"Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto"
Il Vangelo secondo Giovanni nel commento di don Vito
domenica 3 maggio 2015
La Parola che purifica quando rimaniamo in Gesù
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l'agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
Per tre domeniche consecutive, a partire da questa, ascolteremo come Vangelo il cosiddetto discorso di addio di Gesù, tratto dai capitoli 13-17 di Giovanni. Sinceramente quando ci accostiamo a brani che conosciamo quasi a memoria corriamo il rischio di incatenare la Parola non permettendole di provocarci adeguatamente. Nel quarto Vangelo Gesù si definisce più volte con le parole "Io Sono", le stesse adoperate da Dio Salvatore d'Israele nell'Antico Testamento quando si rivela a Mosè: Io Sono l'acqua viva, il pane vivo, la luce del mondo, il buon pastore, la vite, etc. Ciò significa che ad ogni rivelazione corrisponde una tappa della storia della salvezza dell'antico Israele prima, della Chiesa e dei credenti poi. Ed oggi Gesù si presenta come la vite, antica quanto suggestiva immagine per un popolo che, insieme col grano e l'ulivo, conosceva bene questo tipo di pianta che descriveva il popolo d'Israele ieri, la Chiesa oggi. E dicendo "il Padre mio è l'agricoltore" ribadisce l'intimità del suo rapporto con Dio. Ora, la vite è nota perché è costituita da una tipologia di legno che non può essere adoperata per alcun manufatto; pertanto la vite serve solo a produrre uva (dalla quale, come ben sappiamo, si ricava il vino che Gesù rende sacramento della sua presenza nella celebrazione della Eucarestia). Nella coltivazione della vigna c'è un processo, chiamato potatura, che serve a sfrondare la vite perché porti più frutto e che consiste anche nel recidere alcuni tralci. Questa operazione è particolarmente dolorosa per la pianta ma le permette di rendere migliore l'uva che produrrà. E questo accade perché dalla vite ai tralci scorre la linfa che alimenta tutta la pianta. Di qui comprendiamo che se noi siamo i tralci e vogliamo portare frutto è necessario che rimaniamo uniti a Lui.
Rimanere: verbo importantissimo nel Vangelo di Giovanni che non indica passività o staticità, ma, al contrario, attività operosa che consiste proprio nel passaggio della linfa che nutre ed alimenta. Come avviene questo per i credenti? Lasciandoci raggiungere dalla Parola, che purifica, nutre e rinnova il cuore dei credenti. Il processo di purificazione che la Parola compie in noi significa essenzialmente processo di semplificazione, in quanto la purezza indica, come in chimica, semplicità e non confusione: ciò che è puro è "non contaminato". La Parola nutre: è il cibo per nutrire la nostra fede e guidare le nostre scelte. La Parola rinnova: ci restituisce alla semplicità ed integrità del rapporto con Dio.
Mi ha sempre fatto molto riflettere il fatto che l'uva è prodotta dai tralci e non direttamente dalla vite: questo può significare che il Signore vuole portare frutto attraverso di noi, nonostante le nostre fragilità, debolezze, peccati. Per la serie: Lui si fida di noi! Siamo così chiamati, oggi, a rimanere uniti a Lui per portare frutto, principalmente nel vivere la comunione con i fratelli, nutriti dal nostro rimanere uniti a Lui. Come i tralci alla vite!
Buona domenica a tutti.
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l'agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
Per tre domeniche consecutive, a partire da questa, ascolteremo come Vangelo il cosiddetto discorso di addio di Gesù, tratto dai capitoli 13-17 di Giovanni. Sinceramente quando ci accostiamo a brani che conosciamo quasi a memoria corriamo il rischio di incatenare la Parola non permettendole di provocarci adeguatamente. Nel quarto Vangelo Gesù si definisce più volte con le parole "Io Sono", le stesse adoperate da Dio Salvatore d'Israele nell'Antico Testamento quando si rivela a Mosè: Io Sono l'acqua viva, il pane vivo, la luce del mondo, il buon pastore, la vite, etc. Ciò significa che ad ogni rivelazione corrisponde una tappa della storia della salvezza dell'antico Israele prima, della Chiesa e dei credenti poi. Ed oggi Gesù si presenta come la vite, antica quanto suggestiva immagine per un popolo che, insieme col grano e l'ulivo, conosceva bene questo tipo di pianta che descriveva il popolo d'Israele ieri, la Chiesa oggi. E dicendo "il Padre mio è l'agricoltore" ribadisce l'intimità del suo rapporto con Dio. Ora, la vite è nota perché è costituita da una tipologia di legno che non può essere adoperata per alcun manufatto; pertanto la vite serve solo a produrre uva (dalla quale, come ben sappiamo, si ricava il vino che Gesù rende sacramento della sua presenza nella celebrazione della Eucarestia). Nella coltivazione della vigna c'è un processo, chiamato potatura, che serve a sfrondare la vite perché porti più frutto e che consiste anche nel recidere alcuni tralci. Questa operazione è particolarmente dolorosa per la pianta ma le permette di rendere migliore l'uva che produrrà. E questo accade perché dalla vite ai tralci scorre la linfa che alimenta tutta la pianta. Di qui comprendiamo che se noi siamo i tralci e vogliamo portare frutto è necessario che rimaniamo uniti a Lui.
Rimanere: verbo importantissimo nel Vangelo di Giovanni che non indica passività o staticità, ma, al contrario, attività operosa che consiste proprio nel passaggio della linfa che nutre ed alimenta. Come avviene questo per i credenti? Lasciandoci raggiungere dalla Parola, che purifica, nutre e rinnova il cuore dei credenti. Il processo di purificazione che la Parola compie in noi significa essenzialmente processo di semplificazione, in quanto la purezza indica, come in chimica, semplicità e non confusione: ciò che è puro è "non contaminato". La Parola nutre: è il cibo per nutrire la nostra fede e guidare le nostre scelte. La Parola rinnova: ci restituisce alla semplicità ed integrità del rapporto con Dio.
Mi ha sempre fatto molto riflettere il fatto che l'uva è prodotta dai tralci e non direttamente dalla vite: questo può significare che il Signore vuole portare frutto attraverso di noi, nonostante le nostre fragilità, debolezze, peccati. Per la serie: Lui si fida di noi! Siamo così chiamati, oggi, a rimanere uniti a Lui per portare frutto, principalmente nel vivere la comunione con i fratelli, nutriti dal nostro rimanere uniti a Lui. Come i tralci alla vite!
Buona domenica a tutti.