Appuntamento con Eraclio, instancabile vigilante della città di Barletta

La storia del Colosso attraversa la musica, la tradizione e le sensazioni

sabato 28 dicembre 2013
A cura di Viviana Damore
La figura del Colosso di Barletta detto Eraclio per identificazione con l'imperatore bizantino, da sempre dominatrice dell'immaginario comune sulla città, ha vissuto nel corso degli anni, seguendo l'andamento umorale della civitas che orgogliosamente da secoli e secoli la ospita. Eraclio, mascotte e stendardo di una città che facilmente si ritrova nei suoi idoli, che si infuria come il suo Ettore colto nell'atto di ammazzare il secolare nemico La Motte, si inorgoglisce passando attraverso tradizioni storiche di famiglie illustri, si riempie di fasto, facendosi vanto del lauto lascito di una corte reale quale quella di Federico II di Svevia, vanta di essere il simbolo prediletto nelle memorie e raffigurazioni su "Varrett".

Eraclio, dipinto nel suo patologico pianto di solitudine in una sera di dicembre, nella canzone del cantautore barlettano Gino Pastore dedicata alla sua morte, con la sua solitaria imponenza nell'immaginifico racconto musicale vive di un confusionario abbandono, trapassando inerme ed inerte gli sguardi che si posano su di lui per andare sempre oltre e sempre avanti. In un paese troppo ricco per curarsi della tradizione, Eraclio vive la tristezza invernale, assistendo all'imbellettamento dei "Signori", che a testa alta e noncuranti si recano allo spettacolo della Traviata. Il "monumento dei poveri" un po' invidioso, un po' incantato piange nottambulo sperduto nel vento, la povertà dei suoi figli, sino a morire straziato dal dolore, dopo una vita vissuta senza cuore, è questa "A mort d'Arè" come ce la racconta Pastore. Nel corso della sua storia barlettana il gigante, da sempre violato nella sua intimità viscerale, dai bambini o dagli adulti colti da una curiosità infantile, che riposandosi ai suoi piedi non riescono a fare a meno di guardare sotto le sue vesti, quasi che assorti nel suo sguardo di bronzo vogliano accertarsi che anche lui abbia un cuore, nei racconti degli anziani del paese, rivive nel ricordo di quei fanciulli che risalivano sino ad uscire dalla sommità del suo capo, quando ancora non era stata impiantata una grata che impedisse di arrampicarsi all'interno della statua.

La Storia ci tramanda due versioni del pellegrinaggio della statua di bronzo, che si pensa raffiguri l'imperatore Teodosio II, forgiata dal Polifobo, secondo l'una delle quali fu asportata dai veneziani durante il sacco di Costantinopoli nel 1204 e abbandonata sulle spiagge di Barletta causa il naufragio delle navi, l'altra racconta che fu rinvenuta da Federico II di Svevia durante degli scavi ravennati, e che su ordine dello stesso fu espiantata in Puglia. Dati certi raccontano che agli inizi del '300 i domenicani di Manfredonia ottennero il permesso di fonderne gli arti per farne delle campane. La statua poi ristrutturata nel XV secolo da Alfano di Napoli, fu ubicata sotto il Sedile del Popolo, antico nome del luogo in cui ancora adesso troneggia. Già in un nostro precedente articolo avevamo parlato delle ristrutturazioni e delle analisi scientifiche effettuate sulla statua. "Eraclio morente guarda le stelle senza parlare, tanti gli anni spesi ad ammirare il cielo", fanno di lui un vecchio giovane vigilante, che secondo antiche leggende avanzando contro i nemici salvò Barletta, sostenendo di essere stato cacciato dalla città essendo il più piccolo tra gli abitanti. Da sempre protegge, giudica a ammira come un padre che vegli i suoi figli, quando un po' intimiditi cittadini o turisti, passino sotto il suo sguardo impenetrabile, non esistono distinzioni, ceti o priorità, solo la speranza di attraversare a testa alta il tribunale del suo giudizio di regalità imperiale, rappresentato dalla croce e la sfera che è ancora oggi così orgoglioso di sostenere.