«Essere il primo ingegnere bionico comporta una grande responsabilità»
Intervista a Francesco Lanotte, orgoglio barlettano
domenica 22 ottobre 2017
È il primo ingegnere bionico al mondo, è barlettano e certamente è già noto alle cronache per la sua tesi sullo sviluppo di un algoritmo di controllo per un esoscheletro robotizzato per il supporto lombare. Vero orgoglio per la città e per la nazione, Francesco è uno studente brillante ed espressione di un'eccellenza del nostro stivale. A soli 24 anni, ha indossato la corona d'alloro conseguendo la laurea magistrale in "Bionics Engineering" con il massimo dei voti. La "Bionics Engineering" è la nuova frontiera dell'ingegneria biomedica, il corso di studio è perciò il primo in Italia e nel mondo, nato grazie ad una convenzione fra l'Università di Pisa e la Scuola Superiore Sant'Anna, anch'esse eccellenze nell'ambito universitario. Ha le idee chiare sul suo futuro e il giusto temperamento per poter conseguire ogni obiettivo prefissato. Giovane, talentuoso, legato alle sue radici ma con uno sguardo attento al futuro: ha tutte le carte in regola per poter far ancora parlar di sé. Lo abbiamo intervistato per conoscerlo meglio.
Come ci si sente ad essere il primo ingegnere bionico al mondo?
«Devo ammettere che fa effetto, ma è una bella responsabilità: con la mia laurea, si sta diffondendo la conoscenza di questa disciplina che bisogna saper spiegare bene. Inoltre, amplifica le aspettative sul mio percorso futuro. Poi c'è sempre l'emozione di essersi laureati che, indipendentemente dal corso di studi, è un traguardo e il frutto di tanti sacrifici, miei e della mia famiglia».
Dov'è nata l'idea di intraprendere questo tipo di percorso di studi?
«Ho sempre voluto dedicarmi a qualcosa di nuovo e interdisciplinare, che potesse aiutare davvero la vita dell'uomo. Seguendo la pagina Facebook dell'Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant'Anna sono stato affascinato dalle novità tecnologiche postate di volta in volta. Quando a gennaio 2015 ho letto dell'istituzione di questo corso di Laurea Magistrale da un accordo tra Università di Pisa e Scuola Superiore Sant'Anna, non me lo sono voluto lasciar scappare. Dopo aver superato il concorso di ammissione (è riservato solo a 20 studenti), sono stato al settimo cielo».
In che cosa l'ingegneria bionica si differenza da altri tipi di discipline già esistenti (come l'ingegneria biomedica ad esempio)?
«L'Ingegneria Bionica è una delle possibili specializzazioni dell'Ingegneria Biomedica. Tratta dello sviluppo di tecnologie robotiche che, osservando e capendo i principi che regolano la vita naturale (e dell'uomo), assistono e cooperano con l'uomo. L'obiettivo è fare in modo che tutte queste innovazioni siano accettate dall'uomo stesso e siano davvero utili. A differenza dei tradizionali corsi in Ingegneria Biomedica, di cui sono laureato Triennale, il corso di "Bionics Engineering" è interamente dedicato a questo settore di frontiera. Comprende corsi che trattano di neuroscienze, tecniche di machine learning, reti neurali, interfacce uomo-macchina, ingegneria dei tessuti,robotica per chirurgia mini-invasiva, protesi robotizzate, esoscheletri, materiali e metodi di attuazione all'avanguardia, robotica per riabilitazione, robotica soft, robotica di servizio, ecc».
Parlaci del tuo lavoro di tesi: quali difficoltà hai incontrato e quali sono state le soddisfazioni maggiori?
«Per il lavoro di tesi mi sono occupato dello sviluppo di un algoritmo per controllare un robot indossabile di bacino per il supporto lombare. Infatti, nonostante l'automazione delle industrie, molti operai soffrono di malattie professionali: per questo, quando i miei relatori Nicola Vitiello e Simona Crea me lo hanno proposto, l'ho considerato un lavoro da affrontare, che può davvero contribuire al benessere della società. Tutto il lavoro che ho svolto è stato davvero appassionante: dalle simulazioni al computer, ai primi test su di me, fino alla sessione sperimentale finale. La parte più difficile è stata trovare il modo di far funzionare le cose, perché non è stato immediato, anzi ho impiegato quasi due mesi. Vedere poi che tutto funzionava e i buoni risultati è stato molto gratificante».
Quali progetti hai iniziato a sviluppare e a quali ti dedicherai in futuro se potessi scegliere?
«Un progettino a cui ho lavorato per un esame è stato il controllo di una protesi robotica di mano attraverso il segnale muscolare, in cui bisogna controllare il tipo di presa, nonché l'apertura e la chiusura delle dita. Per il lavoro di tesi mi sono occupato dello sviluppo di un algoritmo per controllare un robot indossabile di bacino per il supporto lombare. Mi piacerebbe continuare ad approfondire il lavoro di tesi e dedicarmi allo sviluppo di algoritmi di controllo per robot indossabili per assistere le persone, specialmente anziani e disabili, a compiere diversi movimenti che sono compromessi».
Quanto siamo lontani da robot in grado di apprendere?
«Attualmente, i robot sono già in grado di apprendere riguardo ad uno scopo. Mi spiego meglio riferendomi al famoso robottino iCub dell'Istituto Italiano di Tecnologia. iCub è in grado di muoversi e di afferrare oggetti, grazie a programmi di controllo che hanno bisogno di essere addestrati per trovare la configurazione ottimale per raggiungere lo scopo (ad esempio di raggiungere un posto della stanza). Lo stesso dicasi per saper distinguere tra oggetti sferici e cubici, ad esempio. Alla base c'è sempre un apprendimento a cui è sottoposto il robot, o meglio, l'algoritmo che lo controlla. La vera domanda è se i robot saranno in grado di prendere coscienza di sé come entità. Sinceramente, credo che sia una sfida dell'intelligenza artificiale che rasenta la fantascienza, ma mai dire mai».
Cosa si sta facendo per integrare tecnologie completamente artificiali esistenti con strutture biologiche per realizzare robot parzialmente umani?
«C'è del lavoro per integrare il biologico con l'artificiale: lo studio dei materiali e delle interazioni è molto attivo su questo. L'obiettivo è quello che l'uomo integri parti artificiali e le senta come proprie senza rigettarle. Un primo esempio riguarda gli organi artificiali, quando una malfunzione o un danneggiamento ne richiede la sostituzione. Ma anche quando un amputato indossa una protesi, il primo ostacolo è che la persona non la sente come parte del proprio corpo: c'è molta ricerca su sistemi di interfaccia a livello nervoso sia per controllare la protesi sia per restituire una percezione della stessa».
Tra 10 anni ti vedresti meglio in una start up tutta tua o in una grande azienda che metta a frutto le tue conoscenze?
«Credo in una start up, per cercare di portare su mercato un qualcosa di nuovo che ho sviluppato in ambito di ricerca. Anche se, devo ammettere, credo che l'industria robotica nei prossimi 10 anni cambierà parecchio e potrei trovare soddisfazione a lavorare in una grande azienda del settore. Tuttavia, per ora, sono determinato a continuare con il percorso accademico che, oltre a sfornare innovazione, deve trasmettere conoscenza agli studenti».
Come ci si sente ad essere il primo ingegnere bionico al mondo?
«Devo ammettere che fa effetto, ma è una bella responsabilità: con la mia laurea, si sta diffondendo la conoscenza di questa disciplina che bisogna saper spiegare bene. Inoltre, amplifica le aspettative sul mio percorso futuro. Poi c'è sempre l'emozione di essersi laureati che, indipendentemente dal corso di studi, è un traguardo e il frutto di tanti sacrifici, miei e della mia famiglia».
Dov'è nata l'idea di intraprendere questo tipo di percorso di studi?
«Ho sempre voluto dedicarmi a qualcosa di nuovo e interdisciplinare, che potesse aiutare davvero la vita dell'uomo. Seguendo la pagina Facebook dell'Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant'Anna sono stato affascinato dalle novità tecnologiche postate di volta in volta. Quando a gennaio 2015 ho letto dell'istituzione di questo corso di Laurea Magistrale da un accordo tra Università di Pisa e Scuola Superiore Sant'Anna, non me lo sono voluto lasciar scappare. Dopo aver superato il concorso di ammissione (è riservato solo a 20 studenti), sono stato al settimo cielo».
In che cosa l'ingegneria bionica si differenza da altri tipi di discipline già esistenti (come l'ingegneria biomedica ad esempio)?
«L'Ingegneria Bionica è una delle possibili specializzazioni dell'Ingegneria Biomedica. Tratta dello sviluppo di tecnologie robotiche che, osservando e capendo i principi che regolano la vita naturale (e dell'uomo), assistono e cooperano con l'uomo. L'obiettivo è fare in modo che tutte queste innovazioni siano accettate dall'uomo stesso e siano davvero utili. A differenza dei tradizionali corsi in Ingegneria Biomedica, di cui sono laureato Triennale, il corso di "Bionics Engineering" è interamente dedicato a questo settore di frontiera. Comprende corsi che trattano di neuroscienze, tecniche di machine learning, reti neurali, interfacce uomo-macchina, ingegneria dei tessuti,robotica per chirurgia mini-invasiva, protesi robotizzate, esoscheletri, materiali e metodi di attuazione all'avanguardia, robotica per riabilitazione, robotica soft, robotica di servizio, ecc».
Parlaci del tuo lavoro di tesi: quali difficoltà hai incontrato e quali sono state le soddisfazioni maggiori?
«Per il lavoro di tesi mi sono occupato dello sviluppo di un algoritmo per controllare un robot indossabile di bacino per il supporto lombare. Infatti, nonostante l'automazione delle industrie, molti operai soffrono di malattie professionali: per questo, quando i miei relatori Nicola Vitiello e Simona Crea me lo hanno proposto, l'ho considerato un lavoro da affrontare, che può davvero contribuire al benessere della società. Tutto il lavoro che ho svolto è stato davvero appassionante: dalle simulazioni al computer, ai primi test su di me, fino alla sessione sperimentale finale. La parte più difficile è stata trovare il modo di far funzionare le cose, perché non è stato immediato, anzi ho impiegato quasi due mesi. Vedere poi che tutto funzionava e i buoni risultati è stato molto gratificante».
Quali progetti hai iniziato a sviluppare e a quali ti dedicherai in futuro se potessi scegliere?
«Un progettino a cui ho lavorato per un esame è stato il controllo di una protesi robotica di mano attraverso il segnale muscolare, in cui bisogna controllare il tipo di presa, nonché l'apertura e la chiusura delle dita. Per il lavoro di tesi mi sono occupato dello sviluppo di un algoritmo per controllare un robot indossabile di bacino per il supporto lombare. Mi piacerebbe continuare ad approfondire il lavoro di tesi e dedicarmi allo sviluppo di algoritmi di controllo per robot indossabili per assistere le persone, specialmente anziani e disabili, a compiere diversi movimenti che sono compromessi».
Quanto siamo lontani da robot in grado di apprendere?
«Attualmente, i robot sono già in grado di apprendere riguardo ad uno scopo. Mi spiego meglio riferendomi al famoso robottino iCub dell'Istituto Italiano di Tecnologia. iCub è in grado di muoversi e di afferrare oggetti, grazie a programmi di controllo che hanno bisogno di essere addestrati per trovare la configurazione ottimale per raggiungere lo scopo (ad esempio di raggiungere un posto della stanza). Lo stesso dicasi per saper distinguere tra oggetti sferici e cubici, ad esempio. Alla base c'è sempre un apprendimento a cui è sottoposto il robot, o meglio, l'algoritmo che lo controlla. La vera domanda è se i robot saranno in grado di prendere coscienza di sé come entità. Sinceramente, credo che sia una sfida dell'intelligenza artificiale che rasenta la fantascienza, ma mai dire mai».
Cosa si sta facendo per integrare tecnologie completamente artificiali esistenti con strutture biologiche per realizzare robot parzialmente umani?
«C'è del lavoro per integrare il biologico con l'artificiale: lo studio dei materiali e delle interazioni è molto attivo su questo. L'obiettivo è quello che l'uomo integri parti artificiali e le senta come proprie senza rigettarle. Un primo esempio riguarda gli organi artificiali, quando una malfunzione o un danneggiamento ne richiede la sostituzione. Ma anche quando un amputato indossa una protesi, il primo ostacolo è che la persona non la sente come parte del proprio corpo: c'è molta ricerca su sistemi di interfaccia a livello nervoso sia per controllare la protesi sia per restituire una percezione della stessa».
Tra 10 anni ti vedresti meglio in una start up tutta tua o in una grande azienda che metta a frutto le tue conoscenze?
«Credo in una start up, per cercare di portare su mercato un qualcosa di nuovo che ho sviluppato in ambito di ricerca. Anche se, devo ammettere, credo che l'industria robotica nei prossimi 10 anni cambierà parecchio e potrei trovare soddisfazione a lavorare in una grande azienda del settore. Tuttavia, per ora, sono determinato a continuare con il percorso accademico che, oltre a sfornare innovazione, deve trasmettere conoscenza agli studenti».