Dal romanzo alla solidarietà, l'iniziativa dello scrittore barlettano Antonio Dibenedetto
Presentato il suo ultimo libro, il cui ricavato è stato utilizzato per una colletta alimentare donata alla Caritas
mercoledì 16 marzo 2022
16.51
Ex militare della Guarda di Finanza, oggi scrittore profondamente legato a Barletta. "Nella valle le origini della giustizia" è il titolo dell'ultimo libro del barlettano Antonio Dibenedetto, che ha trasmigrato la sua vocazione alla legalità nelle trame dei suoi libri gialli. Il volume è stato presentato venerdì scorso sul palco del Cinema Paolillo, rivelando anche una finalità solidale: con buona parte del ricavato è stata realizzata una colletta alimentare, la 26^ organizzata da Antonio, a favore della Caritas di Barletta.
Abbiamo intervistato l'autore Antonio Dibenedetto per conoscere la storia dietro il suo romanzo e la natura del legame con la città di Barletta.
Una carriera da finanziere che si trasforma nel senso di giustizia del detective protagonista del tuo libro. Perché hai scelto di narrare proprio questo periodo storico? Ci sono legami con l'attualità?
«Tutte le persone che hanno letto i miei libri, e nella fattispecie l'ultimo, mi hanno chiesto se c'era una certa correlazione tra me e la figura di Tony Blender; io ho sempre risposto di sì, in modo assoluto. Ho voluto che il protagonista dei miei romanzi mi assomigliasse, ponendo in risalto vicende di vita vissuta che mi sono capitate durante la mia carriera.
Ho deciso di narrare, in quest'ultimo romanzo, una vicenda sconosciuta al di fuori dei confini regionali, rendendo omaggio a dei fatti storici che hanno avuto come teatro la nostra cara Barletta in uno dei primissimi episodi di rappresaglia nazista in Italia. Questo lo devo grazie al contributo storico del professor Luigi Dicuonzo, Responsabile dell'Archivio della Resistenza e della Memoria. Un giorno mi sono recato nel suo ufficio, al Castello Svevo, per salutarlo e ho notato che aveva preparato una serie di immagini inerenti la seconda guerra mondiale. Io sono stato sempre interessato a quel gesto ferale accaduto a Barletta e chiedendo a lui alcuni particolari, mi ha reso edotto di tutta la vicenda che ho avuto l'onore di raccontare in questo romanzo, nelle sue più insite sfaccettature: l'eccidio dei vigili urbani e dei due netturbini, con quella ferita che è ancora visibilmente aperta in quel tragico luogo.
La seconda guerra mondiale un dramma epico, per le barbarie rappresentate dalle rappresaglie ai danni di chi aveva discendenza ebraica come la famiglia Belluno, da me inventata, che poi divenne Blender, protagonisti del mio romanzo. Il libro l'ho concluso in pieno lockdown, stampato e presentato al pubblico nel 2021, ma il rammarico più grande che ho nell'animo, è stato rivivere una situazione, purtroppo questa volta non romanzata, consistente nel vero dramma così ferale come la guerra, con quello che ne consegue, con morti innocenti. Questo realmente mi dilania interiormente, con quello che sta accadendo tutt'ora nella guerra Ucraino/Russa, sembra essere stata evocata».
Cosa rappresenta Barletta per il protagonista del libro e quanto di questi suoi sentimenti rispecchia anche il tuo pensiero?
«Il protagonista in là con gli anni racconta ai nipoti della loro discendenza, nel racconto si evince il suo rammarico misto a dispiacere, poiché vista la sua veneranda età è certo che non ci potrà più tornare, in quella Barletta raccontata con enfasi. Poiché è ancora lontano quel sentimento che ci accomuna, ma che in un certo senso si equivale, poiché Barletta per me non è solo la città che ha visto i miei natali, ma è tutto: dove ho vissuto l'adolescenza, dove si è formato il mio carattere dove ho vissuto affermazioni e delusioni. In una sola parola, dov'è iniziato il mio percorso di vita. In sintesi posso affermare che il cordone ombelicale per questa magnifica città non è stato mai reciso in maniera definitiva. Questo mio sentimento d'amore verso Barletta è stato maggiormente gratificato, dall'onore che mi è stato concesso, di poter arricchire questo romanzo, con l'uso del logo cittadino, dedicando alla mia città il libro».
C'è un capitolo del libro che si intitola "La nostalgia di Barletta!". Cosa rimane della nostra città nella storia del tuo personaggio e in generale per chi è nato qui e poi è stato costretto per motivi familiari o lavorative ad andar via?
«Barletta per chi l'ama nel modo giusto, rappresenta tantissimo, è un luogo dove io, ad esempio, ritorno sempre piacevolmente, la nostalgia ti pervade solo perché c'è una simbiosi che non può svanire solamente perché sei lontano, ci sono situazioni che sono tal volta inspiegabili e tutte le volte che riparti, ti viene un magone indicibile. Proporrei ad ogni barlettano, che si lamenta in continuazione della propria città, di stare lontano da Barletta almeno qualche anno, per poi ritornare a viverci, solo così si può amarla in maniera intensa, al contrario di chi invece vivendoci non riesce a farlo, non immaginando realmente la bellezza di questa città che deve essere innanzitutto rispettata. Altra considerazione che è determinante per modificare quello status quo in cui il barlettano medio non si riconosce lamentandosi per le cose che non funzionano, bene a queste persone io dico che ognuno deve fare la propria parte, cambiando il modo di essere e di vivere, con azioni concrete in ogni ambito, che portano beneficio alla collettività, allora sì che si vivrebbe meglio: basta con i lamenti, operiamo di persona perché tutto vada per il verso giusto».
Hai mai provato questa nostalgia personalmente?
«Sempre, tutte le volte che riparto ancor oggi, perché nonostante siano trascorsi ben trentacinque anni da quel lontano 19 settembre 1987, mi assale ogni volta che parto da Barletta, non solo perché lascio parenti, ma anche i tanti amici con i quali ho da sempre consolidato in un'amicizia fraterna che non ha bisogno del quotidiano per essere ravvivata».
Qual è il significato del tuo scrivere e narrare le tue vicende, c'è un qualcosa di collegato ad esso?
«Lo scrivere per me è un piacere assoluto, l'ho riscoperto nel 2014 e da allora non mi sono fermato, completando la trilogia del detective Tony Blender. Amo scrivere di continuo perché la mia mente è una vera e propria fucina di emozioni che non sempre riesco a valorizzare al meglio, nel compimento di un romanzo. Lo sforzo economico è rilevante nel pubblicare ogni manoscritto, sinora ci sono riuscito, per il futuro si vedrà.
Quello che mi fa piacere è tener fede ad una frase che ho preso come esempio, come diceva San Giovanni Paolo II: "Non ostentare, ma dimostra"… io è da quel lontano 2014 continuo a dimostrare, nel senso che volendo si può fare qualcosa per gli ultimi, per chi non ha nulla. Certo è una goccia in un oceano di necessità, ma si deve pur cominciare da qualcosa, bisogna dare un segno tangibile per chi non ha neanche il quotidiano. Rimarcare la necessità di essere solidale è un lato del mio essere che m'inorgoglisce tantissimo, ho associato al piacere della scrittura alla beneficienza, e per l'appunto all'indomani dell'evento al cinema Paolillo di venerdì 11 marzo, ho provveduto a fornito la mia 26esima colletta alimentare questa volta destinata alla Caritas di Barletta».
La tua esperienza di scrittore ti ha portato anche a metterti in gioco in altri ambiti?
«Sì. Ho provato anche le brezza di scrivere una sceneggiatura per un corto realizzato da un caro amico d'infanzia il film-maker Salvatore Dimastromatteo, con cui ho condiviso l'idea di realizzare un film, sulle vicende che hanno evidenziato i fatti storici della Disfida di Barletta.
Tutto è iniziato pre-pandemia, cui è susseguito un periodo di stasi per le vicende legate al covid, poi fortunatamente, appena tutto è un attimino rientrato, con le dovute cautele, siamo riusciti a concludere il nostro progetto, nel decorso mese di gennaio. Il titolo del cortometraggio è: …Io c'ero…, interpretato da un gruppo fantastico di amici, innanzitutto, in cui mi sono integrato alla perfezione. Ho notato la coesione in questo gruppo, dove la voglia di provare un qualcosa nuovo per tutti, era massima. Devo ammettere che con assoluto impegno, ci siamo prodigati in un compito arduo di attori, seppur amatoriali senza alcuna competenza specifica, ma non per questo abbiamo lesinato impegno anzi abbiamo interpretato ognuno il proprio ruolo al meglio delle proprie possibilità. Io stesso ho provato quella fantastica brezza, con tantissimo sacrificio perché il compito di attore seppur amatoriale e davvero arduo. Bisogna però riconoscere che è stato fantastico rievocare un fatto nobile che ha restituito al popolo italiano dignità e orgoglio nel fatto che ho raccontando rievocando la Disfida di Barletta. Tutte le parti in causa hanno esercitato un ruolo importante, a cominciare dai costumi prodotti fantasticamente da Charmelle Creazioni di Carmela Calabrese, quindi nella ripresa unica del suo genere di Salvatore Dimastromatteo Film-Maker realizzando un corto in un'unica sequenza, finendo con la mia sceneggiatura avvalorata dall'abilità interpretativa degli attori. Ritengo che la sera dell'11 marzo scorso, i convenuti, al termine della proiezione del corto, abbiano apprezzato i nostri sforzi in un'opera che parteciperà a vari concorsi nazionali del settore. Mi pareva giusto dare il dovuto merito a persone fantastiche che hanno collaborato alla realizzazione di questo corto. Io c'ero sarà il nostro vessillo di una Barletta che sarà presente in ogni dove, creato in modo genuino e con tantissimo entusiasmo».
Abbiamo intervistato l'autore Antonio Dibenedetto per conoscere la storia dietro il suo romanzo e la natura del legame con la città di Barletta.
Una carriera da finanziere che si trasforma nel senso di giustizia del detective protagonista del tuo libro. Perché hai scelto di narrare proprio questo periodo storico? Ci sono legami con l'attualità?
«Tutte le persone che hanno letto i miei libri, e nella fattispecie l'ultimo, mi hanno chiesto se c'era una certa correlazione tra me e la figura di Tony Blender; io ho sempre risposto di sì, in modo assoluto. Ho voluto che il protagonista dei miei romanzi mi assomigliasse, ponendo in risalto vicende di vita vissuta che mi sono capitate durante la mia carriera.
Ho deciso di narrare, in quest'ultimo romanzo, una vicenda sconosciuta al di fuori dei confini regionali, rendendo omaggio a dei fatti storici che hanno avuto come teatro la nostra cara Barletta in uno dei primissimi episodi di rappresaglia nazista in Italia. Questo lo devo grazie al contributo storico del professor Luigi Dicuonzo, Responsabile dell'Archivio della Resistenza e della Memoria. Un giorno mi sono recato nel suo ufficio, al Castello Svevo, per salutarlo e ho notato che aveva preparato una serie di immagini inerenti la seconda guerra mondiale. Io sono stato sempre interessato a quel gesto ferale accaduto a Barletta e chiedendo a lui alcuni particolari, mi ha reso edotto di tutta la vicenda che ho avuto l'onore di raccontare in questo romanzo, nelle sue più insite sfaccettature: l'eccidio dei vigili urbani e dei due netturbini, con quella ferita che è ancora visibilmente aperta in quel tragico luogo.
La seconda guerra mondiale un dramma epico, per le barbarie rappresentate dalle rappresaglie ai danni di chi aveva discendenza ebraica come la famiglia Belluno, da me inventata, che poi divenne Blender, protagonisti del mio romanzo. Il libro l'ho concluso in pieno lockdown, stampato e presentato al pubblico nel 2021, ma il rammarico più grande che ho nell'animo, è stato rivivere una situazione, purtroppo questa volta non romanzata, consistente nel vero dramma così ferale come la guerra, con quello che ne consegue, con morti innocenti. Questo realmente mi dilania interiormente, con quello che sta accadendo tutt'ora nella guerra Ucraino/Russa, sembra essere stata evocata».
Cosa rappresenta Barletta per il protagonista del libro e quanto di questi suoi sentimenti rispecchia anche il tuo pensiero?
«Il protagonista in là con gli anni racconta ai nipoti della loro discendenza, nel racconto si evince il suo rammarico misto a dispiacere, poiché vista la sua veneranda età è certo che non ci potrà più tornare, in quella Barletta raccontata con enfasi. Poiché è ancora lontano quel sentimento che ci accomuna, ma che in un certo senso si equivale, poiché Barletta per me non è solo la città che ha visto i miei natali, ma è tutto: dove ho vissuto l'adolescenza, dove si è formato il mio carattere dove ho vissuto affermazioni e delusioni. In una sola parola, dov'è iniziato il mio percorso di vita. In sintesi posso affermare che il cordone ombelicale per questa magnifica città non è stato mai reciso in maniera definitiva. Questo mio sentimento d'amore verso Barletta è stato maggiormente gratificato, dall'onore che mi è stato concesso, di poter arricchire questo romanzo, con l'uso del logo cittadino, dedicando alla mia città il libro».
C'è un capitolo del libro che si intitola "La nostalgia di Barletta!". Cosa rimane della nostra città nella storia del tuo personaggio e in generale per chi è nato qui e poi è stato costretto per motivi familiari o lavorative ad andar via?
«Barletta per chi l'ama nel modo giusto, rappresenta tantissimo, è un luogo dove io, ad esempio, ritorno sempre piacevolmente, la nostalgia ti pervade solo perché c'è una simbiosi che non può svanire solamente perché sei lontano, ci sono situazioni che sono tal volta inspiegabili e tutte le volte che riparti, ti viene un magone indicibile. Proporrei ad ogni barlettano, che si lamenta in continuazione della propria città, di stare lontano da Barletta almeno qualche anno, per poi ritornare a viverci, solo così si può amarla in maniera intensa, al contrario di chi invece vivendoci non riesce a farlo, non immaginando realmente la bellezza di questa città che deve essere innanzitutto rispettata. Altra considerazione che è determinante per modificare quello status quo in cui il barlettano medio non si riconosce lamentandosi per le cose che non funzionano, bene a queste persone io dico che ognuno deve fare la propria parte, cambiando il modo di essere e di vivere, con azioni concrete in ogni ambito, che portano beneficio alla collettività, allora sì che si vivrebbe meglio: basta con i lamenti, operiamo di persona perché tutto vada per il verso giusto».
Hai mai provato questa nostalgia personalmente?
«Sempre, tutte le volte che riparto ancor oggi, perché nonostante siano trascorsi ben trentacinque anni da quel lontano 19 settembre 1987, mi assale ogni volta che parto da Barletta, non solo perché lascio parenti, ma anche i tanti amici con i quali ho da sempre consolidato in un'amicizia fraterna che non ha bisogno del quotidiano per essere ravvivata».
Qual è il significato del tuo scrivere e narrare le tue vicende, c'è un qualcosa di collegato ad esso?
«Lo scrivere per me è un piacere assoluto, l'ho riscoperto nel 2014 e da allora non mi sono fermato, completando la trilogia del detective Tony Blender. Amo scrivere di continuo perché la mia mente è una vera e propria fucina di emozioni che non sempre riesco a valorizzare al meglio, nel compimento di un romanzo. Lo sforzo economico è rilevante nel pubblicare ogni manoscritto, sinora ci sono riuscito, per il futuro si vedrà.
Quello che mi fa piacere è tener fede ad una frase che ho preso come esempio, come diceva San Giovanni Paolo II: "Non ostentare, ma dimostra"… io è da quel lontano 2014 continuo a dimostrare, nel senso che volendo si può fare qualcosa per gli ultimi, per chi non ha nulla. Certo è una goccia in un oceano di necessità, ma si deve pur cominciare da qualcosa, bisogna dare un segno tangibile per chi non ha neanche il quotidiano. Rimarcare la necessità di essere solidale è un lato del mio essere che m'inorgoglisce tantissimo, ho associato al piacere della scrittura alla beneficienza, e per l'appunto all'indomani dell'evento al cinema Paolillo di venerdì 11 marzo, ho provveduto a fornito la mia 26esima colletta alimentare questa volta destinata alla Caritas di Barletta».
La tua esperienza di scrittore ti ha portato anche a metterti in gioco in altri ambiti?
«Sì. Ho provato anche le brezza di scrivere una sceneggiatura per un corto realizzato da un caro amico d'infanzia il film-maker Salvatore Dimastromatteo, con cui ho condiviso l'idea di realizzare un film, sulle vicende che hanno evidenziato i fatti storici della Disfida di Barletta.
Tutto è iniziato pre-pandemia, cui è susseguito un periodo di stasi per le vicende legate al covid, poi fortunatamente, appena tutto è un attimino rientrato, con le dovute cautele, siamo riusciti a concludere il nostro progetto, nel decorso mese di gennaio. Il titolo del cortometraggio è: …Io c'ero…, interpretato da un gruppo fantastico di amici, innanzitutto, in cui mi sono integrato alla perfezione. Ho notato la coesione in questo gruppo, dove la voglia di provare un qualcosa nuovo per tutti, era massima. Devo ammettere che con assoluto impegno, ci siamo prodigati in un compito arduo di attori, seppur amatoriali senza alcuna competenza specifica, ma non per questo abbiamo lesinato impegno anzi abbiamo interpretato ognuno il proprio ruolo al meglio delle proprie possibilità. Io stesso ho provato quella fantastica brezza, con tantissimo sacrificio perché il compito di attore seppur amatoriale e davvero arduo. Bisogna però riconoscere che è stato fantastico rievocare un fatto nobile che ha restituito al popolo italiano dignità e orgoglio nel fatto che ho raccontando rievocando la Disfida di Barletta. Tutte le parti in causa hanno esercitato un ruolo importante, a cominciare dai costumi prodotti fantasticamente da Charmelle Creazioni di Carmela Calabrese, quindi nella ripresa unica del suo genere di Salvatore Dimastromatteo Film-Maker realizzando un corto in un'unica sequenza, finendo con la mia sceneggiatura avvalorata dall'abilità interpretativa degli attori. Ritengo che la sera dell'11 marzo scorso, i convenuti, al termine della proiezione del corto, abbiano apprezzato i nostri sforzi in un'opera che parteciperà a vari concorsi nazionali del settore. Mi pareva giusto dare il dovuto merito a persone fantastiche che hanno collaborato alla realizzazione di questo corto. Io c'ero sarà il nostro vessillo di una Barletta che sarà presente in ogni dove, creato in modo genuino e con tantissimo entusiasmo».