Da Barberini al Canada, con il sogno di diventare docente
Il barlettano Damiano Cosimo Torre ci racconta la sua vita ad Ottawa. Ascoltiamo le voci e le storie dei barlettani nel mondo
domenica 14 aprile 2013
Barlettano, di Barberini, due volte bocciato al liceo Scientifico, laureato in Informatica presso l'Università degli studi di Bari, consegue un master in Tecnologia Informatica Avanzata presso l'Università della Castiglia-La Mancia di Ciudad Real (Spagna) dove ha vissuto per 3anni, lavora un anno a Madrid in una multinazionale informatica, prendendo parte al movimento cittadino degli "indignati". Attualmente ricercatore/dottorando (Ph.D. in Electrical and Computer Science ) presso la Carleton University ad Ottawa (Ontario, Canada) sulla consistenza dei modelli UML (Unified Modeling Language), per la rappresentazione grafica nello sviluppo software. Tutto questo per descrivere in breve la vita di uno dei tanti barlettani talentuosi che però, per mettere a frutto le proprie capacità, ha scelto di lasciare Barletta. Perché? Lo chiediamo al diretto interessato, Damiano Cosimo Torre, 29 anni, nato a Barletta, ma residente ad Ottawa in Canada.
Il tuo percorso interiore inizia da molto lontano, cosa ti ha spinto a credere (e non demordere)nello studio?
«Dopo essere stato bocciato due volte, decisi di mettermi a lavorare per un'azienda tessile come grafico/ragioniere; viaggiai molto per lavoro, a 19 anni vidi per la prima volta Berlino, la Bulgaria dove guardandomi allo specchio decisi di dare una svolta alla mia vita: si cercava manodopera a basso costo, questo andava contro tutti i valori nei quali profondamente credevo; così decisi di rimettermi in gioco iniziando una scuola serale per conseguire il diploma, nel 2004 mi iscrissi all'università».
Passioni, divertimenti, come vive un giovane italiano in Canada? Ti manca il folklore barlettano?
«Ad Ottawa, ci sono un sacco di movimenti ambientalisti, di cui mi interesso; stiamo realizzando un progetto per la creazione di un orto ecologico nell'università; tra i miei interessi le proteste dei nativi americani Anglochini ad Ottawa, mentre il concetto di "sera" in Canada è molto diverso dal nostro, in inverno alle sei del pomeriggio è già buio, il paesaggio tutt'intorno è silente, da favola abitato da scoiattoli, la mia vita notturna si svolge nel campus, raramente si esce a quell'ora con temperature di (-20)o( -30); mi mancano di Barletta soprattutto le persone a cui sono legato, mi sento molto barlettano ma cerco di immergermi totalmente nel tessuto sociale del posto in cui vivo, anche se a livello umano è difficile passare dalla frenesia della "vida de calle" di Madrid o Ciudad Real alla tranquillità di Ottawa, bisogna ricominciare a conoscere persone, condividere idee; è così remoto il concetto di Europa che se trovi un inglese ti sembra che sia di Barberini anche lui».
Si può prescindere dalla propria estrazione sociale, per crescere a livello personale?
«Mio padre è agricoltore e non ha mai voluto che facessi il suo mestiere, i miei mi hanno da sempre sostenuto nel mio percorso di studio, ma siamo noi i padroni del nostro destino, dobbiamo però anche aiutare la fortuna a darci una mano, noi scegliamo dove e come inseguire ciò che reputiamo degno di essere vissuto».
Scelta non facile quella di emigrare, come ti approcci alle altre culture in Canada?
«Avevo voglia di viaggiare e conoscere il mondo, per scoprire e confrontarmi, di mio sono di indole un po' nomade, adesso nel mio laboratorio ci sono due iraniani, una bengalese, un'indiana, un giordano ed io: ogni due o tre ore stendono tappetini e si mettono a pregare, l'armonia di questo laboratorio dà già l'idea del Canada mix di tantissime culture. Una favoletta che sembra funzionare, quando ti rendi conto che è possibile vivere in coesione pur avendo basi culturali così differenti. Poi da sempre la mia passione sono i Nativi americani, sin da piccolo "Balla coi lupi", "Piccolo grande uomo" ed altri film, canzoni come "Quello che non ho" e "Fiume San Creek" di De Andrè e sicuramente il primo libro letto sui nativi "Storia degli Indiani d'America", mi hanno iniziato all'amore per la cultura delle popolazioni First Nation».
L'Italia, unica nazione che in momenti di crisi effettua i primi tagli sull'istruzione piuttosto che puntare sulla cultura per risollevarsi: i giovani tendono forse ad accontentarsi?
« negli anni ho compreso che avrei potuto perseguire il mio progetto di studi solo lontano dall'Italia viste le pochissime possibilità, ma non ci si deve arrendere, la lotta è l'unica via percorribile per cambiare le cose, trovo illogico che la forbice bancaria si abbatta spesso sulla scuola, fucina che forgerà i futuri cittadini, l'istruzione è un megafono da sfruttare al meglio per i giovani, e per ciò che saranno un domani».
Essendo nato a Barletta, l'avresti mai immaginato di diventare ricercatore? Il tuo motto nella vita di tutti i giorni?
«Non l'avrei mai creduto ma da sempre la mia spinta è stata la curiosità; mi piace sognare con il presente ed avere obiettivi a medio termine; il mio motto da sempre è una frase di Ghandi che dice "Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo" rappresenta il mio modus vivendi, mentre nella quotidianità credo che " La vita sono due giorni d'estate", in questo detto spagnolo c'è il significato della vita, quella fotografia di pochi istanti d'inebrio».
Il tuo percorso interiore inizia da molto lontano, cosa ti ha spinto a credere (e non demordere)nello studio?
«Dopo essere stato bocciato due volte, decisi di mettermi a lavorare per un'azienda tessile come grafico/ragioniere; viaggiai molto per lavoro, a 19 anni vidi per la prima volta Berlino, la Bulgaria dove guardandomi allo specchio decisi di dare una svolta alla mia vita: si cercava manodopera a basso costo, questo andava contro tutti i valori nei quali profondamente credevo; così decisi di rimettermi in gioco iniziando una scuola serale per conseguire il diploma, nel 2004 mi iscrissi all'università».
Passioni, divertimenti, come vive un giovane italiano in Canada? Ti manca il folklore barlettano?
«Ad Ottawa, ci sono un sacco di movimenti ambientalisti, di cui mi interesso; stiamo realizzando un progetto per la creazione di un orto ecologico nell'università; tra i miei interessi le proteste dei nativi americani Anglochini ad Ottawa, mentre il concetto di "sera" in Canada è molto diverso dal nostro, in inverno alle sei del pomeriggio è già buio, il paesaggio tutt'intorno è silente, da favola abitato da scoiattoli, la mia vita notturna si svolge nel campus, raramente si esce a quell'ora con temperature di (-20)o( -30); mi mancano di Barletta soprattutto le persone a cui sono legato, mi sento molto barlettano ma cerco di immergermi totalmente nel tessuto sociale del posto in cui vivo, anche se a livello umano è difficile passare dalla frenesia della "vida de calle" di Madrid o Ciudad Real alla tranquillità di Ottawa, bisogna ricominciare a conoscere persone, condividere idee; è così remoto il concetto di Europa che se trovi un inglese ti sembra che sia di Barberini anche lui».
Si può prescindere dalla propria estrazione sociale, per crescere a livello personale?
«Mio padre è agricoltore e non ha mai voluto che facessi il suo mestiere, i miei mi hanno da sempre sostenuto nel mio percorso di studio, ma siamo noi i padroni del nostro destino, dobbiamo però anche aiutare la fortuna a darci una mano, noi scegliamo dove e come inseguire ciò che reputiamo degno di essere vissuto».
Scelta non facile quella di emigrare, come ti approcci alle altre culture in Canada?
«Avevo voglia di viaggiare e conoscere il mondo, per scoprire e confrontarmi, di mio sono di indole un po' nomade, adesso nel mio laboratorio ci sono due iraniani, una bengalese, un'indiana, un giordano ed io: ogni due o tre ore stendono tappetini e si mettono a pregare, l'armonia di questo laboratorio dà già l'idea del Canada mix di tantissime culture. Una favoletta che sembra funzionare, quando ti rendi conto che è possibile vivere in coesione pur avendo basi culturali così differenti. Poi da sempre la mia passione sono i Nativi americani, sin da piccolo "Balla coi lupi", "Piccolo grande uomo" ed altri film, canzoni come "Quello che non ho" e "Fiume San Creek" di De Andrè e sicuramente il primo libro letto sui nativi "Storia degli Indiani d'America", mi hanno iniziato all'amore per la cultura delle popolazioni First Nation».
L'Italia, unica nazione che in momenti di crisi effettua i primi tagli sull'istruzione piuttosto che puntare sulla cultura per risollevarsi: i giovani tendono forse ad accontentarsi?
« negli anni ho compreso che avrei potuto perseguire il mio progetto di studi solo lontano dall'Italia viste le pochissime possibilità, ma non ci si deve arrendere, la lotta è l'unica via percorribile per cambiare le cose, trovo illogico che la forbice bancaria si abbatta spesso sulla scuola, fucina che forgerà i futuri cittadini, l'istruzione è un megafono da sfruttare al meglio per i giovani, e per ciò che saranno un domani».
Essendo nato a Barletta, l'avresti mai immaginato di diventare ricercatore? Il tuo motto nella vita di tutti i giorni?
«Non l'avrei mai creduto ma da sempre la mia spinta è stata la curiosità; mi piace sognare con il presente ed avere obiettivi a medio termine; il mio motto da sempre è una frase di Ghandi che dice "Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo" rappresenta il mio modus vivendi, mentre nella quotidianità credo che " La vita sono due giorni d'estate", in questo detto spagnolo c'è il significato della vita, quella fotografia di pochi istanti d'inebrio».