Eventi
"Triangle", il documentario sul crollo di via Roma
Intervista alla regista Costanza Quatriglio. Presentazione ieri mattina al Cineporto di Bari
Barletta - giovedì 13 dicembre 2012
Cosa è diventata l'età dei diritti? Cosa significa dignità sul lavoro? Sono racchiusi 100 anni di storia nel documentario "Triangle" della regista Costanza Quatriglio, una parabola filmica dal 25 marzo 1911, incendio alla fabbrica Triangle di New York in cui morirono 146 persone, di cui la maggior parte operaie immigrate, al 3 ottobre 2011, crollo della palazzina di via Roma a Barletta, nel quale persero la vita quattro donne lavoratrici e una ragazzina di soli 14 anni. Una narrazione che con un unico fil rouge unisce queste due tragedie femminili, dall'invisibilità delle pieghe della storia al grande schermo: il documentario della Quatriglio, regista recentemente premiata al festival di Venezia per il suo documentario "Terramatta", ha presentato ieri mattina il progetto, di cui sono ancora in corso le riprese, insieme alla produttrice di Factory Film Nella Condorelli e alla presidente di Apulia Film Commision Antonella Gaeta.
Dalla vicenda della Triangle, che dà il titolo alla pellicola, è nata la ricorrenza dell'8 marzo, una data divenuta banale, ma che all'inizio aveva lo stesso scopo che si prefigge il documentario: ridar voce alle donne, restituire loro pari diritti sul lavoro, sicurezza e dignità nella vita. Le operarie morte nell'incendio di New York era per lo più immigrate, provenienti dal poverissimo Mezzogiorno d'Italia e dall'Europa dell'Est, dalla quale fuggivano per salvarsi dal fuoco del pogrom, per morire paradossalmente in un altro fuoco, quello della fabbrica in cui lavoravano. Attraversando un secolo, la situazione non è cambiata: per Barletta si tratta di attualità viva e pulsante, come hanno dichiarato la produttrice Nella Condorelli e la regista. «Il film – ha spiegato la Quatriglio - indaga la condizione operaia immutata nel tempo, dal punto di vista delle donne. Il rapporto delle donne con le macchine delle fabbriche e col lavoro, oggi è lo stesso di cento anni fa. Voler raccontare di donne e lavoro a Barletta è stato complicatissimo, perché esiste una gabbia mentale e psicologica in cui queste donne vivono ogni giorno, senza percepire nemmeno la possibilità di avere dei diritti. Il tutto inserito in un contesto preciso, quello delle cause del crollo, legate alla speculazione edilizia. Al nostro arrivo, abbiamo percepito la paura nei cittadini che noi dichiarassimo Barletta patria del lavoro nero, ma poi hanno capito che lo scopo del film era un altro».
Barletta, dopo il crollo di via Roma, è stata profondamente ferita. Tramite il tuo sguardo cinematografico, qual è l'impressione che hai avuto di questa città?
«Ho avuto l'impressione che la ferita di Barletta non sia ancora rimarginata e che sia davvero difficile da guarire, perché la comunità è chiusa nel proprio dolore, prova una rabbia che le toglie lucidità, per cui si sono create delle vere e proprie fazioni fra le vittime del crollo: ho conosciuto da vicino persone che dovrebbero essere unite ma non lo sono, perché il loro dolore prevale sulla capacità di fare comunità, e questa è una cosa che solo chi viene da fuori capisce di più, rispetto a chi la vive dal di dentro. Iparenti delle vittime del crollo, ad esempio, non si sentono capiti da chi ha perso la casa e viceversa, e questo disgrega la comunità. Invece i cittadini di Barletta dovrebbero unirsi non solo nella rabbia e nel dolore, ma anche nella costruttività».
La tua pellicola potrà sanare in qualche modo questo dissidio, potrà curare in parte questa ferita?
«Non possiamo cambiare il mondo, ma la narrazione – e soprattutto l'autonarrazione – aiuta alla riflessione e all'elaborazione del sé, perciò il documentario diventa uno strumento affinchè queste persone possano capirsi di più».
Dalla vicenda della Triangle, che dà il titolo alla pellicola, è nata la ricorrenza dell'8 marzo, una data divenuta banale, ma che all'inizio aveva lo stesso scopo che si prefigge il documentario: ridar voce alle donne, restituire loro pari diritti sul lavoro, sicurezza e dignità nella vita. Le operarie morte nell'incendio di New York era per lo più immigrate, provenienti dal poverissimo Mezzogiorno d'Italia e dall'Europa dell'Est, dalla quale fuggivano per salvarsi dal fuoco del pogrom, per morire paradossalmente in un altro fuoco, quello della fabbrica in cui lavoravano. Attraversando un secolo, la situazione non è cambiata: per Barletta si tratta di attualità viva e pulsante, come hanno dichiarato la produttrice Nella Condorelli e la regista. «Il film – ha spiegato la Quatriglio - indaga la condizione operaia immutata nel tempo, dal punto di vista delle donne. Il rapporto delle donne con le macchine delle fabbriche e col lavoro, oggi è lo stesso di cento anni fa. Voler raccontare di donne e lavoro a Barletta è stato complicatissimo, perché esiste una gabbia mentale e psicologica in cui queste donne vivono ogni giorno, senza percepire nemmeno la possibilità di avere dei diritti. Il tutto inserito in un contesto preciso, quello delle cause del crollo, legate alla speculazione edilizia. Al nostro arrivo, abbiamo percepito la paura nei cittadini che noi dichiarassimo Barletta patria del lavoro nero, ma poi hanno capito che lo scopo del film era un altro».
Barletta, dopo il crollo di via Roma, è stata profondamente ferita. Tramite il tuo sguardo cinematografico, qual è l'impressione che hai avuto di questa città?
«Ho avuto l'impressione che la ferita di Barletta non sia ancora rimarginata e che sia davvero difficile da guarire, perché la comunità è chiusa nel proprio dolore, prova una rabbia che le toglie lucidità, per cui si sono create delle vere e proprie fazioni fra le vittime del crollo: ho conosciuto da vicino persone che dovrebbero essere unite ma non lo sono, perché il loro dolore prevale sulla capacità di fare comunità, e questa è una cosa che solo chi viene da fuori capisce di più, rispetto a chi la vive dal di dentro. Iparenti delle vittime del crollo, ad esempio, non si sentono capiti da chi ha perso la casa e viceversa, e questo disgrega la comunità. Invece i cittadini di Barletta dovrebbero unirsi non solo nella rabbia e nel dolore, ma anche nella costruttività».
La tua pellicola potrà sanare in qualche modo questo dissidio, potrà curare in parte questa ferita?
«Non possiamo cambiare il mondo, ma la narrazione – e soprattutto l'autonarrazione – aiuta alla riflessione e all'elaborazione del sé, perciò il documentario diventa uno strumento affinchè queste persone possano capirsi di più».