Carcere è società?
Una riflessione sulla condizione delle carceri in Italia presso il Circolo Unione di Barletta. Iniziativa promossa da "Vivi Barletta"
domenica 29 aprile 2012
In un periodo storico come il nostro, in cui l'economia sembra non smettere mai di toccare i suoi picchi più bassi, di qualsiasi cosa si parli il problema è sempre lo stesso: la mancanza di risorse. Risorse finanziarie e risorse umane. Senza dimenticare che più ci si imbatte in contesti delicati e ai margini della società, più la criticità di tale situazione degenera, come accade nelle carceri italiane, argomento di cui si è discusso presso il Circolo Unione di Barletta, venerdì 27 aprile. Il dibattito portava il nome di "Carcere e società?", in quanto ruotava tutto intorno alla questione della vivibilità delle carceri in Italia e sulla loro funzionalità come centri di recupero e reintegrazione nella società del detenuto, dove il recupero e la reintegrazione rappresentano i fini ultimi della reclusione, poiché lo scopo della pena non può essere la sua semplice espiazione in una società evoluta.
L'iniziativa è stata promossa da Raffaella Porreca Salerno, la quale ha mostrato una particolare sensibilità nei confronti dei detenuti italiani che, da questo punto di vista, sono vittime di una cattiva gestione amministrativa ed economica da parte del Ministero della Giustizia italiana, che in questo modo viola i loro diritti umani e costituzionali a causa di una pessima gestione manageriale dell'organigramma ministeriale, oltre che per la mancanza di risorse monetarie, adesso ai minimi storici. Il dibattito è stato moderato dalla giornalista Marta Palombella, che ha mediato tra i diversi partecipanti, quali la dr.ssa Bruna Piarulli, Direttore Istituti Penali di Trani, il dr. Pompeo Camero, Assessore Provinciale BT, la prof.ssa Rosa Del Giudice, presidente del Centro Orientamento Don Bosco di Andria, l'ing. Vito Leonetti, Responsabile Presidio Libera di Andria, Vincenzo Paccione, Comandante di Reparto Istituti Penali di Trani, il dr. Michele Ruggiero, Magistrato Procura di Trani, Don Raffaele Sarno, Cappellano della Casa Circondariale di Trani, il prof. Roberto Tarantino, Dirigente Scolastico dell'Istituto Professionale "Colasanto" di Andria, Franco Daddi, Coordinatore Bottega del Cinema Ostia Lido e Ottaviano Dell'Acqua e maestro d'armi.
I punti nodali della questione sono stati essenzialmente tre: l'aspetto strutturale delle carceri, la loro gestione amministrativa e la dignità umana del detenuto. Analizzando questi aspetti sono venute fuori diverse denunce al Ministero della Giustizia, prima fra tutte quella che riguarda le disumane caratteristiche edilizie delle celle: spazi ristrettissimi (si è parlato di 3 metri quadri a detenuto, letti arrugginiti o senza materasso, paresti scrostate, bagni alla turca, cucine inesistenti. Insomma gli edifici di detenzione in Italia sono stati descritti come strutture fatiscenti, nella maggior parte dei casi, tanto da non risultare affatto idonei alla loro funzione. Senza dimenticare che vige anche una disparità tra carceri, tanto da poter stilare due diverse classifiche: quella delle carceri efficienti (come il carcere di Bollate, di Orvieto e di Padova) e quella delle carceri in rovina (come il carcere di Marassi, Regina Coeli e Catania). Dal punto di vista amministrativo, invece, i numeri parlano chiaro: dai Dipartimenti dell'Amministrazione Penitenziaria sono stati sottratti ben 1200 agenti, una riduzione dell'organico che ha conseguito una netta disparità tra il numero della polizia penitenziaria e il numero dei detenuti. Morale della favola: le carceri o diventano sovraffollate oppure sottoutilizzate, e questo è già un importante indice dell'inadeguata gestione delle risorse. Infine, il problema più spinoso riguarda l'individuo, che anche se è un cittadino che ha perso determinate libertà per espiare la pena di un reato commesso, è un pur sempre una persona dotata di altri diritti: "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato" recita l'art. 27 della Costituzione Italiana e "ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica", dice l'art. 3 della Carta Europea dei Diritti Umani. Purtroppo lo Stato Italiano ha già subito una condanna da parte della Corte Europea dei diritti dell'Uomo per non aver sempre rispettato le norme stabilite dalla Carta, come conferma Vincenzo Paccione, il quale ci tiene anche molto a sottolineare quanto sia dispendioso mantenere ogni giorno un detenuto in cella e di come sia difficoltoso pretendere un aumento delle risorse in questo insidioso momento storico.
Rimane sempre e comunque il fatto che il carcere non è da considerare solo come la pena da scontare, ma anche come luogo di recupero e reintegrazione dell'individuo, affinché tale pena possa essere anche uno strumento funzionale di rinnovamento tanto per il reo quanto per la società intera. A tal riguardo è intervenuto l'Assessore Pompeo Camero, che ha infuso un po' di fiducia parlando di progetti di scuole e di piani di formazione professionale nelle carceri, con lo scopo di ristrutturare il rapporto carceri/società in un'ottica più democratica (dove per democrazia si intende un sistema in cui tutti i cittadini, rei e non, godono di determinati diritti umani, da salvaguardare imprescindibilmente).
L'iniziativa è stata promossa da Raffaella Porreca Salerno, la quale ha mostrato una particolare sensibilità nei confronti dei detenuti italiani che, da questo punto di vista, sono vittime di una cattiva gestione amministrativa ed economica da parte del Ministero della Giustizia italiana, che in questo modo viola i loro diritti umani e costituzionali a causa di una pessima gestione manageriale dell'organigramma ministeriale, oltre che per la mancanza di risorse monetarie, adesso ai minimi storici. Il dibattito è stato moderato dalla giornalista Marta Palombella, che ha mediato tra i diversi partecipanti, quali la dr.ssa Bruna Piarulli, Direttore Istituti Penali di Trani, il dr. Pompeo Camero, Assessore Provinciale BT, la prof.ssa Rosa Del Giudice, presidente del Centro Orientamento Don Bosco di Andria, l'ing. Vito Leonetti, Responsabile Presidio Libera di Andria, Vincenzo Paccione, Comandante di Reparto Istituti Penali di Trani, il dr. Michele Ruggiero, Magistrato Procura di Trani, Don Raffaele Sarno, Cappellano della Casa Circondariale di Trani, il prof. Roberto Tarantino, Dirigente Scolastico dell'Istituto Professionale "Colasanto" di Andria, Franco Daddi, Coordinatore Bottega del Cinema Ostia Lido e Ottaviano Dell'Acqua e maestro d'armi.
I punti nodali della questione sono stati essenzialmente tre: l'aspetto strutturale delle carceri, la loro gestione amministrativa e la dignità umana del detenuto. Analizzando questi aspetti sono venute fuori diverse denunce al Ministero della Giustizia, prima fra tutte quella che riguarda le disumane caratteristiche edilizie delle celle: spazi ristrettissimi (si è parlato di 3 metri quadri a detenuto, letti arrugginiti o senza materasso, paresti scrostate, bagni alla turca, cucine inesistenti. Insomma gli edifici di detenzione in Italia sono stati descritti come strutture fatiscenti, nella maggior parte dei casi, tanto da non risultare affatto idonei alla loro funzione. Senza dimenticare che vige anche una disparità tra carceri, tanto da poter stilare due diverse classifiche: quella delle carceri efficienti (come il carcere di Bollate, di Orvieto e di Padova) e quella delle carceri in rovina (come il carcere di Marassi, Regina Coeli e Catania). Dal punto di vista amministrativo, invece, i numeri parlano chiaro: dai Dipartimenti dell'Amministrazione Penitenziaria sono stati sottratti ben 1200 agenti, una riduzione dell'organico che ha conseguito una netta disparità tra il numero della polizia penitenziaria e il numero dei detenuti. Morale della favola: le carceri o diventano sovraffollate oppure sottoutilizzate, e questo è già un importante indice dell'inadeguata gestione delle risorse. Infine, il problema più spinoso riguarda l'individuo, che anche se è un cittadino che ha perso determinate libertà per espiare la pena di un reato commesso, è un pur sempre una persona dotata di altri diritti: "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato" recita l'art. 27 della Costituzione Italiana e "ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica", dice l'art. 3 della Carta Europea dei Diritti Umani. Purtroppo lo Stato Italiano ha già subito una condanna da parte della Corte Europea dei diritti dell'Uomo per non aver sempre rispettato le norme stabilite dalla Carta, come conferma Vincenzo Paccione, il quale ci tiene anche molto a sottolineare quanto sia dispendioso mantenere ogni giorno un detenuto in cella e di come sia difficoltoso pretendere un aumento delle risorse in questo insidioso momento storico.
Rimane sempre e comunque il fatto che il carcere non è da considerare solo come la pena da scontare, ma anche come luogo di recupero e reintegrazione dell'individuo, affinché tale pena possa essere anche uno strumento funzionale di rinnovamento tanto per il reo quanto per la società intera. A tal riguardo è intervenuto l'Assessore Pompeo Camero, che ha infuso un po' di fiducia parlando di progetti di scuole e di piani di formazione professionale nelle carceri, con lo scopo di ristrutturare il rapporto carceri/società in un'ottica più democratica (dove per democrazia si intende un sistema in cui tutti i cittadini, rei e non, godono di determinati diritti umani, da salvaguardare imprescindibilmente).