Andrzej Dragan, a Barletta con R-evolution arriva la leggenda
Il fotografo polacco, inventore di una tecnica di contrasto. Tanti hanno cercato di emulare il "Draganize"
giovedì 14 marzo 2013
10.46
Prosegue l'evento, prosegue R-evolution. Forte il successo finora raccolto e ottima la frequentazione del "Curci" di Barletta, "teatro" per una volta di fotografia, tecnica, immagine e, come sempre, di fantasia. Quella fantasia immaginifica che i seguaci di Daguerre hanno sempre ostentato con gioia, hanno sempre frequentato con ostinazione.
Oggi scatta il momento di uno tra i migliori professionisti viventi. Senza nulla togliere agli altri sublimi maestri che si sono avvicendati sulle assi di legno del teatro barlettano (abbiamo apprezzato il dinamico e indiavolato Pierre Delaunay, capace di affascinarci, irriderci quasi da guascone ma anche di intenerirci con un intimo reportage sulla nascita di suo figlio) ma ci sentiamo di voler attendere il momento di Andrzej Dragan. Non possiamo non amare questo fotografo polacco, dallo stile iper nitido, iper contrastato. Quasi una leggenda tra i fotografi che più spesso associano il suo nome ad una tecnica fotografica e di foto ritocco più che a lui stesso (to draganize a photo, tradotto con il forzato "draganizzare" - tecnica simile al bleach bypass usata spesso nel cinema, nello spartano 300 per dirne una).
Far emergere dettagli, rughe, sguardi infuocati o ricchi di intimità, è per Dragan metafora di un uomo denudato delle sue maschere, finalmente in "contrasto" con l'omologazione sociale. I ritratti, manipolati dallo sciamano Andrzej, hanno vita propria risolvendo definitivamente il dilemma di Fontana, raggiungono fisicamente l'incauto spettatore. Che verità cerca Dragan? Il giovane artista risponde all'uditorio che la sua non è realtà; che lui manipola con la tecnologia le immagini dei suoi modelli; che lui si diverte ma ritiene la sua tecnica di manipolazione assolutamente non dissimile dalla pittura e dalle intuizioni che competono a quest'area. «Non amo illustrare emozioni», dice.
Sicuro di osservare una leggenda, qui a Barletta, in questo momento, in questa mattinata assolata e ventosa che Dragan nel giro di un'ora è riuscito a trasformare in piovosa. Chapeau.
Oggi scatta il momento di uno tra i migliori professionisti viventi. Senza nulla togliere agli altri sublimi maestri che si sono avvicendati sulle assi di legno del teatro barlettano (abbiamo apprezzato il dinamico e indiavolato Pierre Delaunay, capace di affascinarci, irriderci quasi da guascone ma anche di intenerirci con un intimo reportage sulla nascita di suo figlio) ma ci sentiamo di voler attendere il momento di Andrzej Dragan. Non possiamo non amare questo fotografo polacco, dallo stile iper nitido, iper contrastato. Quasi una leggenda tra i fotografi che più spesso associano il suo nome ad una tecnica fotografica e di foto ritocco più che a lui stesso (to draganize a photo, tradotto con il forzato "draganizzare" - tecnica simile al bleach bypass usata spesso nel cinema, nello spartano 300 per dirne una).
Far emergere dettagli, rughe, sguardi infuocati o ricchi di intimità, è per Dragan metafora di un uomo denudato delle sue maschere, finalmente in "contrasto" con l'omologazione sociale. I ritratti, manipolati dallo sciamano Andrzej, hanno vita propria risolvendo definitivamente il dilemma di Fontana, raggiungono fisicamente l'incauto spettatore. Che verità cerca Dragan? Il giovane artista risponde all'uditorio che la sua non è realtà; che lui manipola con la tecnologia le immagini dei suoi modelli; che lui si diverte ma ritiene la sua tecnica di manipolazione assolutamente non dissimile dalla pittura e dalle intuizioni che competono a quest'area. «Non amo illustrare emozioni», dice.
Sicuro di osservare una leggenda, qui a Barletta, in questo momento, in questa mattinata assolata e ventosa che Dragan nel giro di un'ora è riuscito a trasformare in piovosa. Chapeau.