Disturbi del comportamento alimentare: «I genitori sono lasciati soli»
Le poche strutture ambulatoriali presenti sul territorio non garantiscono cure ai pazienti e sostegno alle famiglie
lunedì 14 settembre 2020
13.32
Capita che a volte storie di vita personali si intreccino. E capita che lo facciano in tempi e luoghi in cui tutto sembra buio perché non si è più capaci di riconoscere la luce. Ma è in quei momenti che il dolore diventa forza e talvolta cura per malattie che coinvolgono non solo il paziente, ma la sua intera famiglia.
È nata in una struttura riabilitativa del nord Italia, da un incontro tra genitori di ragazzi con disturbi del comportamento alimentare, l'associazione "ilfilolilla" che lo scorso sabato ha promosso un meeting a Barletta per discutere del tema.
[YOUTUBE]
«Non tutti – ha detto la presidente dell'associazione, Michela Cimmino – riescono a capire qual è la difficoltà di una mamma che ha portato in grembo la sua bambina o il suo bambino, che lo ho allattato, lo ha cullato, lo ha nutrito e poi vede suo figlio rifiutare il cibo. Per una mamma è un dolore enorme perché viene meno la sua funzione principale. Una madre non se ne dà una spiegazione e tutto questo crea un senso di colpa enorme perché la domanda primaria che mi sono sempre fatta è stata "sono stata una buona madre questa mia figlia?"»
Si tratta della seconda causa di morte tra i giovani, dopo quella per incidenti stradali. Questo impone un confronto serio che coinvolga tutte le figure professionali necessarie a superare la malattia. Ad intervenire nel corso del convegno informativo promosso dall'associazione, infatti, sono stati lo Psichiatra e Psicoterapeuta, già responsabile del Day Hospitale DCA del Policlinico di Bari, Alessandro Catucci, la Dietista Anna Berardi, lo Psichiatra della ASL Bt Filippo Iovine e la Psicologa della ASL Bt Maria Dell'Olio.
«È una malattia – spiega Domenico Manno – che richiede un'equipe di esperti e questo comporta la disperazione da parte di molte famiglie. L'unica via che i genitori hanno trovato forse è quella di associarsi tra di loro». «Insieme – ha aggiunto la presidente Cimmino – abbiamo capito, confrontandoci e raccontandoci le nostre storie, che forse c'era qualcosa di diverso e che non eravamo solo noi la causa di questo disagio dei nostri figli. E questo ci ha dato conforto».
«A volte – spiega Michela Cimmino – ci sono dei percorsi lunghi e storie difficili di ricoveri nei reparti di psichiatria che non risolvono assolutamente niente. Quindi il nostro impegno è proprio quello di sensibilizzare le istituzioni perché si creino sul territorio degli ambulatori che possano accogliere i pazienti e anche le famiglie per il ricovero nelle strutture, perché quando si entra in una struttura vuol dire che più la situazione è arrivata ad un punto in cui non si può fare altro».
«Il supporto che ci si può dare tra genitori è fondamentale – ha ribadito Domenico Manno – perché normalmente la gente non capisce ed è portata a giudicare questo tipo di malattia e perché molto spesso i genitori si trovano soli anche all'interno delle proprie famiglie».
È nata in una struttura riabilitativa del nord Italia, da un incontro tra genitori di ragazzi con disturbi del comportamento alimentare, l'associazione "ilfilolilla" che lo scorso sabato ha promosso un meeting a Barletta per discutere del tema.
[YOUTUBE]
«Non tutti – ha detto la presidente dell'associazione, Michela Cimmino – riescono a capire qual è la difficoltà di una mamma che ha portato in grembo la sua bambina o il suo bambino, che lo ho allattato, lo ha cullato, lo ha nutrito e poi vede suo figlio rifiutare il cibo. Per una mamma è un dolore enorme perché viene meno la sua funzione principale. Una madre non se ne dà una spiegazione e tutto questo crea un senso di colpa enorme perché la domanda primaria che mi sono sempre fatta è stata "sono stata una buona madre questa mia figlia?"»
Una "disfida" da vincere
Ma è proprio discuterne, il primo passo per affrontare una "disfida" non ancora vinta. «È una disfida ancora da vincere – ha osservato Domenico Manno, consigliere e referente pugliese dell'associazione – perché siamo ancora molto lontani dall'ottimizzazione di un approccio a questa malattia che è una malattia di cui si conosce ancora molto poco. Quando capita alle famiglie un caso del genere è una situazione davvero tragica perché la famiglia non sa a chi rivolgersi, non sa a chi chiedere aiuto».Si tratta della seconda causa di morte tra i giovani, dopo quella per incidenti stradali. Questo impone un confronto serio che coinvolga tutte le figure professionali necessarie a superare la malattia. Ad intervenire nel corso del convegno informativo promosso dall'associazione, infatti, sono stati lo Psichiatra e Psicoterapeuta, già responsabile del Day Hospitale DCA del Policlinico di Bari, Alessandro Catucci, la Dietista Anna Berardi, lo Psichiatra della ASL Bt Filippo Iovine e la Psicologa della ASL Bt Maria Dell'Olio.
«È una malattia – spiega Domenico Manno – che richiede un'equipe di esperti e questo comporta la disperazione da parte di molte famiglie. L'unica via che i genitori hanno trovato forse è quella di associarsi tra di loro». «Insieme – ha aggiunto la presidente Cimmino – abbiamo capito, confrontandoci e raccontandoci le nostre storie, che forse c'era qualcosa di diverso e che non eravamo solo noi la causa di questo disagio dei nostri figli. E questo ci ha dato conforto».
L'appello alle istituzioni: «Servono ambulatori»
I pochi presidi territoriali presenti sul territorio nazionale non sono in grado di garantire cure adeguate e percorsi riabilitativi completi a pazienti compresi in un'età media che si va abbassando sempre più, fino ad anticipare il periodo dell'adolescenza. Deriva da qui l'appello alle istituzioni affinché si impegnino ad offrire non solo cure, ma soprattutto sostegno a genitori spesso imprigionati dal senso di smarrimento o di impotenza e che talvolta non possono permettersi di rivolgersi a strutture private.«A volte – spiega Michela Cimmino – ci sono dei percorsi lunghi e storie difficili di ricoveri nei reparti di psichiatria che non risolvono assolutamente niente. Quindi il nostro impegno è proprio quello di sensibilizzare le istituzioni perché si creino sul territorio degli ambulatori che possano accogliere i pazienti e anche le famiglie per il ricovero nelle strutture, perché quando si entra in una struttura vuol dire che più la situazione è arrivata ad un punto in cui non si può fare altro».
Riconoscere i segnali
E allora bisogna puntare sulla prevenzione perché i disturbi del comportamento alimentare sono spesso solo la punta dell'iceberg di un malessere molto più profondo legato a traumi, insofferenza o ad episodi di bullismo. «Bisogna parlare con i ragazzi – ha concluso Michela Cimmino – perché possano cogliere i segnali, perché possano rivolgersi agli amici, ai professori ai genitori, agli specialisti, ma non è semplice».«Il supporto che ci si può dare tra genitori è fondamentale – ha ribadito Domenico Manno – perché normalmente la gente non capisce ed è portata a giudicare questo tipo di malattia e perché molto spesso i genitori si trovano soli anche all'interno delle proprie famiglie».