«Barletta perde un Federico II, ma guadagna un Giulio Cesare»
Per i ‘Mercoledì con la Storia’ a Bari, una lezione del prof. Luigi Todisco sul busto di Barletta
sabato 29 gennaio 2011
E' lui o non è lui? «Ma certo che non è lui» risponderebbero in coro tutti coloro che erano presenti mercoledì 26 gennaio a Bari presso la libreria Laterza per la lezione del professor Luigi Todisco dal titolo "DIVI IULI CAE(SARIS) IM(AGO). Da Giulio Cesare a Federico II". Oggetto della riflessione: il busto conservato nelle sale del castello di Barletta tradizionalmente considerato ritratto del sovrano svevo Federico II. Ma forse non è così.
In collaborazione con l'Università di Bari e il Centro Studi Normanno-Svevi, la conferenza ha ancora una volta incarnato lo spirito su cui si regge la serie di incontri dei "Mercoledì con la Storia", all'insegna dunque della scoperta storica e dello scardinamento di falsi stereotipi.
Supportato da un'accurata presentazione di slide, il professor Todisco ha illustrato la propria ipotesi interpretativa su quel presunto ritratto dello Svevo, soffermandosi sull'analisi dell'epigrafe posta alla base del busto. Di qui il titolo della conferenza, per cui l'epigrafe – spuria nella parte centrale – sarebbe integrata da Todisco con il nominativo IULI CAE(SARIS), e dunque un ritratto rinascimentale dell'imperatore romano Giulio Cesare. Ma nel corso degli anni si è sostenuto che quella lacunosa epigrafe di origine sicuramente rinascimentale e la raffigurazione del soggetto paludato e coronato d'alloro in pieno stile romano, potessero rappresentare un'esaltazione di Federico II raffigurato alla pari dei grandi sovrani dell'antica Roma, oppure un cripto-ritratto sulla scia del busto del reliquiario del Barbarossa. Assolutamente improbabile è invece l'ipotesi del reimpiego a busto di una statua a tutto tondo medievale a corpo intero nudo, visto che la nudità maschile di personaggi importanti non è per nulla compatibile coi parametri artistici dell'arte medievale. A sostegno della sua ipotesi, Todisco presenta al pubblico lampanti analogie fra il busto di Barletta e quello di Giulio Cesare conservato nel museo di Berlino, oppure con quello di Torino, in cui il medesimo collo lungo e lineamenti fortemente somiglianti sembrerebbero appartenere dunque allo stesso soggetto.
Abbiamo proposto una breve intervista al professor Todisco, per approfondire questa analisi.
Fra le varie proposte di interpretazione, qual è la sua opinione riguardo l'epigrafe spuria alla base del busto di Barletta e quando si è cominciato a parlare del busto come ritratto di Federico II?
«La vicenda inizia nel 1953 quando lo storico dell'arte Adriano Prandi comincia ad analizzare il busto di Barletta: a colpire Prandi fu quell'epigrafe che lo indirizzava verso il periodo federiciano. Tuttavia già il Prandi si rese conto che l'epigrafe, da lui integrata come DIVI FRI(DERICI) CAE(SARIS), non poteva collocarsi nel Medioevo, bensì era databile al Rinascimento. In quel periodo gli studi sulla ritrattistica del '200 erano ancora acerbi e si cercava di incasellare determinati ritrovamenti allo stile di quell'epoca, e ciò condusse il Prandi a questa interpretazione».
E secondo lei come mai questa interpretazione parziale, seppure consolidata nel corso del tempo, è considerata da alcuni storici definitivamente veritiera?
«Questa versione ha avuto una lunga fortuna poiché le conoscenze sulla produzione scultorea del '200 pugliese in relazione alla ritrattistica erano molto scarne e insufficienti a rivedere tali proposte che si andavano consolidando. Lo storico della scultura del Rinascimento era ancora agli inizi e questo campo di studi non era ancora avanzato. Ricordo i successivi lavori di Clara Gelao, che hanno aperto nuove prospettive agli studi di questo periodo storico».
Si potrebbe pensare che negare l'attribuzione di quel busto a Federico II danneggi il turismo nella nostra città. Lei crede che, qualora venga confermata definitivamente l'erronea attribuzione, ciò possa determinare un calo all'afflusso di turisti che giungono a Barletta per ammirare il presunto ritratto dello Svevo?
«Il compito dello storico è quello di restituire il passato nella maniera più verosimile. Non penso che il turismo o il folklore barlettano possano esserne danneggiati, anzi il contrario, poiché la definizione del problema non fa altro che valorizzare la propensione storica per la città. D'altra parte, se questa ipotesi fosse confermata, Barletta perderebbe un Federico II ma guadagnerebbe un Giulio Cesare».
In collaborazione con l'Università di Bari e il Centro Studi Normanno-Svevi, la conferenza ha ancora una volta incarnato lo spirito su cui si regge la serie di incontri dei "Mercoledì con la Storia", all'insegna dunque della scoperta storica e dello scardinamento di falsi stereotipi.
Supportato da un'accurata presentazione di slide, il professor Todisco ha illustrato la propria ipotesi interpretativa su quel presunto ritratto dello Svevo, soffermandosi sull'analisi dell'epigrafe posta alla base del busto. Di qui il titolo della conferenza, per cui l'epigrafe – spuria nella parte centrale – sarebbe integrata da Todisco con il nominativo IULI CAE(SARIS), e dunque un ritratto rinascimentale dell'imperatore romano Giulio Cesare. Ma nel corso degli anni si è sostenuto che quella lacunosa epigrafe di origine sicuramente rinascimentale e la raffigurazione del soggetto paludato e coronato d'alloro in pieno stile romano, potessero rappresentare un'esaltazione di Federico II raffigurato alla pari dei grandi sovrani dell'antica Roma, oppure un cripto-ritratto sulla scia del busto del reliquiario del Barbarossa. Assolutamente improbabile è invece l'ipotesi del reimpiego a busto di una statua a tutto tondo medievale a corpo intero nudo, visto che la nudità maschile di personaggi importanti non è per nulla compatibile coi parametri artistici dell'arte medievale. A sostegno della sua ipotesi, Todisco presenta al pubblico lampanti analogie fra il busto di Barletta e quello di Giulio Cesare conservato nel museo di Berlino, oppure con quello di Torino, in cui il medesimo collo lungo e lineamenti fortemente somiglianti sembrerebbero appartenere dunque allo stesso soggetto.
Abbiamo proposto una breve intervista al professor Todisco, per approfondire questa analisi.
Fra le varie proposte di interpretazione, qual è la sua opinione riguardo l'epigrafe spuria alla base del busto di Barletta e quando si è cominciato a parlare del busto come ritratto di Federico II?
«La vicenda inizia nel 1953 quando lo storico dell'arte Adriano Prandi comincia ad analizzare il busto di Barletta: a colpire Prandi fu quell'epigrafe che lo indirizzava verso il periodo federiciano. Tuttavia già il Prandi si rese conto che l'epigrafe, da lui integrata come DIVI FRI(DERICI) CAE(SARIS), non poteva collocarsi nel Medioevo, bensì era databile al Rinascimento. In quel periodo gli studi sulla ritrattistica del '200 erano ancora acerbi e si cercava di incasellare determinati ritrovamenti allo stile di quell'epoca, e ciò condusse il Prandi a questa interpretazione».
E secondo lei come mai questa interpretazione parziale, seppure consolidata nel corso del tempo, è considerata da alcuni storici definitivamente veritiera?
«Questa versione ha avuto una lunga fortuna poiché le conoscenze sulla produzione scultorea del '200 pugliese in relazione alla ritrattistica erano molto scarne e insufficienti a rivedere tali proposte che si andavano consolidando. Lo storico della scultura del Rinascimento era ancora agli inizi e questo campo di studi non era ancora avanzato. Ricordo i successivi lavori di Clara Gelao, che hanno aperto nuove prospettive agli studi di questo periodo storico».
Si potrebbe pensare che negare l'attribuzione di quel busto a Federico II danneggi il turismo nella nostra città. Lei crede che, qualora venga confermata definitivamente l'erronea attribuzione, ciò possa determinare un calo all'afflusso di turisti che giungono a Barletta per ammirare il presunto ritratto dello Svevo?
«Il compito dello storico è quello di restituire il passato nella maniera più verosimile. Non penso che il turismo o il folklore barlettano possano esserne danneggiati, anzi il contrario, poiché la definizione del problema non fa altro che valorizzare la propensione storica per la città. D'altra parte, se questa ipotesi fosse confermata, Barletta perderebbe un Federico II ma guadagnerebbe un Giulio Cesare».
Luigi Todisco è ordinario di Archeologia Classica nella Facoltà di Lettere dell'Università di Bari. Laureato a Bari, specializzato a Pisa, dirige le Collane "Maestri dell'arte classica" della Casa ed. Giorgio Bretschneider e "Ceramografi di Magna Grecia e Sicilia" della Casa ed. L'Erma di Bretschneider. Per sei anni Direttore della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici dell'Università di Bari, nel corso dei quali ha promosso interventi di collegamento tra l'istituzione archeologica e il territorio pugliese, organizzando anche gli importanti convegni sulle problematiche del Museo Archeologiche del Museo Provinciale di Bari e sulla storia e l'archeologia della Puglia Centrale, di cui sono stati editi di recente gli Atti (Edipuglia e Giorgio Bretschneider). Si è occupato di svariati problemi di storia dell'arte greca e romana e, per quanto concerne la conferenza di stasera, dei complessi rapporti tra arte romana, medioevale e rinascimentale.
Tra i suoi libri si ricordano: Scultura greca del IV secolo, Longanesi; Teatro e spettacolo in Magna Grecia e in Sicilia, Longanesi; Il Pittore di Arpi, l'Erma di Bretschneider; Pittura e ceramica figurata tra Grecia, Magna Grecia e Sicilia, LaBiblioteca; Scultura antica e reimpiego in Italia Meridionale, I-II, Edipuglia; La scultura romana di Venosa e il suo reimpiego, Giorgio Bretschneider; Ceramica figurata a soggetto tragico in Magna Grecia e in Sicilia, Giorgio Bretschneider; Il Museo Archeologico della Provincia di Bari, Edipuglia; La Puglia centrale dall'età del bronzo all'alto medioevo.
Tra i suoi libri si ricordano: Scultura greca del IV secolo, Longanesi; Teatro e spettacolo in Magna Grecia e in Sicilia, Longanesi; Il Pittore di Arpi, l'Erma di Bretschneider; Pittura e ceramica figurata tra Grecia, Magna Grecia e Sicilia, LaBiblioteca; Scultura antica e reimpiego in Italia Meridionale, I-II, Edipuglia; La scultura romana di Venosa e il suo reimpiego, Giorgio Bretschneider; Ceramica figurata a soggetto tragico in Magna Grecia e in Sicilia, Giorgio Bretschneider; Il Museo Archeologico della Provincia di Bari, Edipuglia; La Puglia centrale dall'età del bronzo all'alto medioevo.