Don Tonino Bello: umanità e cultura
Per ricordare la sua vita a vent’anni dalla sua morte. «Quante più mani stringiamo tanto più impariamo la vita»
venerdì 5 aprile 2013
0.47
La Chiesa che batte i marciapiedi, un prete di strada, un parroco sociale, un Io aperto all'altro: questo è stato Don Tonino Bello e la sua vita con i suoi segni e i suoi simboli continua a riecheggiare nei propositi di chi ha desiderio di una cristianizzazione della società senza alcuna discriminazione. Umanità e cultura sono i due filoni attraverso i quali si è dibattuto mercoledì sera a Barletta con la presenza del fidato collaboratore di Don Bello Renato Basile, Don Filippo Salvo e il referente di Pax Christi di Barletta Daniele Dagostino.
Profeta verace ed energico, incarnazione della parola di Dio non filtrata da ideologie, la magnanimità di donarsi all'altro senza attese né riserve, un uomo dotato di acutezza d'analisi di linguaggio perché teneva alla differenziazione contrapposta tra sacralità e santità, potere dei segni e segni del potere. Uomo dell'azzardo, Bello è stato molto osteggiato per la sua spietatezza nei confronti della mala politica e per la sua umanità, troppa generosità sociale nel fare della voce del popolo la voce di Dio (nel profondo significato della locuzione). I suoi segni sono anticonvenzionali, in giro con una 500, una croce in legno d'ulivo, la fede nuziale della madre al posto dell'anello pastorale; segni che significano e non simboleggiano perché il simbolo si rifà a convenzioni mentre il segno acquisisce senso dovuto a un'interpretazione umana e privata.
Un terziario francescano che scendeva tra la gente e vedeva in ogni volto la benedizione di Dio, una benedizione quindi non solo da rendere ma anche da ricevere attraverso il contatto "volgare" con l'altro. Don Tonino Bello ha insegnato che non basta interloquire per dar vita a un dialogo costruttivo; dialogo è la forma comunicativa che si riempie di sostanza quando ci si libera dei ruoli e delle maschere facciali e questo il prete di strada lo ha messo in pratica sul territorio pugliese istituendo la casa per gli sfrattati, collaborando con le Caritas cittadine e parrocchiali di Terlizzi e Molfetta, accorrendo allo sbarco degli Albanesi l'8 Agosto del 1991 al porto di Bari (anija vlora).
Spontanee sono quindi le rassomiglianze con Papa Francesco, un uomo tra gli uomini, persone che si cuciono addosso non lo sfarzo ma quell'anelito sabiano di trovare nell'altro da sé la vera ricchezza, l'alta statura spirituale, la lievitazione per una crescita spirituale. La profezia di Don Tonino Bello è stata infatti di prevedere tre tappe del focus dell'umanità: se il primo millennio è stato il tempo della riflessione su Dio e questo secondo è il millennio dell'Io, il terzo millennio sarà il tempo dell'altro come presupposto indispensabile al riconoscimento e alla conoscenza della propria vita. Un auspicio che lega laici ed ecclesiasti, atei e credenti in una infaticabile presenza di umanità e cultura nel tempo.
Profeta verace ed energico, incarnazione della parola di Dio non filtrata da ideologie, la magnanimità di donarsi all'altro senza attese né riserve, un uomo dotato di acutezza d'analisi di linguaggio perché teneva alla differenziazione contrapposta tra sacralità e santità, potere dei segni e segni del potere. Uomo dell'azzardo, Bello è stato molto osteggiato per la sua spietatezza nei confronti della mala politica e per la sua umanità, troppa generosità sociale nel fare della voce del popolo la voce di Dio (nel profondo significato della locuzione). I suoi segni sono anticonvenzionali, in giro con una 500, una croce in legno d'ulivo, la fede nuziale della madre al posto dell'anello pastorale; segni che significano e non simboleggiano perché il simbolo si rifà a convenzioni mentre il segno acquisisce senso dovuto a un'interpretazione umana e privata.
Un terziario francescano che scendeva tra la gente e vedeva in ogni volto la benedizione di Dio, una benedizione quindi non solo da rendere ma anche da ricevere attraverso il contatto "volgare" con l'altro. Don Tonino Bello ha insegnato che non basta interloquire per dar vita a un dialogo costruttivo; dialogo è la forma comunicativa che si riempie di sostanza quando ci si libera dei ruoli e delle maschere facciali e questo il prete di strada lo ha messo in pratica sul territorio pugliese istituendo la casa per gli sfrattati, collaborando con le Caritas cittadine e parrocchiali di Terlizzi e Molfetta, accorrendo allo sbarco degli Albanesi l'8 Agosto del 1991 al porto di Bari (anija vlora).
Spontanee sono quindi le rassomiglianze con Papa Francesco, un uomo tra gli uomini, persone che si cuciono addosso non lo sfarzo ma quell'anelito sabiano di trovare nell'altro da sé la vera ricchezza, l'alta statura spirituale, la lievitazione per una crescita spirituale. La profezia di Don Tonino Bello è stata infatti di prevedere tre tappe del focus dell'umanità: se il primo millennio è stato il tempo della riflessione su Dio e questo secondo è il millennio dell'Io, il terzo millennio sarà il tempo dell'altro come presupposto indispensabile al riconoscimento e alla conoscenza della propria vita. Un auspicio che lega laici ed ecclesiasti, atei e credenti in una infaticabile presenza di umanità e cultura nel tempo.