Calcio
L’angolo dell’avversario: la storia del Catanzaro
Regina del Sud e timore del Nord
Barletta - giovedì 5 dicembre 2013
7.19
Domenica per il Barletta e per Barletta è una stagione speciale. Sarà occasione di rinnovare lo storico gemellaggio con il Catanzaro. L'ennesima festa del calcio che farà dimenticare – forse, e solo per pochi istanti – i problemi attuali del sodalizio di via Vittorio Veneto. Domenica Camilleri e compagni sono stati fermati dalla pioggia, e sarà quindi il Catanzaro l'ostacolo da superare per provare a riportare il buon umore – e qualche spiraglio di sole – nell'ambiente barlettano. A poche ore da Catanzaro-Barletta, scopriamo insieme la storia delle aquile giallorosse.
Gli albori e "l'età dell'oro"
La nascita dell'Unione Sportiva Catanzarese risale al 1929 dalla fusione dei tema Scalfaro e Braccini, e sin dall'inizio la squadra adottò l'aquila come simbolo sociale e il giallo e il rosso come colori sociali. Dopo i primi anni consumati tra le serie inferiori, nel 1933 il sodalizio calabrese conquisto la Prima Divisione, poi dopo appena dodici mesi arrivò un nuovo salto – questa volta in serie B -, ma a fermare il calcio a Catanzaro fu una serie di problemi finanziari uniti alle conseguenze del conflitto bellico. Il Catanzaro ripartì subito forte, conquistando anche una promozione in serie B, ma nel 1953 toccò anche il "baratro", con la retrocessione nella quarta serie nazionale. Nel 1958 cominciò l'era del presidente Ceravolo, che darà poi il nome allo stadio che è il tempio di "cugini" giallorossi. Gli anni '50 si conclusero con due stagioni in B, riuscendo a trionfare anche nella Coppa delle Alpi. Nel 1966, le aquile volarono ancora più alto, perdendo in finale la Coppa Italia contro la Fiorentina dopo aver eliminato in semifinale addirittura la Juventus. Cinque anni dopo arrivò addirittura la promozione in serie A, con in panchina mister Seghedoni e con i gol di Angelo Mammi. L'esperienza in A durò però solo 12 mesi, nonostante la vittoria contro i futuri campioni d'Italia della Juventus e una serie di amichevoli internazionali con squadre come il Santos del "divino" Pelè. Dopo due anni di B, sulla panchina del Catanzaro approdò Gianni Di Marzio, che portò i giallorossi a lottare per la serie A, anche grazie all'arrivo dell'uomo-simbolo Massimo Palanca, "l'uomo dei gol su calcio d'angolo", secondo Sandro Ciotti "uno dei migliori sinistri d'Europa". Il nuovo salto in serie A fu rimandato nel 1975 in seguito alla sconfitta nello spareggio di Terni contro il Verona. La massima serie fu raggiunta l'anno successivo, ma seguì una serie di altalene. Con Merlo alla presidenza, il Catanzaro disputò ben 5 stagioni consecutive in A, raggiungendo addirittura la settima piazza per due volte consecutive, meritando quindi l'appellativo di "Regina del Sud e timore del Nord". Il periodo d'oro per il Catanzaro culminò con la sconfitta in Coppa Italia contro l'Inter, che meritò l'accesso in finale in virtù della differenza reti.
L'attualità e il mancato ritorno tra le grandi
Nel 1983, il Catanzaro meritò la retrocessione in B totalizzando sul campo soltanto 13 punti. Dopo 12 mesi arrivò un'altra retrocessione, che spedì addirittura i calabresi in C. Con Albano alla presidenza, il Catanzaro cominciò una nuova altalena tra B e C, ma fu nel 1988 che le aquile tentarono il nuovo assalto alla serie A, fallito clamorosamente per un solo punto di distacco. A decretare il fallimento del sogno promozione fu proprio Massimo Palanca, che fallì il calcio di rigore decisivo nella gara contro la Triestina. Il simbolo di Catanzaro si riscattò pochi mesi più tardi, con due triplette (contro gli odiati cugini del Cosenza e contro l'Udinese) che faranno la storia del club giallorosso, e che valsero la salvezza in B. Da quella stagione, il Catanzaro cominciò una serie di stagioni negative, che non hanno più portato la regina del sud nel calcio che conta. Nel 1989 arrivò la retrocessione in C e l'addio al calcio giocato di Palanca. L'anno dopo andò ancora peggio, visto che una nuova retrocessione condannò le aquile a 12 anni consecutivi di Serie C2. Con Soluri alla presidenza, il Catanzaro tentò l'assalto alla serie C1, fallendo sia nel 2001 (contro il Sora) che nel 2003 (contro l'Acireale) il ritorno nella terza serie nazionale. Ma quel che non arrivò sul campo, fu "compensato" da un ripescaggio. L'anno successivo, al primo "tentativo", il Catanzaro centrò il nuovo salto in serie B, battendo il Chieti ad Ascoli in una gara segnata dalla presenza di 16.000 tifosi giallorossi. La permanenza in cadetteria durò solo due stagioni, poi arrivò lo spettro del fallimento che condannò il Catanzaro ad una ripartenza dalla C2 grazie al lodo Petrucci. Fino al 2011, il Catanzaro stazionò, senza mai puntare al salto di categoria, in C2, poi, con l'avvento dell'ambizioso imprenditore Cosentino, arrivò la promozione in Prima Divisione Lega Pro (2012) ed una salvezza tranquilla nel 2013, prima di allestire un progetto ambizioso per puntare direttamente alla promozione in B nella stagione attuale.
Gli albori e "l'età dell'oro"
La nascita dell'Unione Sportiva Catanzarese risale al 1929 dalla fusione dei tema Scalfaro e Braccini, e sin dall'inizio la squadra adottò l'aquila come simbolo sociale e il giallo e il rosso come colori sociali. Dopo i primi anni consumati tra le serie inferiori, nel 1933 il sodalizio calabrese conquisto la Prima Divisione, poi dopo appena dodici mesi arrivò un nuovo salto – questa volta in serie B -, ma a fermare il calcio a Catanzaro fu una serie di problemi finanziari uniti alle conseguenze del conflitto bellico. Il Catanzaro ripartì subito forte, conquistando anche una promozione in serie B, ma nel 1953 toccò anche il "baratro", con la retrocessione nella quarta serie nazionale. Nel 1958 cominciò l'era del presidente Ceravolo, che darà poi il nome allo stadio che è il tempio di "cugini" giallorossi. Gli anni '50 si conclusero con due stagioni in B, riuscendo a trionfare anche nella Coppa delle Alpi. Nel 1966, le aquile volarono ancora più alto, perdendo in finale la Coppa Italia contro la Fiorentina dopo aver eliminato in semifinale addirittura la Juventus. Cinque anni dopo arrivò addirittura la promozione in serie A, con in panchina mister Seghedoni e con i gol di Angelo Mammi. L'esperienza in A durò però solo 12 mesi, nonostante la vittoria contro i futuri campioni d'Italia della Juventus e una serie di amichevoli internazionali con squadre come il Santos del "divino" Pelè. Dopo due anni di B, sulla panchina del Catanzaro approdò Gianni Di Marzio, che portò i giallorossi a lottare per la serie A, anche grazie all'arrivo dell'uomo-simbolo Massimo Palanca, "l'uomo dei gol su calcio d'angolo", secondo Sandro Ciotti "uno dei migliori sinistri d'Europa". Il nuovo salto in serie A fu rimandato nel 1975 in seguito alla sconfitta nello spareggio di Terni contro il Verona. La massima serie fu raggiunta l'anno successivo, ma seguì una serie di altalene. Con Merlo alla presidenza, il Catanzaro disputò ben 5 stagioni consecutive in A, raggiungendo addirittura la settima piazza per due volte consecutive, meritando quindi l'appellativo di "Regina del Sud e timore del Nord". Il periodo d'oro per il Catanzaro culminò con la sconfitta in Coppa Italia contro l'Inter, che meritò l'accesso in finale in virtù della differenza reti.
L'attualità e il mancato ritorno tra le grandi
Nel 1983, il Catanzaro meritò la retrocessione in B totalizzando sul campo soltanto 13 punti. Dopo 12 mesi arrivò un'altra retrocessione, che spedì addirittura i calabresi in C. Con Albano alla presidenza, il Catanzaro cominciò una nuova altalena tra B e C, ma fu nel 1988 che le aquile tentarono il nuovo assalto alla serie A, fallito clamorosamente per un solo punto di distacco. A decretare il fallimento del sogno promozione fu proprio Massimo Palanca, che fallì il calcio di rigore decisivo nella gara contro la Triestina. Il simbolo di Catanzaro si riscattò pochi mesi più tardi, con due triplette (contro gli odiati cugini del Cosenza e contro l'Udinese) che faranno la storia del club giallorosso, e che valsero la salvezza in B. Da quella stagione, il Catanzaro cominciò una serie di stagioni negative, che non hanno più portato la regina del sud nel calcio che conta. Nel 1989 arrivò la retrocessione in C e l'addio al calcio giocato di Palanca. L'anno dopo andò ancora peggio, visto che una nuova retrocessione condannò le aquile a 12 anni consecutivi di Serie C2. Con Soluri alla presidenza, il Catanzaro tentò l'assalto alla serie C1, fallendo sia nel 2001 (contro il Sora) che nel 2003 (contro l'Acireale) il ritorno nella terza serie nazionale. Ma quel che non arrivò sul campo, fu "compensato" da un ripescaggio. L'anno successivo, al primo "tentativo", il Catanzaro centrò il nuovo salto in serie B, battendo il Chieti ad Ascoli in una gara segnata dalla presenza di 16.000 tifosi giallorossi. La permanenza in cadetteria durò solo due stagioni, poi arrivò lo spettro del fallimento che condannò il Catanzaro ad una ripartenza dalla C2 grazie al lodo Petrucci. Fino al 2011, il Catanzaro stazionò, senza mai puntare al salto di categoria, in C2, poi, con l'avvento dell'ambizioso imprenditore Cosentino, arrivò la promozione in Prima Divisione Lega Pro (2012) ed una salvezza tranquilla nel 2013, prima di allestire un progetto ambizioso per puntare direttamente alla promozione in B nella stagione attuale.