Arianna Todisco, giovane fotoreporter barlettana finita sul Washington Post
La storia di Arianna e del suo lavoro per raccontare la comunità dei Caminanti
«La mia è una fotografia integrale, fisica, volta a cogliere la parte sensibile delle storie sociali e culturali dei nostri giorni, attraverso l'applicazione di un nuovo linguaggio del reportage. Sono affascinata dalle storie in evoluzione, transizione e che stanno scomparendo, indagini visive ed "informali" sugli aspetti antropologici di comunità a stretto legame con l'ambiente.»
Il lavoro che Arianna Todisco ha realizzato fonde antropologia e giornalismo, mettendo in luce problematiche gran parte delle volte dimenticate solamente perchè non fanno troppo rumore mediatico. Così nell'anno in cui si ritorna a parlare dei nomadi moderni con il film Nomadland, che è riuscito a strappare ben tre statuette la notte degli Oscar, Arianna Todisco, giovane fotoreporter di origine barlettana, racconta una comunità siciliana situata a Noto, in un'ottica tutta italiana. Il nomadismo è un tema che affascina moltissimo tutti, giovani e meno giovani, alla scoperta di questo stile di vita così diverso da quello ordinario. Il fascino della vita semplice, di una vita on the road, spesso in viaggio continuo, con tutti i rischi annessi. La storia di una comunità, quella dei Caminanti, ferma in degli scatti, per ridare dignità ed esplorare quella vita che ci ha sempre incuriosito e che percepiamo sempre come rude, eccentrica e fatta di stenti.
Questa popolazione conserva la tradizione nelle sue pratiche e nelle principali usanze: organizzazione patriarcale, matrimoni endogamici, e cioè all'interno della comunità. Vivono stabilmente in Sicilia, ma viaggiano spesso per vendere palloncini. A seguito della pandemia, il loro lavoro è diminuito, ma come un popolo antico che conserva la sua bellezza proprio nella rusticità, la comunità rimane comunque intatta.«È una storia semi sconosciuta in Italia, che io conoscevo da tempo: quando ero bambina, subito dopo la messa domenicale al Santo Sepolcro, sul corso Vittorio Emanuele c'era sempre una bancarella di palloncini. Ricordo quei venditori con un sorriso abbozzato e ricordo anche la diffidenza degli adulti che compravano quei palloncini per i propri bambini. Mi hanno sempre incuriosita. Fino a dieci anni fa circa era possibile trovare queste bancarelle anche nella piazza del duomo di Milano, ma ormai sono scomparsi; si è accesa così in me la voglia di documentare questi venditori di palloncini, così colorati e giocosi, e raccontarne la loro storia. In Italia non è semplice poter pubblicare un lavoro del genere, così ho deciso di intraprendere questa avventura con Selfself books, la campagna crowdfunding editoriale che mi permetterà di realizzare il mio primo libro fotografico e di dare la meritata rilevanza al popolo dei Caminanti»
Arianna si è trasferita a Milano, insieme alla sua famiglia, quindici anni fa, ma Barletta è sempre rimasta la culla delle sue origini, mantenendo un rapporto costante. La storia di una ragazza italiana, in cui Nord e Sud si fondono, senza fare troppa attenzione alle differenze. Due anni fa, nel 2019, ha conseguito la laurea in Nuove Tecnologie dell'Arte presso l'Accademia di Belle Arti di Brera, concentrando la sua tesi sul reportage, l'arte e i nuovi linguaggi. In un momento in cui l'arte è continuamente osteggiata da luoghi comuni secondo il principio "con la cultura non si mangia", Arianna è la rivalsa che ci dimostra quanto l'arte possa ancora vincere e dice:
La sua esperienza formativa è costantemente arricchita da nuove e grandi partecipazioni: prima al Canon Student Program, poi il Visa Pour L'image a Perignan e poi la selezione per il prestigioso Eddie Adams Workshop di giornalismo. Nel 2020 dà vita a Maatrice, di cui ne è la Direttrice esecutiva. Insomma, una storia di talento e ambizione.«Milano mi ha permesso di avere un affaccio internazionale sin da giovane, avere l'opportunità di incontrare personalmente i maestri della fotografia»
Il titolo che ha scelto per questo percorso fotografico è Ephemeral Freedom e cioè Libertà Effimera, pubblicata anche su Rolling Stones. Le storie dei Caminanti, raccontano un'altra libertà di cui Arianna si è fatta occhio e interprete. Una libertà così lontana da quella che intendiamo, perchè dopo aver passato molto tempo all'interno della comunità ha iniziato a riflettere. "I Caminanti e i palloncini", pensa e ripensa a questa associazione che le risuonava qualcosa dentro. Aria racchiusa in un involucro di plastica, a sua volta legata ad un filo e tenuta in mano ad un bambino o una persona, che in realtà ne mostrano la capacità di saper racchiudere, intrappolare e anche domare l'aria, che meglio di qualunque altro elemento naturale è invece, libera. In questo dominio, Arianna ci rivede metaforicamente le discriminazioni, la ghettizzazione e la noncuranza di tutti coloro che trattano con arroganza e scherno i nomadi di Noto - luogo d'origine della comunità -. Racconta per esempio, la storia di Maria che per sette anni ha cercato di rimanere incinta e quando ci riesce, dopo giorni trascorsi ad aspettare nella speranza di una benedizione, ha deciso di non uscire di casa, per mantenersi sempre riposata e attenta alla gravidanza.
Moltissimi sono i luoghi in cui Arianna è riuscita a rendere pubblico e visibile per tutti il suo lavoro estremamente nudo e sincero: Fondazione Carispezia a La Spezia, Padiglione d'Arte Contemporanea di Milano, Mattatoio Museo d'Arte Contemporanea di Roma e a breve anche al Rotterdam Photo Festival.
Arianna è consapevole che in Italia il mondo della fotografia, con particolare attenzione quello del fotoreportage, abbia ancora tanta strada da percorrere. Nonostante il percorso non facile, quello che lei stessa ha definito "danza delle mail" e il timore del precariato che si avvinghia al fiato, la fotografia è il destino che la attende comunque vada. Una giovane imprenditrice di se stessa e talento italiano.«Questo progetto l'ho realizzato durante la mia frequentazione all'Eddie Adams Workshop. Li ho avuto la possibilità di presentare il lavoro dei Caminanti e confrontarmi con editors delle più importanti testate giornalistiche internazionali. Sono rimasta in contatto con alcuni di loro e sopratutto con gli alunni-colleghi, perché il passaggio di informazioni più schietto passa da qua. Non appena è terminato il workshop è iniziata la "danza" delle mail, e lì è arrivato il Washington Post.
Ci sono stati dei momenti difficili, in cui non capivo cosa non andasse nel mio lavoro, ma poi ho capito che fa parte della partita e quindi follow-up. Sempre confrontandomi con i miei colleghi ho capito che è normale, a volte bisogna solo aspettare il momento e la testata giusta per proporre un lavoro.»