resto anche quello di Michele Cilli) è ancora al vaglio degli inquirenti.
Quindi perché, pur se in un modo ironico e provocatorio (ma alquanto inopportuno), dipingere le caffetterie barlettane come luoghi di morte e perdizione quando la realtà dei fatti e le indagini dei magistrati, probabilmente dicono altro?
Se proprio si vuol essere provocatori, anziché bollare una città come Barletta come capitale delle "liti da bar" (e del fu lavoro nero), perché ad esempio non intraprendere una battaglia di verità, facendo presente ai nostri esimi parlamentari (tutti, senza distinzione) che in Italia, per ciò che concerne la cosiddetta microdelinquenza, vige una legislazione che definire all'acqua di rose è esercizio di puro eufemismo? Stessa cosa per il bullismo (che poi è il padre naturale della microdelinquenza), un fenomeno che da anni raccontiamo e documentiamo tra il disinteresse più o meno generale di autorità e grandi media, ben prima dell'ormai famosissimo video nel quale una minorenne prende ripetutamente a schiaffi una sua coetanea, con tanto di ripresa video da telefonino.
Quindi, anziché puntare più o meno ironicamente il dito su una città che da anni chiede aiuto, cari Dagospia et similia, sarebbe cosa buona e giusta spingere i nostri parlamentari ad andare oltre gli ormai più che inutili "ci vuole dialogo", "servono spazi di aggregazione", "la sola repressione non basta". Perché, spiace dirlo per le poche anime belle che ancora credono alle favole, chi a Barletta e in tutta Italia si guadagna la benzina al motorino compiendo reati cosiddetti minori (che poi sono il prodromo a crimini ben più gravi) ben sicuro che in caserma ci resterà sì e no un quarto d'ora, di "dialogo", "spazi di aggregazione" e di "repressione che non basta" se ne frega e continuerà a fregarsene. Anzi, ad un certo punto, quel "quarto d'ora in caserma" diviene una medaglia al petto che altro non fa che aumentare in questi ragazzi quell'ego distorto e quel senso di arroganza e sfrontatezza che poi è alla base dei tragici fatti degli ultimi mesi.
Ma queste forse sono analisi che solo chi vive questi drammi a qualche isolato di distanza può fare, perché magari ha a cuore le sorti della propria città, a differenza di chi si limita ad attirare click raccomandando di evitare i bar di Barletta.
Non di rado tra gli organi di informazione vi è l'usanza di ricorrere a titoli forti, spesso anche provocatori, pur di catturare l'attenzione del lettore. Fa parte del gioco, insomma ci sta. Quel che non è affatto piacevole, soprattutto in occasione gravi fatti di cronaca come la sparatoria di Via Rionero dove ha perso la vita Giuseppe Tupputi, è quando questa tecnica giornalistica porta a facili generalizzazioni, quando non a vero e proprio pregiudizio verso una comunità.
Pregiudizio, perché questa storia delle "liti tra bar", come se i bar barlettani fossero covi di chissà quali 'ndrine o clan camorristici, oltre a non essere veritiera, ci ricorda un po' quei tristissimi dibattiti successivi al crollo di Via Roma, quando di tutto si discusse tranne che della vera causa di quella immane tragedia. Come dimenticare a tal proposito, quel famoso talk show nel quale l'allora sindaco Nicola Maffei tentava disperatamente di smontare quella verità preimpostata ripetendo continuamente al conduttore che il lavoro nero c'entrava zero con il crollo di Via Roma?
Tutti sanno che Claudio Lasala fu si ucciso dinanzi ad un american bar, ma per motivi risalenti a una lite di qualche tempo prima. Tutti sanno che la probabile morte di Michele Cilli, a tutto è dovuta fuorché al fatto che si trovasse in un bar a festeggiare il compleanno di un suo amico. E poi, fino a prova contraria, il movente dell'omicidio di Giuseppe Tupputi (come del resto anche quello di Michele Cilli) è ancora al vaglio degli inquirenti.
Quindi perché, pur se in un modo ironico e provocatorio (ma alquanto inopportuno), dipingere le caffetterie barlettane come luoghi di morte e perdizione quando la realtà dei fatti e le indagini dei magistrati, probabilmente dicono altro?
Se proprio si vuol essere provocatori, anziché bollare una città come Barletta come capitale delle "liti da bar" (e del fu lavoro nero), perché ad esempio non intraprendere una battaglia di verità, facendo presente ai nostri esimi parlamentari (tutti, senza distinzione) che in Italia, per ciò che concerne la cosiddetta microdelinquenza, vige una legislazione che definire all'acqua di rose è esercizio di puro eufemismo? Stessa cosa per il bullismo (che poi è il padre naturale della microdelinquenza), un fenomeno che da anni raccontiamo e documentiamo tra il disinteresse più o meno generale di autorità e grandi media, ben prima dell'ormai famosissimo video nel quale una minorenne prende ripetutamente a schiaffi una sua coetanea, con tanto di ripresa video da telefonino.
Quindi, anziché puntare più o meno ironicamente il dito su una città che da anni chiede aiuto, cari Dagospia et similia, sarebbe cosa buona e giusta spingere i nostri parlamentari ad andare oltre gli ormai più che inutili "ci vuole dialogo", "servono spazi di aggregazione", "la sola repressione non basta". Perché, spiace dirlo per le poche anime belle che ancora credono alle favole, chi a Barletta e in tutta Italia si guadagna la benzina al motorino compiendo reati cosiddetti minori (che poi sono il prodromo a crimini ben più gravi) ben sicuro che in caserma ci resterà sì e no un quarto d'ora, di "dialogo", "spazi di aggregazione" e di "repressione che non basta" se ne frega e continuerà a fregarsene. Anzi, ad un certo punto, quel "quarto d'ora in caserma" diviene una medaglia al petto che altro non fa che aumentare in questi ragazzi quell'ego distorto e quel senso di arroganza e sfrontatezza che poi è alla base dei tragici fatti degli ultimi mesi.
Ma queste forse sono analisi che solo chi vive questi drammi a qualche isolato di distanza può fare, perché magari ha a cuore le sorti della propria città, a differenza di chi si limita ad attirare click raccomandando di evitare i bar di Barletta.