Chi fa protesta deve essere prima pro-testa

Barletta e le conseguenze della rivolta dei forconi

mercoledì 11 dicembre 2013
Barletta da due giorni si sforza di sembrare una città da film: un luogo tendenzialmente arrembante, in cui il popolo irrompeva per cambiare i destini. Oggi somiglia più a Springfield, la cittadina dei Simpson, in cui succede di tutto ma a fine puntata lo scenario torna quello di partenza. A dimostrazione di questo ci sono le saracinesche "chivalà", quelle semiabbassate per coercizione, che aspettano il passaggio dei minacciosi per alzarsi di nuovo, in attesa di poter aprire le casse vuote da ieri mattina. Sono gli effetti dell'irragionevolezza di questa rivolta, senza né capo né coda, che ha i suoi tempi e le su maniere: l'oltranza si è concessa la pausa pranzo dalle 13.30 alle 16 e il sedicente pacifismo ha ribaltato cassonetti, minacciato i commercianti, rubato le micro SD di reporter, bucato le ruote ai mezzi agricoli in aperta campagna e lanciato petardi di avviso ai vari quartieri della città.

I social: qui il vero contraddittorio alla protesta, stati di persone contro, fotografie scattate dai balconi e postate su Facebook con tanto di indignazione. Il tutto mentre gira una catena via sms che recita: "Da lunedì 9 dicembre, L'Italia tutta si fermerà e scenderà in piazza per riprendersi la sovranità nazionale. E' una protesta pacifica (non si rompe nulla) ma ad oltranza. Agricoltori e camionisti paralizzeranno gli svincoli stradali nevralgici per bloccare gli introiti della casta politica proprio in un periodo dell'anno dove con l'IVA al 23% i ladri-assassini al Parlamento si aspettano grandi entrate (non pagate tasse adesso). Continuerà l'economia essenziale (cibi e farmaci). Non usate mezzi (disagio avvisato è mezzo agio) e partecipate all'evento che rimarrà nella nostra nobile e bella Italia. Polizia e forze dell'ordine sono stati avvisati e sono dalla nostra parte (d'altronde hanno giurato fedeltà alla Costituzione e al popolo italiano). Chiediamo le dimissioni immediate di tutti i politici e un processo per direttissima per Alto tradimento al popolo italiano. CI AIUTEREMO L'UNO CON L'ALTRO, FATE PROVVISTE ESSENZIALI E ORGANIZZATEVI IN RISORSE DA CAMPO. Ci saranno spole per portare cibo ed assistenza ai posti di blocco. RIPRENDIAMOCI L'ITALIA CHE VOGLIAMO". Un regolamento ragionato in tutta la sua veemenza; peccato che si stanno trasgredendo le principali clausole.

Ai TG non si sente altro che: "La marcia su Roma è scongiurata", come se il mancato attacco a Palazzo Chigi faccia star tranquilli tutti gli italiani. "Alcuni italiani non si arrendono" recita lo striscione più in voga. Ma non si pensi che chi sta lavorando anche oggi si sia arreso. Magari non può fermarsi o crede che la vera rivoluzione sia riaccendere un motore spento anziché impregnarlo di polvere, sperando di soffocare chi ne è al timone (leggi Governo). Stiamo facendo la fine della Grecia, usiamo questa frase come portabandiera della protesta: è vero, non nascondiamoci, siamo secondi come rischio-povertà dopo di loro su scala europea. Ma non adottiamo i metodi della Grecia, perché l'omologazione tra paesi non più produttivi è controproducente. Quando si obbliga la gente ad aderire alla protesta, quando si manifesta senza raggiungere la sede ove sarebbero racchiusi i "mali" (Roma in questo caso), cosa si ottiene? Si ottiene il rigetto sociale verso la giustezza del diritto a manifestare, un diritto che rischia di soffocare le libertà altrui, di convertirsi in un dovere coatto. Si vada a spiegare agli esercenti che hanno il coraggio di investire, danno posti di lavoro, perché oggi sono stati "invitati" a chiudere, e si spieghi loro come riavranno indietro quei minimi introiti che racimolano di giorno in giorno. «Se chiudono oggi, può darsi che un giorno recupereranno quello che hanno perso e anche qualcosa in più. Se questo accadrà, vorrà dire che siamo stati efficaci» ci ha risposto un manifestante lungo il corteo che saliva in Via Imbriani.

Autotrasportatori, ultras, operai, negozianti, imprenditori e studenti, tutti solidali contro l'esecutivo italiano; governo che sembra non avere lo scudo delle Forze dell'ordine, che a Torino hanno levato il casco in segno di manifestazione pacifica e tensione allentata. Le forme civili che la protesta ha assunto in altre città sono il secondo braccio della bilancia, più pesante (fortunatamente) della pro-pancia avvenuta nei capoluoghi della sesta provincia pugliese. Una donna è stata volgarmente insultata perché è entrata forzatamente in un supermercato per comprare materiale essenziale a suo figlio disabile; il pomeriggio spettrale di ieri dimostra quanto sia una manifestazione tutt'altro che partecipata. Bisogna vedere quanti chiudono spontaneamente la propria attività commerciale per manifestare e quanti rimangono a casa e con le saracinesche abbassate per terrore. Bar aperti con luci spente, giusto per ospitare i clienti fedeli e parrucchiere che non lavorano per via dello "sciopero". Qui si ignora ancora la definizione dell'accadimento.

I retaggi storici sono diversi: l'alleanza esercito-popolo di ottobrina memoria russa, l'azione "squadrata" di presidi improvvisati con destrorso estremismo, il fanatismo radicale di bakuniano respiro. La lungimiranza, invece, ci fa sperare alla risoluzione di questa guerra tra poveri, a una maggiore convinzione dell'operato individuale e a un'ossigenazione dell'economia in apnea, a partire dalle acque basse della città.