Politica
Il sindaco incalza: «Si discuta con franchezza, anche a costo di tensioni»
Dopo la discussione a Palazzo di città, Cascella ribatte a Damiani
Barletta - sabato 25 ottobre 2014
20.07
«No, non c'è formalismo che tenga, men che meno è concepibile che le farraginosità burocratiche siano invocate per aggirare la volontà popolare». La discussione che si è consumata giovedì a Palazzo di città tra il sindaco Pasquale Cascella e il segretario generale sembra aver "smascherato" una tensione che da tempo si consuma nelle stanze della politica barlettana, e ha in poco tempo scatenato l'intervento del consigliere di opposizione Dario Damiani, che ha "colto la palla al balzo" per rimarcare l'apparente debolezza dell'attuale amministrazione. Il confronto si sta consumando in particolare sulle pagine della stampa, a cui il sindaco Cascella sta dedicando spesso forti riflessioni sullo stato di salute del suo mandato: per ultima giunge ora questa nota del primo cittadino, come ulteriore commento alla vicenda che sta scatenando reazioni trasversali nel sentiment politico della città della Disfida, perfino interne alla maggioranza stessa. Il casus belli è stata infatti la nota che pochi giorni fa proprio Cascella ha inviato alla presidente del consiglio comunale Carmela Peschechera, invitando a una maggiore celerità nel dibattimento delle proposte di delibera in consiglio: poco dopo giunse - sempre a mezzo stampa - la risposta della presidente, che si liberava dalle responsabilità di questi ritardi, sottolineando che l'invito del sindaco alla celerità "deve necessariamente conciliarsi con il rispetto dei diritti e delle facoltà dei consiglieri comunali". «Sono il primo a volere "atti perfetti" - scrive oggi Cascella - proprio per non concedere alibi a una opposizione che si sottrae al confronto di merito pur di boicottare l'azione dell'amministrazione. Sui contenuti si deve sempre discutere con franchezza, anche a costo di tensioni e incomprensioni, sia che si tratti di debiti da onorare sia di regolamenti da rispettare. O, ancor più, di diritti universali e doveri civici. Ne dibatte, ormai, persino il Sinodo, con dissensi che invocano la morale della dottrina e consensi motivati con l'evoluzione della missione. Perché non noi? Bisogna pur essere consapevoli che la complessità di questo tempo può richiedere scelte laceranti per non perdere il passo con le trasformazioni che incalzano.
Ecco perché credo che tirare le fila della discussione da tempo avviata, e decidere pubblicamente - come si dovrà pur fare, prima o poi - in Consiglio comunale su unioni civili, ius soli e istituti di partecipazione non sia un parlar d'altro rispetto ai problemi che nel tempo si sono cumulati nella nostra città. Anzi. Saranno pure tematiche che guardano alle condizioni sociali più deboli ed emarginate, ma si provi a estendere il primato delle regole ai punti deboli della vita collettiva: per dire, alle opere di urbanizzazione nella 167 ammassate in un unico provvedimento; al sistema di raccolta e canalizzazione a mare delle acque pluviali lasciato marcire mentre si andavano a costruire impianti di affinamento nell'incuranza del loro utilizzo; alle manutenzioni ordinarie ma con procedure talmente contorte da confondersi con quelle straordinarie; e così via.
Ciascuno, così, potrà trovare proprie ragioni, particolari punti di debolezza che richiedono di essere affrontati con nuove regole di convivenza da far valere sulla deresponsabilizzazione dei comportamenti, giacché qualsiasi ritardo provocato da un cavillo burocratico o da un vizio di procedura provoca guasti che inevitabilmente compromettono la tenuta del nostro progetto di comunità. E non c'è copertura o giustificazione per non ricercare e condividere nelle istituzioni - a maggior ragione quella comunale, la più immediatamente vicina ai cittadini - le regole con cui garantire la coesione sociale. Possono, semmai, esserci idee e concezioni politiche diverse, anche di coscienza, su come far crescere lo spirito di comunità in un momento di così acuta crisi. A maggior ragione, sarebbe ora di metterle alla prova - le idee, non i cavilli - nella sede deputata al confronto libero e aperto».
Ecco perché credo che tirare le fila della discussione da tempo avviata, e decidere pubblicamente - come si dovrà pur fare, prima o poi - in Consiglio comunale su unioni civili, ius soli e istituti di partecipazione non sia un parlar d'altro rispetto ai problemi che nel tempo si sono cumulati nella nostra città. Anzi. Saranno pure tematiche che guardano alle condizioni sociali più deboli ed emarginate, ma si provi a estendere il primato delle regole ai punti deboli della vita collettiva: per dire, alle opere di urbanizzazione nella 167 ammassate in un unico provvedimento; al sistema di raccolta e canalizzazione a mare delle acque pluviali lasciato marcire mentre si andavano a costruire impianti di affinamento nell'incuranza del loro utilizzo; alle manutenzioni ordinarie ma con procedure talmente contorte da confondersi con quelle straordinarie; e così via.
Ciascuno, così, potrà trovare proprie ragioni, particolari punti di debolezza che richiedono di essere affrontati con nuove regole di convivenza da far valere sulla deresponsabilizzazione dei comportamenti, giacché qualsiasi ritardo provocato da un cavillo burocratico o da un vizio di procedura provoca guasti che inevitabilmente compromettono la tenuta del nostro progetto di comunità. E non c'è copertura o giustificazione per non ricercare e condividere nelle istituzioni - a maggior ragione quella comunale, la più immediatamente vicina ai cittadini - le regole con cui garantire la coesione sociale. Possono, semmai, esserci idee e concezioni politiche diverse, anche di coscienza, su come far crescere lo spirito di comunità in un momento di così acuta crisi. A maggior ragione, sarebbe ora di metterle alla prova - le idee, non i cavilli - nella sede deputata al confronto libero e aperto».